Marcus Manilius

Nell’interesse per gli astri e la divinazione caratteristico di tutta l’antichità e in particolare del periodo della dinastia giulio-claudia si inquadra un originale poema astrologico, gli Astronomica di Marco Manilio.

Nulla sappiamo di lui se non che fiorì nel periodo di Tiberio, che non a caso è il principe noto tra l’altro per la sua astrofilia, come ad esempio ci racconta Tacito nel VI libro degli Annales.

Gli Astronomica sono un poema in cinque libri: nel primo sono descritte l’origine del mondo e la volta celeste; argomento del secondo sono i segni zodiacali; il terzo tratta del modo di fare gli oroscopi; gli ultimi due illustrano l’influenza dei segni dello zodiaco e delle altre costellazioni sul destino degli uomini.

Impossibile non pensare a Lucrezio come modello di Manilio, impressione confermata dalla tecnica dei proemi e della divisione degli argomenti nonché in buona misura dalla lingua, che pure è più moderna rispetto all’arcaismo lucreziano.

Tuttavia, dal punto di vista del contenuto gli Astronomica sono in realtà in aperta opposizione con il De rerum natura, e non potrebbe essere altrimenti perché Manilio è dichiaratamente stoico. Se l’epicuresimo conduce Lucrezio alla concezione così dinamica del cosmo, popolato di innumerevoli atomi in vorticoso movimento, eternamente impegnati nel combinarsi e ricombinarsi, che è la caratteristica dell’opera sua, lo stoicismo di Manilio presenta un mondo immobile e impassibile, come si manifesta della fissità degli astri nella volta del cielo.

In questa concezione statica e immutabile, gli avvenimenti umani fatalmente si verificano senza possibilità di evitarli, quasi secondo un meccanicismo del destino, e non sorprende affatto che sia possibile perciò scrutare il futuro negli immensi spazi siderei e nella lettura degli influssi astrali. E non a caso alla staticità della concezione corrisponde talvolta l’appesantimento della trattazione dello stile.