L’intercalazione romana
In epoca storica i Romani attribuivano l’ordinamento del calendario pregiuliano, strumento essenzialmente religioso, a Numa Pompilio, il re sacerdote. L’unica versione di tale calendario che noi conosciamo ragionevolmente è quella della tarda repubblica. Non sappiamo quando si sia formato, anche se si ritiene che si sia mantenuto sostanzialmente immutato da un minimo di due a forse più di quattro secoli prima della riforma giuliana (tra gli altri Michels aderisce, allo stato indiziario delle conoscenze, all’ipotesi che risalga ai Decemviri). Si tratta di un calendario solare – e del più radicalmente solare di tutto il Mediterraneo – ma contiene evidenti vestigia di un precente calendario lunare, la cui prima se non unica versione dovette essere ad osservazione diretta.
Forse la più fondamentale di tali caratteristiche è che l’aderenza al ciclo stagionale è affidata all’intercalazione. Il più antico riferimento noto all’intercalazione sembra essere la notizia di Varrone (in Macrobio Saturnalia 1,13,20) di una legge incisa in una colonna di bronzo, probabilmente esistente ancora ai suoi tempi nel foro, dai consoli Lucio Pinario e Furio Medullino Fuso (472 a.C.), che menzionava il termine intercalare. La vaghezza della formulazione della notizia, purtroppo non insolita in Macrobio che scriveva parecchi secoli più tardi degli argomenti trattati e degli autori citati, non permette di capire se la menzione sia stata al mese intercalare o genericamente all’intercalazione, se presente nella data della legge o nel suo contenuto. Tanto meno è possibile concludere se si tratti dell’intercalazione dell’originario ipotizzato calendario lunare ad osservazione diretta oppure di una successiva forma di calendario lunare o solare.
Il calendario pregiuliano che conosciamo fu evidentemente costruito pensando ad una regola di intercalazione biennale: il numero di giorni dell’anno ordinario, pari a 355, ricalca nella sostanza la durata dell’anno lunare e i giorni aggiunti col mese intercalare, di norma 22, sono quelli necessari ogni due anni a parificare l’anno lunare all’anno solare. Vi sono certamente alcune peculiarità – l’anno ordinario è di 355 giorni in luogo dei 354 usualmente assunti come somma di 12 lunazioni; è lasciata facoltà di aggiungere un giorno intercalare al mese intercalare, ottenendo intercalazioni di 23 giorni invece che di 22 – che renderebbero impossibile eguagliare in media l’anno solare di circa 365,25 giorni con una intercalazione rigidamente biennale. Tuttavia, sarebbe ancora possibile ottenere il migliore risultato con una regola più complessa, quale quella descritta da Macrobio (Saturnalia 1,13,13), evidentemente derivata da un esercizio teorico, concepito non sappiamo da chi né quando, teso a dimostrare come il sistema potesse essere reso perfettamente funzionante.
Ma è certo che durante la vigenza del calendario pregiuliano l’intercalazione fu gestita dai pontefici, che ne avevano l’incombenza e il privilegio in quanto autorità religiosa, in modo irregolare: la regola biennale dovette essere osservata per lunghi tratti, anche rigidamente (Censorino De die natali 20,6), e fu sempre tenuta presente almeno come ispirazione, ma da essa ci si discostò ogni volta che parve opportuno e anche per lunghi periodi, spesso omettendo l’intercalazione e talvolta rendendola più frequente per recuperare l’allineamente con le stagioni. Di questa libertà rimane memoria in numerosi luoghi delle fonti (e.g. Cicerone De legibus 2,29; Suetonio Caesar 40; Solino De mirabilibus mundi 1,43; Censorino De die natali 20,7). Le accuse di negligenza e corruzione dei pontefici ivi contenute possono essere dovute a naturale sfiducia nel comportamento umano, ma comunque costituiscono l’eco, sia pure sommaria, dell’applicazione quasi “sistematica” di un approccio d’occasione. Alla stessa conclusione sembrano portare le notizie di interventi legislativi tesi a regolare l’intercalazione: Macrobio Saturnalia 1,13,20 ricorda i Decemviri nelle XII Tavole e una lex Acilia del console nel 191 a.C. Manio Acilio Glabrione. Non conosciamo esplicitamente nessuna di queste disposizioni normative, ma possiamo supporre che siano servite ad orientare l’azione dei pontefici al fine di evitare di giungere a mali estremi (e forse la lex Acilia intendeva obbligare a recuperare le intercalazioni perse durante la Seconda Guerra Punica, quando sembra che non si sia mai intercalato per la superstizione che faceva di malaugurio gli anni intercalari).
L’allineamento del calendario pregiuliano con il ciclo stagionale
Pochissimo possiamo dire dell’allineamento nel tempo del calendario pregiuliano con il ciclo stagionale e quindi con gli anni giuliani prolettici.
Nel 462 a.C. Livio Ab Urbe condita 3,8 racconta che, morti entrambi i consoli nell’infierire di una grande pestilenza, i nuovi consoli furono eletti a.d. III Idus Sextiles = 11 agosto e precisa che la stagione più afosa era passata, il che fa pensare che si fosse già nel settembre giuliano, perciò con uno scarto di circa un mese.
Nel 217 a.C. poco dopo l’entrata in carica dei consoli, che allora avveniva alle idi di marzo, Livio Ab Urbe condita 22,1,8 riporta una eclisse di sole totale che è stata identificata con quella dell’11 febbraio giuliano, comportando un errore minimo di oltre un mese.
Negli anni successivi al 200 a.C. circa sappiamo che il calendario fu disallineato di diversi mesi dal ciclo stagionale ma in errore decrescente:
- nel 190 a.C. Livio Ab Urbe condita 37,4,4 riporta una eclisse solare in data 11 luglio romano a.d. V Id. Quint., che dovette essere quella del 14 marzo per una differenza di quasi quattro mesi.
- nel 168 a.C. Livio Ab Urbe condita 44,37,38 riporta una eclisse lunare prima della battaglia di Pidna per il 3 settembre romano a.d. III Non. Sept., che dovette coincidere con l’eclisse del 21 giugno, mostrando così circa due mesi e mezzo di differenza.
Si può ipotizzare che durante la Seconda Guerra Punica si accumulò un errore che fu poi corretto nel cinquantennio successivo, magari grazie alle disposizioni della coeva lex Acilia.
Secondo Appiano De rebus Punicis 99 al tempo della levata eliaca di Sirio (intorno al 27 luglio) nel 149 a.C. una epidemia colpì gli assedianti di Cartagine e poco dopo il console Censorino partì per Roma per tenere le elezioni: poiché le elezioni si dovevano tenere in novembre (al tempo i consoli entravano in carica in gennaio e nella tarda repubblica le elezioni si tenevano in novembre) è possibile che egli sia partito in settembre per arrivare a Roma in ottobre, pertanto il calendario doveva essere grosso modo allineato alle stagioni.
Secondo Sallustio Bellum Iugurthinum 37,3 nel 109 a.C. gennaio cadde in inverno.
Secondo Plutarco Pompeius 34, la campagna in Albania di Pompeo nel 66 a.C. iniziò d’inverno al tempo dei Saturnalia, che si tenevano appunto in dicembre. Ovviamente questa equazione è valida se e solo se Plutarco apprese dalle sue fonti tanto che la campagna iniziò d’inverno quanto che iniziò in prossimità dei Saturnalia. Se le fonti gli avessero riportato soltanto che la campagna iniziò in prossimità dei Saturnalia e Plutarco avesse aggiunto dalla propria conoscenza del calendario che quella festa si tiene d’inverno (o vice versa), l’equazione cadrebbe. Purtroppo non possiamo saperlo con certezza.
Da ciò che precede e da ciò che sappiamo sulla storia romana del tempo, se ne conclude che il calendario rimase grosso modo allineato alle stagioni nel periodo 150-60 a.C.
Negli anni successivi sappiamo che per le guerre civili si rinunciò ad intercalare e di conseguenza si accumulò un certo anticipo, che fu poi corretto prima dell’avvio del calendario giuliano con l’aggiunta di 90 giorni al 46 a.C.
Gli intercalari noti
Nei secoli di vigenza del calendario pregiuliano, conosciamo appena undici occasioni di intercalazione che possono essere ritenute sicure perché citate nelle fonti letterarie od epigrafiche. Uno di questi undici casi, peraltro, è del tutto peculiare, poiché si tratta del 46 a.C. ultimus annus confusionis.
In aggiunta a questi è stato ipotizzato (Michels) che siano intercalari anche gli otto anni nei quali i Fasti Triumphales o altre fonti registrano trionfi avvenuti nei Quirinalia o Terminalia, cioè le festività successive alle idi di febbraio. Infatti questo tipo di datazione è l’unica eccezione nota in documenti ufficiali al sistema ordinario basato sui giorni fissi. In assenza di spiegazioni nelle fonti, Michels ha osservato che negli anni intercalari il riferimento alle Kalendae Intercalares non darebbe certezza della data, essendo impossibile sapere se fosse stato applicato il giorno intercalare oppure no, mentre il riferimento alle festività sarebbe privo di ambiguità. Pertanto le date degli ultimi giorni di febbraio espresse in riferimento ai Quirinalia e ai Terminalia sarebbero conseguenti all’intercalazione nell’anno. Una conferma, seppure non definitiva, di questa ipotesi a silentio giunge proprio da uno degli otto casi nei quali i Fasti Triumphales o altre fonti registrano trionfi avvenuti nei Quirinalia o Terminalia, il quale è coincidente con uno dei precedenti undici certi: nel 167 a.C. Livio data il trionfo nei Quirinalia, per poi specificare che l’anno fu intercalare.
Anni intercalari | |
Possibili | Certi |
361 a.C. (Fasti Triumphales) | |
350 a.C. (Fasti Triumphales) | |
322 a.C. (Fasti Triumphales) | |
276 a.C. (Fasti Triumphales) | |
273 a.C. (Fasti Triumphales) | |
260 a.C. (Fasti Triumphales) | |
236 a.C. (Fasti Triumphales) | |
189 a.C. (Livio Ab Urbe condita 37,59,2) | |
177 a.C. (Fasti Triumphales) | |
175 a.C. (Fasti Triumphales) | |
170 a.C. (Livio Ab Urbe condita 43,11,13) | |
167 a.C. (Fasti Triumphales, Livio Ab Urbe condita 45,43,1) | 167 a.C. (Livio Ab Urbe condita 45,44,3) |
166 a.C. (Fasti Triumphales) | |
164 a.C. (SIG3 664) | |
94 a.C. (CIL 12 2.682 – ILLRP 719) | |
83 a.C. (Cicerone Pro Quinctio 79) | |
52 a.C. (Asconio Pediano In Milonianam 30-31) | |
46 a.C. (varie fonti) |
Poiché l’intercalazione era applicata, come è noto, in febbraio tra Terminalia e Regifugium e l’esatto allineamento degli anni pregiuliani con gli anni giuliani prolettici è ignoto, gli anni giuliani riportati in tabella devono intendersi come riferimento temporale approssimativo.