Gaio Lucilio, il padre della satira letteraria romana, nacque a Suessa, oggi Sessa Aurunca in provincia di Caserta appena oltre il confine con il Lazio, là dove iniziava l’antica terra degli Osci. San Girolamo ne riporta la nascita nel Chronicon tra le annotazioni relative all’anno 148 a.C., ma questa data è generalmente ritenuta poco attendibile: contrasta infatti sia con le notizie che lo fanno vicino al circolo degli Scipioni e amico di Scipione Emiliano (nato attorno al 185 e morto nel 129 a.C.) e Gaio Lelio, sia con l’affermazione di Velleio Patercolo (Historia Romana II, IX, 4: celebre et Lucilii nomen fuit, qui sub P. Africano Numantino bello eques militaverat. […]) che proprio sotto Scipione Lucilio avrebbe partecipato all’assedio di Numanzia – sarebbe stato nemmeno quindicenne, poiché questo fatto d’armi si svolse nel 134-133 a.C. Poiché i consoli del 148 a.C., Spurio Postumio Albino e Lucio Calpurnio Pisone, sono quasi omonimi di quelli del 180 a.C., Aulo Postumio Albino e Gaio Calpurnio Pisone, si è pensato a uno dei non infrequenti errori di san Girolamo quando si tratta di individuare i consoli. L’anno 180 sarebbe anche corente con la notizia della morte, che lo stesso Girolamo pone nel 103 a.C. a Napoli (Chronicon: Gaius Lucilius satyrarum scriptor Neapoli moritur ac publico funere effertur anno aetatis XLVI) senza contestazioni – nonostante egli precisi che avrebbe avuto 45 anni -, e con l’affermazione di Orazio (Saturae II, 1, 34) che definisce Lucilio senex. Del resto Cicerone (Brutus 160) cita un episodio del 107 a.C. che sarebbe stato noto in quanto narrato da Lucilio, a conferma che in quell’anno era ancora vivo.
Non molto solidi nel complesso anche i pochi altri tratti conosciuti della biografia luciliana. Se Velleio Patercolo può incidentalmente aggiungere che Lucilio partecipò alla guerra numantina come cavaliere, doveva essere di condizione equestre, ma sembra non fosse cittadino romano. Certamente raggiunse una posizione di rilievo nella società romana, pur essendo stato sempre lontano dalla vita politica e dedito all’otium letterario, tanto che i suoi funerali si svolsero a spese dello stato. Visse a Roma, ove possedeva la splendida casa fatta costruire per ospitare il figlio del re Antioco di Siria quando era ostaggio nell’Urbe. A Roma fu a contatto con il circolo scipionico ove divenne amico del filosofo stoico Panezio di Rodi. Probabilmente compì un viaggio ad Atene, dove conobbe lo scettico Carneade e il di lui discepolo Clitomaco.
Dei 30 libri di Saturae – ma la divisione in libri sembra sia dovuta al poeta neoterico Valerio Catone – a noi restano alcune centinaia di frammenti per un totale di circa 1300 versi. Il titolo gli fu imposto probabilmente da Lucilio stesso, se è vero che intendeva volontariamente riallacciarsi alla satira antica – misto di prosa e poesia polimetrica, di tono diverso e contenuti vari – ma la parola satura non fa parte del lessico luciliano giunto fino a noi: per indicare i propri componimenti egli parla invece – come farà Orazio – di sermones. Come quella antica la satira luciliana è polimetrica, ma sembra certo si possa ipotizzare una progressiva preferenza per l’esametro: secondo questa interpretazione i primi libri ad essere stati scritti sarebbero quelli in senari giambici e settenari trocaici, che presenterebbero le maggiori somiglianze con la satira arcaica; sarebbero poi venuti componimenti in distici, ed infine i libri in esametri. Di certo l’esametro sarà il metro d’ora in poi utilizzato per la satira letteraria – da Orazio, Persio, Giovenale – con la sola eccezione delle Saturae Menippeae di Varrone – le quali nel rifarsi esplicitamente alla satira originaria furono non solo polimetriche ma anche prosimetriche, presentavano cioè alternanza di prosa e poesia.
La scarsità e la brevità dei frammenti giunti fino a noi preclude la possibilità di indagare lo stile, i toni e gli argomenti delle satire luciliane. Almeno questi ultimi, in linea con il genere satirico, erano assai vari. Il libro III, forse intitolato proprio Iter Siculum, conteneva il racconto di un viaggio in Sicilia – argomento che fu poi ripreso da Orazio (Saturae I, 5) per il viaggio con il quale accompagnò Mecenate a Brindisi – lungo il quale sarebbe stato preso di mira lo stile gonfio e solenne del tragediografo Accio. Un attacco alle velleità riformistiche dello stesso Accio in materia di ortografia sembra che fosse sviluppato nel libro IX dedicato alla trattazione di questioni linguistiche. Secondo il grammatico Porfirione, il libro XVI era intitolato Collyra e dedicato alla donna del poeta. Nel libro XXVI espone le proprie idee contrarie al matrimonio. Nei versi si scorge anche qualche accenno di polemica politica, probabilmente contro avversari degli Scipioni: un celebre frammento proveniente dal I libro attaccava Lucio Cornelio Lentulo Lupo – del quale ci si augurava la morte, ma forse quando la morte era già avvenuta – il quale era stato prima cacciato dal senato e poi vi era stato riammesso per diventare addirittura princeps senatus. Soprattutto, a Lucilio si deve l’introduzione di due dei filoni più fecondi della satira latina e di ogni tempo: il soggettivismo autobiografico e l’intento moralistico. Gran parte degli argomenti nascevano dall’esposizione arguta e vivace di sentimenti e riflessioni personali, della propria concezione del mondo; i dardi salaci dal gusto fescennino colpivano i difetti degli uomini e la corruzione della società. Per accrescere la carica ironica Lucilio si avvaleva di tutte le sfumature della lingua, dal parlato quotidiano al tono più elevato.
Non potendo formulare una valutazione critica dell’opera di Lucilio, agli occhi dei moderni il suo principale merito rimane forse di aver ispirato Orazio. Il Venosino, che pure riconosce senza riserve a Lucilio la paternità della satira e ammette di averlo preso a modello (Saturae II, 1, 34), gli rimprovera (Saturae I, 4 e 10), con la severità che del resto riservò a quasi tutti i suoi predecessori – ma particolarmente calzante e maligno è l’aneddoto secondo il quale Lucilio sarebbe stato solito dettare duecento versi in un’ora stando su un solo piede -, la mancanza del lavoro di rifinitura, di elaborazione letteraria, la prolissità e l’estrema dipendenza dai modelli greci, soprattutto della Commedia Antica, dei quali avrebbe cambiato solo il metro (Saturae I, 4, 1 ss.):
Eupolis atque Cratinus Aristophanesque poetae
Atque alii, quorum comoedia prisca virorum est,
Siquis erat dignus describi, quod malus ac fur,
Quod moechus foret aut sicarius aut alioqui
Famosus, multa cum libertate notabant.
Hinc omnis pendet Lucilius, hosce secutus
Mutatis tantum pedibus numerisque, facetus,
Emunctae naris, durus componere versus.
Nam fuit hoc vitiosus: in hora saepe ducentos,
Ut magnum, versus dictabat stans pede in uno.
Cum flueret lutulentus, erat quod tollere velles;
Garrulus atque piger scribendi ferre laborem,
Scribendi recte […]
I modelli greci erano certo ben presenti a Lucilio in una Roma sempre più profondamente legata alla cultura greca e nella quale ormai imperava il teatro greco – grazie anche all’attività del circolo scipionico nel quale Lucilio era inserito -; ma in essi non poteva trovare quell’italum acetum – anch’esso di oraziana memoria (Saturae I, 7, 31) – che a Lucilio veniva invece tutto intero dalla tradizione e dalla cultura latina e osca. Proprio a questo si riallaccia Quintiliano (Institutio oratoria X, 1, 93-95) nell’emettere su Lucilio un giudizio assai meno duro di quello di Orazio:
[93] […] Satura quidem tota nostra est, in qua primus insignem laudem adeptus Lucilius quosdam ita deditos sibi adhuc habet amatores ut eum non eiusdem modo operis auctoribus sed omnibus poetis praeferre non dubitent.
[94] Ego quantum ab illis, tantum ab Horatio dissentio, qui Lucilium fluere lutulentum et esse aliquid quod tollere possis putat. Nam et eruditio in eo mira et libertas atque inde acerbitas et abunde salis. Multum est tersior ac purus magis Horatius et, nisi labor eius amore, praecipuus. Multum et verae gloriae quamvis uno libro Persius meruit. Sunt clari hodieque et qui olim nominabuntur.
[95] Alterum illud etiam prius saturae genus, sed non sola carminum varietate mixtum condidit Terentius Varro, vir Romanorum eruditissimus. […]
Se Orazio ne rimane probabilmente l’interprete migliore, della satira letteraria, vista orgogliosamente come creazione tutta latina senza un corrispondente genere greco, Quintiliano riconosce a Lucilio la primazia, nonostante i precedenti tentativi di Ennio e di Nevio. Benché noi non possiamo emettere un giudizio autonomo su opere e autori dei quali quasi nulla rimane, certo proprio a Lucilio e al suo lavoro di unificazione e di codifica letteraria va ascritto il merito di aver creato questo genere tutto latino che è ancora oggi uno dei più vitali generi della letteratura mondiale.