Gaius Valerius Catullus

Il più celebre poeta lirico di Roma, Gaio Valerio Catullo, nacque a Verona forse nell’87 a.C. (san Girolamo Chronicon ad annum 87 a.Chr.n.: Gaius Valerius Catullus lyricus Veronae nascitur) o forse tre anni più tardi (vedi infra) da famiglia agiata che vantava amicizie di rilievo, come quella della gens Iulia e di Cesare in persona, che fu ospite nella sua casa. Catullo – forse con Lucrezio – è il primo poeta romano di condizione elevata: in precedenza poeti e letterati di Roma erano stati di condizione umile o più spesso servile (Livio Andronico, greco di Taranto e schiavo a Roma come Terenzio e Stazio; Accio, figlio di un liberto; Nevio, plebeo come Valerio Catone e Licinio Calvo; Ennio, soldato). L’agiatezza gli consentì di trasferirsi dalla piccola ma ricca Verona (città probabilmente fondata dai Veneti che in quel periodo veniva rifondata e ampliata con l’apporto di coloni romani) e di stabilirsi, probabilmente poco più che ventenne, a Roma. A Roma, Catullo rimase per circa dieci anni, intervallato da qualche breve soggiorno a Sirmione, la cittadina sul lago di Garda dove i Valerii avevano una grande villa di cui ancor oggi si ammirano i resti, che rimase, anche per le sue implicazioni affettive, uno dei temi ispiratori più sentiti dal poeta. Il suo talento e la brillantezza gli procurarono l’immediato ingresso nei circoli letterari e nell’alta società dell’Urbe e la stima incondizionata di amici, tra i quali vanno annoverati lo storico Cornelio Nepote, il grammatico Valerio Catone, l’oratore Licinio Calvo, il poeta Elvio Cinna, e tutta la generazione di giovani poeti che fioriva proprio allora – i famosi poetae novi, appellativo appioppatogli con intento ironico e polemico da Cicerone (Orator 161), con il quale sono indicati anche ai giorni nostri. Quei giovani costituirono spontaneamente, nel nuovo clima di amore per le arti e per il bello che, dopo la conquista della Grecia e con lo stabilizzarsi del potere romano nel mondo, si andava instaurando, un circolo letterario, diremmo oggi, d’avanguardia. Sebbene essi non osassero nemmeno pensare ad un distacco radicale dalla tradizione, il rifiuto dell’epica (già passata in latino con Ennio due secoli prima) a favore della lirica (fino ad allora solo greca) costituiva la prima vera rivoluzione della poesia in lingua latina, e ne rimane forse il momento più alto.

Più di cento componimenti di Catullo sono raccolti dalla tradizione manoscritta nel cosiddetto Liber Catullianum. Il primo carme contiene la dedica a Cornelio Nepote e già questo (poiché le dediche solitamente si scrivono per ultime) suggerisce che la disposizione conservata dai codici non segua un ordine cronologico – che è stato comunque possibile ricostruire in taluni casi grazie all’analisi interna del testo. Invece, i carmina sono suddivisi secondo il metro e la lunghezza della composizione in: poemetti o nugae (i primi sessanta carmina, di lunghezza difficilmente superiore a venti versi, prevalentemente in metro falecio), poesie o carmina docta (dal 61 al 68, più lunghe, prevalentemente in distici elegiaci) e invettive o epigrammata (dal 69 al 116, sempre in distici elegiaci). Secondo l’interpretazione corrente, il falecio corrisponderebbe alle passioni più sfrenate, agli eccessi della giovinezza, mentre il distico elegiaco sarebbe il metro dell’amore rassegnato, del lamento, del dolore, insomma della maturità del poeta. La principale fonte di ispirazione di Catullo fu il suo grande amore per Lesbia, donna bellissima, ricchissima e dissolutissima. Sotto lo pseudonimo di Lesbia, probabilmente scelto in omaggio a Saffo, si nasconde, secondo quanto rivela Apuleio (Apologia X, 3) una Clodia, quasi sicuramente da identificarsi con la moglie di Quinto Cecilio Metello Celere, console nel 60, e sorella di Publio Clodio Pulcro, l’agitatore politico di parte popolare ucciso da Tito Annio Milone nel 52. Di Clodia e dei suoi corrotti costumi racconta ampiamente Cicerone nell’orazione Pro Caelio, esponendone la depravazione e la sfrontatezza alla riprovazione di tutti. La Clodia di Catullo ora è bella e brillante, desiderabile e angelica, trasfigurata dal lirismo e dall’estasi d’amore; ora, nella disperazione della gelosia e nella consapevolezza quasi masochistica della follia del suo amore, è immorale come e più della descrizione ciceroniana. Secondo Concetto Marchesi ‘Saffo concepiva l’amore come gaudio o come pena; Catullo lo sentiva gioia insieme e perdizione’. Non a caso sono tra i più celebri di Catullo i due versi del carme 85 che esprimono la confusione intima di questo animo tormentato:

Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

A conferma di un’indole facile a perdersi nei vortici della passione, gli stessi estremi di feroce lacerazione dell’animo e di imbelle sottomissione alle misere passioni si possono scorgere nei cinque carmina dedicati al giovane Giovenzio, per il quale Catullo nutrì un altro tormentato amore.

Forse subito dopo il 60 a.C. morì presso Troia in Asia minore, dove venne anche sepolto, il fratello di Catullo, cui questi riservava il profondo affetto mestamente testimoniato dal carme 101. Questo triste commiato fu forse scritto davanti alla tomba del fratello, che egli poté visitare nel 57 a.C. quando giunse in Bitinia al seguito del pretore Gaio Memmio (con ogni probabilità lo stesso personaggio al quale Lucrezio dedicò il De rerum natura). Al suo ritorno in Italia, infranto definitivamente ogni legame con Lesbia, Catullo si stabilì a Sirmione ove si spense qualche tempo dopo, forse (come si intuisce nel carme 38) consumato dal suo amore infelice. Secondo san Girolamo, Catullo morì nel 58 a.C. (Chronicon ad annum 58 a.Chr.n.: Catullus XXX aetatis anno Romae moritur). Tuttavia, questa notizia confligge con il viaggio in Bitinia e con il fatto che alcuni carmina, tra gli altri l’XI, il XXIX e il LV, fanno riferimento a eventi posteriori al 57, perciò si ritiene più comunemente che la data di morte debba spostarsi attorno al 55-54 a.C. Conseguentemente, tenendo per ferma la notizia della morte nel trentesimo anno di vita, si preferisce spostare la data di nascita attorno all’84 a.C.