Gaius Cornelius Gallus

Il primo poeta elegiaco di Roma, Gaio Cornelio Gallo, nacque a Forum Iulii (probabilmente quella che oggi è Frejus in Provenza) nel 69 a.C. Sembra fosse di umili origini, ma giunse a conseguire cariche importanti e all’amicizia di Augusto. Nel 41 a.C. lo troviamo incaricato dai triumviri di riscuotere i contributi dei municipi della Gallia risparmiati dal provvedimento di confisca delle terre da assegnare in distribuzione ai veterani congedati con la (provvisoria) fine delle guerre civili. Al sorgere della contesa tra Ottaviano e Antonio prese le parti del primo, di cui godeva il favore. Fu al comando dell’esercito che invase l’Egitto da occidente, mentre Augusto aveva il comando delle forze che da oriente completarono la manovra a tenaglia sul paese del Nilo; e quando, dopo Azio e la sconfitta di Cleopatra assieme ad Antonio, l’Egitto fu ridotto in stato di provincia soggetta al comando diretto dell’imperatore – creando per la prima volta la distinzione tra province senatorie e imperiali -, ne divenne il primo prefetto. Questo alto incarico, assegnato a persone di rango equestre, segnò per lui l’inizio della fine. Secondo la storiografia antica egli consolidò la provincia vincendo numerosi nemici interni ed esterni ma, insuperbitosi per i suoi successi fino a uscire di senno, fece riempire l’Egitto di statue e di iscrizioni celebrative in suo onore e giunse a parlare troppo liberamente di Augusto, il quale infine gli tolse la propria amicizia. Denunciato con l’accusa di concussione e cospirazione contro lo stato, fu condannato all’esilio e, disperato, si tolse la vita nel 26 a.C. (san Girolamo Chronicon ad annum 26 a.Chr.n.: Cornelius Gallus Foroiuliensis poeta a quo primum Aegyptum rectam supra diximus XLIII aetatis suae anno propria se manu interfecit). Tra le altre, una interpretazione moderna dei fatti suggerisce invece che egli sia stato vittima della legge non scritta del nascente principato, secondo la quale il princeps non poteva tollerare che qualcuno nell’impero conquistasse visibilità pari alla sua e gli alienasse, ad esempio, la fedeltà delle truppe. Essendosi Gallo messo in luce fino a diventare un potenziale concorrente al trono imperiale, Augusto non poté e non volle lasciarlo troppo a lungo in circolazione: gli bastò far sapere che non era più suo amico per abbandonarlo nelle mani del senato.

Nella sua veste di personaggio pubblico Gallo fu apprezzato oratore, ma di questa attività nulla resta se non accenni alle orazioni in Pollionem e in Alfenum Varum. Più importante agli occhi moderni è la sua adesione ai canoni della poesia neoterica: sappiamo che fu discepolo e amico di Partenio di Nicea e che questo poeta greco del I secolo a.C. gli dedicò un manualetto mitologico in quattro libri, gli Erotikà pathèmata, perchè ne traesse materia per i suoi componimenti. Mentre l’elegia greca fu sostanzialmente impersonale e raccontò di amori del mito, e si avvalse di elementi filosofici, morali, eruditi, l’elegia latina fu al contrario estremamente soggettiva: ogni autore vi trasfigurò il proprio amore e vi raccontò le proprie vicende sentimentali, mentre l’elemento mitologico aveva sola funzione di accompagnamento quando non meramente decorativa. Gli Erotikà pathèmata assumono quindi il ruolo dell’anello di congiunzione tra l’elegia greca e latina, nel senso che il prodotto di un genere ben definito diede in realtà l’avvio a un genere diverso ad onta del nome comune. Che l’elegia latina fosse creazione originale, con ben pochi riferimenti in quella greca per temi e ispirazione, se ne resero conto anche gli antichi, tanto che Quintiliano poteva scrivere (Institutio oratoria X, 1, 93):

[XCIII] Elegia quoque Graecos provocamus, cuius mihi tersus atque elegans maxime videtur auctor Tibullus. Sunt qui Propertium malint. Ovidius utroque lascivior, sicut durior Gallus. […]

E proprio Gallo fu il primo poeta elegiaco latino nella sequenza temporale tracciata da Ovidio (Tristia IV, X, 51-54), il quale lo fa seguire da Tibullo, Properzio e se stesso; e Properzio (Elegiae II, XXXIVb, 61 segg.) tra i poeti erotici accanto a Varrone Atacino, che cantò della sua Leucadia, a Catullo, pazzo della sua Lesbia, a Licinio Calvo e al suo amore per la infelice Quintilia, mette infine Gallo, col suo amore per Licoride. Sappiamo che la passione di Gallo per la poesia e lo sfortunato suo amore per Licoride, artista di eccezionale bellezza che abbandonandolo lo gettò nello sconforto, fruttò quattro libri di elegie pubblicate sotto il titolo di Amores, ma nulla è rimasto fino a noi, se non quest’unico pentametro:

uno tellures dividit omne duas

nel quale il soggetto è il lontano fiume Hypanis, l’odierno Dniester, che divide l’Asia dall’Europa. Sull’impossibilità per noi di svolgere una ragionata critica dell’opera di Gallo pesa il durior di Quintiliano, la cui laconicità è peraltro di difficile interpretazione e probabilmente da mitigare alquanto in grazia delle tante citazioni degli ammiratori, che ci dànno in Gallo, oltreché il primo elegiaco, un personaggio di primissimo piano della poesia latina. Il suo nome ricorre in Ovidio ogni volta che si parla di riferimenti del mondo poetico (in aggiunta alla citazione precedente, il nome di Gallo è in Ars amatoria III, 334; Amores I, XV, 29-30; Amores II, IX, 64; Remedia amoris 765; Tristia II; Tristia V, I, 17). E ben nota è l’affettuosa amicizia e la stima che a Gallo riservò Virgilio, come è confermato non solo dalla citazione (Eclogae VI, 72 segg.) del carme di Gallo sulle origini del bosco Grinèo, sacro ad Apollo, ma soprattutto dalla decima ecloga, tutta dedicata a Gallo perché Licoride stessa la legga (e, secondo Servio, il grammatico autore di un commento all’opera del Mantovano, versi di Gallo si potrebbero ravvisare nel passo attorno al verso 46 dell’ecloga), e dal significativo retroscena (svelatoci ancora da Servio), secondo il quale la seconda metà del quarto libro delle Georgiche – ancora una volta la parte finale dell’opera, come nelle Eclogae, scelta come posto d’onore – sarebbe stata da Virgilio dedicata ancora alle lodi di Gallo e poi sostituita dai miti di Aristeo e di Orfeo, che la occupano nella versione a noi giunta, per desiderio di Augusto (evidentemente legato ai frangenti più sopra descritti).