Il celebre poeta elegiaco latino, secondo forse solo a Tibullo, Sesto Properzio nacque ad Assisi probabilmente negli anni dal 49 al 46 a.C. Se la data di nascita è incerta, la provenienza è attestata da lui stesso nella prima elegia del quarto libro, quando definisce orgogliosamente l’Umbria la patria del Romanus Callimachus e ricorda il lustro che egli ha portato alle mura dell’alta Assisi (Elegiae IV, 1 vv. 61-66 e 121-138):
Ennius hirsuta cingat sua dicta corona:
mi folia ex hedera porrige, Bacche, tua,
ut nostris tumefacta superbiat Umbria libris,
Umbria Romani patria Callimachi!
scandentis quisquis cernit de vallibus arces,
ingenio muros aestimet ille meo![…]
Umbria te notis antiqua Penatibus edit –
mentior? an patriae tangitur ora tuae? –
qua nebulosa cavo rorat Mevania campo,
et lacus aestivis intepet Umber aquis,
scandentisque Asis consurgit vertice murus,
murus ab ingenio notior ille tuo.
ossaque legisti non illa aetate legenda
patris et in tenuis cogeris ipse lares:
nam tua cum multi versarent rura iuvenci,
abstulit excultas pertica tristis opes.
mox ubi bulla rudi dimissa est aurea collo,
matris et ante deos libera sumpta toga,
tum tibi pauca suo de carmine dictat Apollo
et vetat insano verba tonare Foro.
at tu finge elegos, fallax opus: haec tua castra! –
scribat ut exemplo cetera turba tuo.
militiam Veneris blandis patiere sub armis,
et Veneris Pueris utilis hostis eris.
Egli, perciò, dovette ancora giovane ricomporre le ossa del padre e, spogliato dei suoi poderi, si ridusse a vivere in una modesta casa. Si fa qui riferimento con ogni probabilità agli espropri per la distribuzione di terre ai veterani delle guerre civili avvenuta dopo la battaglia di Filippi nel 42-41 a.C. In seguito alla perdita della sua proprietà, venne con la madre a Roma, dove seguì gli studi di eloquenza. Ma, egli ricorda, vestita la toga virile (verso i diciassette anni, dunque) Apollo gli vietò i tonanti discorsi del Foro esortandolo invece a comporre le elegie, che egli paragona ai suoi castra, ai suoi campi d’esercitazione, sotto le blande armi della milizia di Venere. Fedele alle esortazioni di Apollo, non degnò mai di considerazione la vita pubblica e tanto meno quella militare. Dopo la pubblicazione del primo dei quattro libri di elegie a lui attribuiti, entrò nel circolo di Mecenate. Presso la casa di Mecenate sull’Esquilino andò anche ad abitare. Non conosciamo la data della sua morte, che si può porre nel 16 d.C. o poco dopo se si considera che non sono presenti nella sua opera notizie relative ad eventi posteriori a quell’anno. La data di nascita si desume dal fatto che sarebbe morto prima di compiere i 35 anni.
La tradizione manoscritta ci ha tramandato quattro libri di elegie. Dall’analisi interna si desume che il primo libro fu composto fra il 30 e l’ottobre del 28 a.C. Questo libro fu con ogni probabilità pubblicato a parte e continuò ad esserlo anche in seguito: tra i libri che diventavano di frequente oggetto di regalo, Marziale cita il monobiblos Properti (Epigrammata XIV, 189), che è proprio il titolo riportato dai manoscritti. La composizione del secondo libro si colloca probabilmente tra il 28 e il 25 a.C. La pubblicazione del terzo risale al 22 a.C. Ed infine il quarto fu pubblicato non prima del 16 a.C. forse postumo dagli amici. I primi due libri sono dominati dalla figura di Cinzia, la donna bella, ricca e colta amata dal poeta, della quale il solito Apuleio (Apologia 10) svela il vero nome, che era Hostia. Donna dal carattere aspro e superbo, avida e amante del lusso, sommamente infedele, la stella di Cinzia brilla ancora nella prima parte del terzo libro, quando finalmente nelle elegie 24 e 25 il poeta si distacca definitivamente dalla donna che lo fa soffrire così crudelmente: dopo averle dedicato cinque anni di fedele servizio – probabilmente gli anni dal 29 al 24 – egli si sente ora in grado di liberarsi dalle spire del fuoco di Venere che ardeva in lui. E sembra che abbia tenuto fede al suo voto, perché solo due delle rimanenti elegie sono dedicate ad altre donne, mentre cominciano a comparire componimenti di altro argomento, fra i quali alcuni su temi di impegno politico, qualcuno indirizzato agli amici e due a Mecenate (la prima elegia del secondo libro a Mecenate, in veste di dedica, e la nona del terzo libro). Nel quarto libro, poi, Properzio mette decisamente in secondo piano le proprie vicende sentimentali per dedicarsi a cantare con le cosiddette elegiae Romanae la leggenda di Roma, gli eventi e i personaggi di un passato mitico e glorioso che avevano portato un oscuro villaggio italico a dominare il mondo. Ma nemmeno qui abbandona i toni caldi e passionali che gli sono congeniali: reinterpreta in tal modo, applicando la poetica amorosa ai temi della poesia epica, la richiesta di impegno civile che Augusto fece a tutta quella fortunatissima generazione di poeti. Delle undici elegie del quarto libro, il più breve – secondo la suddivisione del testo tradito normalmente adottata, 22 ne comprende il primo, 35 il secondo e ancora 25 il terzo -, ancora due comunque parlano di Cinzia, la settima e l’ottava, lasciando immaginare una riappacificazione tra i due della quale non si sa altro.
Si è accennato alla questione della suddivisione delle elegie, e in effetti questo è il problema filologico principale dell’opera properziana: accade infatti che vi sia incertezza sull’effettiva divisione del testo così come appare nei codici. Perciò non poche elegie da taluni sono divise in due o addirittura tre parti e c’è anche chi ha ritenuto di proporre una diversa strutturazione in cinque libri, dividendo il secondo in due e facendo cominciare il terzo libro con la decima elegia del II libro. Ma ogni soluzione sembra destinata a rimanere incerta.