Il più grande poeta tragico di Roma, Marco Pacuvio, nacque a Brindisi, in pieno territorio osco, nel 220 a.C. Anche il nome Pacuvio è di origine osca e alla discendenza di sangue si aggiunge quella culturale, poiché sappiamo che era nipote di Ennio, il padre della letteratura latina che si vantava di avere tre cuori perché conosceva il greco, l’osco e il latino. In gioventù Pacuvio coltivò l’arte della pittura – ancora nel I secolo a.C. si ammirava un suo dipinto nel tempio di Ercole nel Foro Boario – e soltanto in età piuttosto avanzata mosse verso il teatro tragico – il suo acme è posto attorno al 154. a.C. quando era già sessantacinquenne – anche se sembra scrivesse su commissione già in precedenza. Queste scarne informazioni sono desunte dal Chronicon di san Girolamo (ad annum 600 a.U.c. = 154 a.Chr.n.: Pacuvius Brundisinus tragoediarum scriptor clarus habetur. Ennii poetae ex filia nepos vixitque Romae quo ad picturam exercuit ac fabulas venditavit. Deinde Tarentum transgressus prope nonagenarius diem obiit.) integrato da Plinio il vecchio (Naturalis historia XXXV, 19: […] Proxime celebrata est in foro boario aede Herculis Pacuvi poetae pictura. Enni sorore genitus hic fuit clarioremque artem eam Romae fecit gloria scaenae. La notizia che Ennio fosse il nonno di Pacuvio, incompatibile con le date essendo Ennio nato nel 239 a.C. e Pacuvio nel 220 senza che sia lecito nutrire dubbi, è da respingere in favore dell’indicazione di Plinio che Ennio fosse lo zio).
Di Ennio Pacuvio può essere considerato l’erede spirituale – non a caso già il poeta Pompilio lo definì discipulus Enni – e notevoli appaiono i legami tra i due all’analisi linguistica e stilistica, benché l’effettiva estensione di detti legami rimanga giocoforza confinata all’ambito delle ipotesi per la scarsità di reliquie ed enniane e pacuviane. Fu anch’egli in contatto col circolo degli Scipioni, tanto che Cicerone lo fa dire hospes et amicus meus da Gaio Lelio (De amicitia 24); ma se Ennio aveva tentato molti generi, Pacuvio si dedicò prevalentemente alla tragedia – di una sua produzione satirica non è rimasto nulla a parte il ricordo: è stato ipotizzato senza alcun appiglio che la sua satira fosse ancora caratterizzata dalla polimetria, come quella di Ennio e a differenza della satira letteraria posteriore.
Pacuvio si sarebbe ritirato dall’attività poetica dopo aver perso una gara con il giovane Accio. Sebbene simili aneddoti, quasi ponti gettati tra i personaggi illustri di due generazioni, siano tanto comuni nelle fonti antiche quanto spesso falsi, di un incontro tra i due grandi tragici si parla in diversi luoghi (così san Girolamo in Chronicon, ad annum 615 a.U.c. = 139 a.Chr.n.: L. Accius tragoediarum scriptor clarus habetur. Natus Mancino et Serrano consulibus parentibus libertinis et seni iam Pacuvio Tarenti sua scripta recitavit; […]) e sembra essere davvero avvenuto. Pacuvio morì quasi novantenne nel 130 a.C. o poco prima a Taranto, nella sua terra natale, dove si era ritirato in vecchiaia e dove avrebbe composto egli stesso il proprio epitafio (riportato da Gellio in Noctes Atticae I, 24) improntato a severa umiltà e dignum eius elegantissima gravitate:
Adulescens, tam etsi properas, hoc te saxulum rogat ut se aspicias, deinde, quod scriptum est legas. Hic sunt poetae Pacuvii Marci sita ossa. Hoc volebam nescius ne esses. Vale
Della sua attività di tragediografo ci rimangono dodici titoli di cothurnatae (Antiopa, Armorum iudicium, Atalanta, Chryses, Doulorestes, Hermiona, Iliona, Medus, Niptra, Pentheus, Periboea, Teucer), i cui argomenti appaiono spesso tratti dal ciclo troiano, e il titolo di una praetexta, Paulus, incentrata sulla figura del console Lucio Emilio Paolo vincitore a Pidna sul re Perseo nel 168 a.C. nell’ambito della terza guerra macedonica – l’opera si può mettere in relazione ancora con gli Scipioni: l’Africano Minore, attorno al quale sorse il secondo circolo scipionico, si chiamava Scipione Emiliano perché, figlio di Lucio Emilio Paolo, era stato adottato dal figlio dell’Africano Maggiore, che non aveva avuto maschi e vedeva estinguersi il ramo scipionico della gens Cornelia. Abbiamo complessivamente poco più di 400 versi, conservatici da grammatici ed eruditi quale Varrone e dalle non esigue citazioni di Cicerone. Da pochi frammenti non è possibile, naturalmente, formulare un giudizio completo e attendibile del poeta, ma quel che possediamo evidenzia un gusto accentuato per la drammaticità attraverso descrizioni di ricca e vigorosa resa pittorica, così giustificando l’opinione degli antichi che vedevano nel pathos la caratteristica più propria di Pacuvio e dei suoi personaggi. Gusto certamente di derivazione enniana, ma che è stato anche argutamente collegato con l’attività pittorica di Pacuvio.
Secondo Varrone, Pacuvio fu il più grande tragico latino. Cicerone, grande ammiratore di Ennio, premiava lui, Pacuvio e Cecilio Stazio attribuendo a Ennio la palma della poesia epica, a Pacuvio quella della poesia tragica e a Cecilio, con qualche esitazione, quella della poesia comica (De optimo genere oratorum 2: […] Itaque licet dicere et Ennium summum epicum poetam, si cui ita videtur, et Pacuvium tragicum et Caecilium fortasse comicum.). Tuttavia l’Arpinate aggiunge: Caecilium et Pacuvium male locutos videmus, rimproverandogli una certa scorrettezza della lingua. Anche Lucilio, Orazio, Persio e Marziale non risparmiarono critiche a Pacuvio per lo stile, sentito come troppo artificioso, e per i neologismi non sempre eufonici. Il poeta rimase però a lungo nel cuore degli spettatori e fu portato sulla scena per molto tempo.