Ultimo tramite tra la cultura romana e quella medievale, inventore degli scriptoria che ci tramandarono tanta parte della letteratura latina e greca, Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, uomo di stato e monaco, nacque intorno al 490 d.C. a Squillace, in Calabria, da antica e nobile famiglia romana.
Il padre, alto funzionario presso il re Teodorico, lo avviò ben presto alla carriera pubblica, ed egli percorse un rapido cursus honorum giungendo alle massime cariche pubbliche sotto i re goti Teodorico, Atalarico, Teodato e Vitige. Già nel 507 d.C., dopo essersi fatto notare da Teodorico – goto ma vissuto in giovinezza a Costantinopoli come ostaggio e profondo ammiratore della civiltà romana – per la recita di un panegirico, fu nominato questore del Sacro Palazzo. Nel 514 d.C. Cassiodoro era console; nel 524 d.C. successe a Boezio, caduto in disgrazia presso Teodorico, accusato di aver brigato con Costantinopoli e giustiziato, nella carica di magister officiorum; nel 533 d.C. divenne prefetto del pretorio.
Se sotto Teodorico la civiltà romana era riconosciuta e tenuta in onore, sotto i suoi successori i Romani d’Italia erano offesi, calpestati, vilipesi. La convivenza con i Goti, che erano di fatto conquistatori e si sentivano coloro che avevano abbattuto l’Impero Romano – secondo Giordane addirittura fondatori di un nuovo impero e in qualche modo dei continuatori – mentre i Romani facevano continuamente sentire la loro superiorità, fu sempre meno facile. Già Teodorico governava l’Italia in modo sostanzialmente indipendente, nonostante si facesse un vanto di aver ricevuto dall’imperatore d’oriente Zenone l’incarico di riconquistarla dopo il “colpo di stato” di Odoacre; i suoi successori la trattarono come terra di conquista.
L’orgoglio romano e quello gotico si dovettero scontrare sempre più duramente e tanta parte dell’aristocrazia romana che aveva affrontato a viso aperto la fine dell’Impero Romano in occidente, convinta di volere salvare e poter imporre la propria civiltà sul barbaro, e che aveva accolto, fiduciosa della propria superiorità, i conquistatori goti nella rassicurante figura di Teodorico, dovette via via rivolgersi ai naturali interlocutori di Costantinopoli. In questo senso si spiega forse il cambiamento della politica del controverso Teodorico – cambiamento simboleggiato ai nostri occhi dalla condanna di Boezio, suo uomo di fiducia e tenuto in grande onore – negli ultimi anni della sua vita: prima difensore dei Romani, poi deciso a stroncare quella corrente di intese con l’Impero d’oriente che poteva minacciare quella che anche lui sentiva come nient’altro che una conquista gotica.
Cassiodoro si adoperò con tenace zelo e con diplomatica accortezza – la sorte di Boezio dovette certamente essere un monito per tutti ad essere prudenti – per attenuare gli attriti e per promuovere la fusione tra la componente romana e i conquistatori barbari. Nella sua ottica, questi propositi di pacifica convivenza dovevano riportare finalmente la tranquillità e la rinascita civile nell’Italia martoriata da due secoli di paura e minacce di invasione e da un secolo di distruzioni conseguenti alle invasioni. Erano i medesimi ideali e le medesime speranze dell’aristocrazia romana, rappresentata in questo da quella gens Anicia che in quel VI secolo d.C. espresse due figure emblematiche e carismatiche quali lo stesso Boezio e il futuro Papa e santo Gregorio Magno. In Cassiodoro all’ideale politico e civile si aggiungeva il cristianissimo ideale della pace e dell’armonia tra i popoli e del progresso umano e spirituale.
Espressione di questo sforzo di unificazione, ed insieme dell’attenzione che tutti gli alti funzionari debbono all’orgoglio del sovrano e dei conquistatori, sono due opere storiche la cui composizione è probabilmente vicina nel tempo. Il Chronicon, rimastoci, è una sorta di storia universale da Adamo ed Eva fino al 519 d.C., l’anno in cui fu scritto su invito della corte gota. Ed infatti l’ultima parte serve essenzialmente a magnificare il conquistatore, anche se l’opera conserva un certo interesse per le fonti utilizzate nella parte “romana”, tra cui Livio e il perduto, ma largamente usato nell’antichità, Aufidio Basso.
La medesima preoccupazione apologetica doveva ispirare la perduta Historia Getarum, di poco posteriore al Chronicon, che peraltro fu la fonte principale del De Getharum del goto Giordane, giunta invece fino a noi. Generalmente si ritiene che l’opera di Giordane non sia che un compendio di quella di Cassiodoro – ed in effetti Giordane afferma di essersi recato personalmente, probabilmente al Vivarium, dal Senatore, come egli appella Cassiodoro, dal quale ottenne il permesso di consultarla liberamente per tre giorni – tuttavia va osservato che l’intento del Goto nello scrivere dovette essere diverso da quello, pur apologetico, del Romano.
Nel 535 d.C. Giustiniano avviava la campagna che avrebbe portato l’Italia a riunirsi brevemente all’Impero Romano d’oriente. La guerra greco-gotica, come viene chiamata, durò fino al 553 d.C. con alterne vicende: dopo l’inizio trionfale con il quale il generale bizantino Belisario aveva in pochi anni riconquistato tutta la penisola, venne la riscossa dei Goti, favorita dalla sostituzione di Belisario – calunniato e poi riabilitato, guiderà tra l’altro la difesa di Costantinopoli dagli Unni molti anni più tardi – e dall’inettitudine dei generali che ebbero il comando, fino all’arrivo del generale Narsete che condusse vittoriosamente a termine la guerra. Val la pena di notare che anche Narsete cadde in disgrazia e fu in seguito riabilitato: la corte bizantina subiva già allora, quando ancora era romana, le atmosfere sussurrate e pettegole tipiche delle corti orientali.
Testimonianza di quel contrastato periodo sono le Variae, una silloge in dodici libri ove Cassiodoro raccolse, su invito degli amici, le lettere che egli aveva scritto, non senza attenzione alla forma letteraria, nell’esercizio della sua attività d’ufficio. Si tratta di una raccolta unica nel suo genere: curata nel 537 d.C. come saggio di abilità nei tre stili, umile, medio e sommo, nel Medio Evo divenne modello di lingua delle cancellerie e degli uffici, ed è per noi una curiosa fonte di notizie sulla burocrazia dell’epoca e sulla lingua degli uffici.
Nel 540 d.C., l’armata bizantina dilagava ormai in tutt’Italia, i Goti erano in rotta da ogni parte e la capitale Ravenna, assediata, cadeva mentre il re goto Vitige riusciva a fuggire. Nessuna speranza di pace, di integrazione e di convivenza tra Romani e barbari era più possibile mentre nuove guerre e nuove lotte si annunciavano: la guerra gotica si concluderà solo nel 553 d.C., dopo la sostituzione del generale bizantino Belisario, la conseguente riscossa dei Goti (nel 547 d.C., Vitige assedierà Roma nella zona tra la via Appia e la via Tuscolana detta da allora Campo Barbarico, fortificandosi tra gli acquedotti che lì si incontravano; per esigenze di assedio, provvide anche a tagliarli, gli acquedotti, e da allora e per un millennio Roma rimase senza approvvigionamento idrico)- , e la nuova avanzata vittoriosa dei Romani d’oriente al comando del generale Narsete.
Cassiodoro ne approfittò per abbandonare i Goti e Ravenna per ritornare in Calabria, nei pressi della natia Squillace. Lì, a Vivarium, fondò un convento nel quale si ritirò. Di questo difficile momento rimane traccia nel De anima, un opuscolo che scrisse quell’anno e aggiunse come tredicesimo libro alle Variae.
Nel monastero di Vivarium diede enorme impulso all’opera di salvaguardia e trasmissione alla posterità dell’eredità culturale classica: seguendo il principio che la conoscenza umana è propedeutica alla conoscenza di Dio, organizzò la vita monastica in modo da dare grande spazio allo studio e alla trascrizione dei codici sacri e profani. Se non si riconosce solitamente gran valore alle opere del lungo periodo monastico che concluse la sua vita, unanime è però la convinzione che a partire dal suo esempio sia nato il legame tra la vita monastica e l’amore per gli studi e la pratica amanuense, il lavoro che ha consentito il passaggio di un vasto retaggio greco e latino fino ai nostri giorni.
A Vivarium, in quegli anni, Cassiodoro radunò una folta schiera di attivi umanisti che, sotto la sua direzione, crearono una amplissima biblioteca, trascrissero codici e li emendarono, realizzarono riassunti, epitomi e compilazioni, dando origine a metodi e modelli che furono poi largamente imitati dagli scriptoria sorti nelle abbazie di tutta Europa, soprattutto benedettine.
La sua produzione letteraria dal momento del ritiro a Vivario è rivolta all’esegesi e alla didattica del clero. Nell’esegetica rentrano i Commenta Psalterii e le Complexiones in Epistolas et Acta apostolorum et Apocalipsyn, che peraltro ebbero poca diffusione.
Molto più note le Institutiones divinarum et humanarum lectionum: per istruire i religiosi allo studio delle lettere profane e della Sacra Scrittura, nel monastero di Vivario egli istituì due gradi di insegnamento; i due libri delle Institutiones sono appunto una sorta di sussidiario propedeutico, di introduzione alla letteratura sacra e profana. Nel primo libro si descrive la Bibbia e lo stato degli studi teologici e si danno spunti per l’insegnamento e lo studio; il secondo libro è una rassegna di quelle che nella scolastica medievale diverranno le arti liberali del trivio (grammatica, dialettica e retorica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia) e si danno regole per la corretta trascrizione dei codici. L’opera illustra il principio ispiratore dell’attività del monastero: che la letteratura pagana è il fondamento di quella sacra e come tale va conosciuta e studiata a fondo.
Sempre ad uso degli scriptoria è il trattatello De orthografia, redatto a oltre novant’anni, che insegna a scrivere correttamente.
Nell’ambito dell’attività di volgarizzazione va posta invece la Historia ecclesiastica tripartita, scritta in collaborazione con il monaco Epifanio, riassunto di una compilazione di Teodoro Lettore delle storie ecclesiastiche di tre autori, Socrate di Costantinopoli, Sozomeno e Teodoreto di Ciro, continuatori della “Storia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea.
Cassiodoro concluse la sua vita a oltre novant’anni nel 583 d.C.