Gli anni dictatoriales nella cronologia di Varrone

La sequenza consolare varroniana

La sequenza consolare stabilita da Marco Terenzio Varrone Reatino nel I secolo a.C. fu da subito considerata la più autorevole, tanto che di ricostruzioni alternative sono pervenute a noi solo evidenze limitate. Tuttavia, in epoca moderna la cronologia varroniana è stata contestata in più punti. Essa si discosta infatti di alcuni anni da quella degli autori greci, basata sul computo olimpico; è inoltre in conflitto con talune notizie delle fonti storiche. La differenza sembra sorgere nel quarto secolo, là dove Varrone introduce nella sequenza consolare due elementi anomali:
  1. un periodo di anarchia della durata di cinque anni (dal 375 al 371 a.C. compresi, durante i quali i tribuni della plebe Licinio e Sestio avrebbero posto in atto una serrata basata sull’uso estremo dello ius intercessionis impedendo continuatamente l’elezione di magistrati di potestà consolare);
  2. l’introduzione di quattro anni dittatoriali, nel 333, 324, 309 e 301 a.C. (si tratta di normali dittatori, eletti per le solite cause, il cui incarico sarebbe durato molto più del normale, tanto che avrebbero finito per essere considerati eponimi di quell’anno al fine di mantenere l’accordo tra il numero di magistrature eponime e il numero di anni solari trascorsi in un intervallo di tempo).
Poiché l’opera di Varrone è in gran parte perduta, non conosciamo le ragioni reali o supposte alla base delle scelte dell’erudito reatino. Mentre il periodo di anarchia trova un certo riscontro nelle fonti antiche (ma Diodoro Siculo gli attribuisce la più credibile durata di un anno), le stesse fonti accordano una base molto esile agli anni dittatoriali, la cui eliminazione può peraltro migliorare di parecchio l’accordo con la cronologia romana di matrice greca. Su di essi pertanto si sono appuntate le maggiori critiche alla cronologia varroniana. D’altronde, gli accenni delle fonti antiche suggeriscono che Varrone potè essere cronologo di valore e che pertanto l’approccio scientifico moderno, seppure gravemente ostacolato dal naufragio pressché totale delle argomentazioni del Reatino, non può sbarazzarsi delle sue conclusioni con pregiudiziale sicumera né accettarle acriticamente con facile sicurezza. Se è vero che non più possibile valutare l’effettiva bontà dei ragionamenti e dei sincronismi varroniani, non si può però ignorare il suo valore di studioso. Il naufragio dell’opera del Reatino non può servire né come pregiudizio positivo, assumendo cioè che le sue valutazioni siano sempre state corrette e prive di errori, e neppure negativo, concludendo cioè che le sue analisi senza spessore né profondità siano ricorse senz’altra fatica a mezzucci per far quadrare i conti. Se i Romani non ebbero ordinariamente senso cronologico, non si può dimenticare l’elogio che di Varrone fa un buon cronologo come Censorino. Lo scopo di questo saggio è pertanto di analizzare con rigore gli elementi più probanti a favore e contrari agli anni dittatoriali, anche alla luce dei diversi possibili orientamenti sulla effettiva linea di pensiero di Varrone, come emergono dalle pur generiche indicazioni sulla sua opera. Rimane al di fuori di questo saggio l’importante questione della sincronizzazione con la storia greca. Il valore e la probità di storici del calibro di Polibio e anche Dionigi di Alicarnasso sono fuori discussione, anche se il senso cronologico dei Greci, peraltro più abbondante e diffuso di quello che si trova presso i Romani, non giunse mai ai vertici di un Varrone e di un Censorino né sentì mai il bisogno di una riforma come quella giuliana. Coerentemente con ciò, essi elaborarono un sistema di computo, quello olimpico, che aveva il pregio indiscusso di essere basato sugli anni solari e l’indiscutibile difetto di essere oggettivamente impreciso.

La funzione degli anni dittatoriali

Come è noto, Varrone procedette alla ricostruzione della storia romana su basi cronologiche, giungendo sino a porre la fondazione di Roma in un anno non precedentemente indicato da alcuna fonte a noi giunta, e cioè a.Ol. 6.3 = 754/753. Quali siano state esattamente le basi cronologiche di Varrone e quali la sua precisione ed affidabilità non si può più dire con certezza. Noi riteniamo più probabile di altre interpretazioni che Varrone abbia tratto l’idea della sua cronologia dalla introduzione del calendario giuliano, che egli intese come un vero e proprio riferimento temporale preciso al giorno, realizzando la prima prolessi del calendario giuliano in modo del tutto analogo a ciò che facciamo in epoca moderna. Riteniamo altresì probabile che egli abbia avuto a disposizione una notevole mole di informazioni che gli permise di tornare all’indietro almeno fino al terzo secolo a.C. collocando gli eventi nei corretti anni solari (giuliani) con precisione forse anche al giorno; e che tuttavia egli abbia incontrato lacune informative incolmabili almeno per l’epoca anteriore all’invasione gallica tali da rendere il calcolo preciso al massimo fino all’anno (sappiamo che a questo scopo egli si valse di ulteriori riferimenti quali le eclissi solari). In questo senso Varrone si sareebbe posto in netta rottura con la tradizione annalistica romana. Per gli annalisti, infatti, la suddivisione del tempo in “anni” era scandita dalle magistrature eponime: essi non si preoccuparono mai di rapportare esattamente il numero di magistrature al numero di cicli stagionali (anni solari). Del resto per i Romani (fino al II secolo a.C. se non forse fino alla riforma giuliana) un annus non era necessariamente un anno solare così come ad esempio un saeculum non fu mai necessariamente un periodo di 100 anni solari. Nelle ipotesi che abbiamo descritto, per Varrone il IV secolo a.C. si configura come un’epoca di passaggio tra il periodo ricostruibile con precisione “al giorno” e quello ricostruibile con precisione “all’anno”. Per essa non abbiamo notizie sugli studi del Reatino se non quelle desumibili dal fatto che proprio in questo secolo egli pose diversi “anni cuscinetto”, cioè appunto il periodo detto di anarchia e gli anni indicati come dittatoriali. Per queste scelte apparentemente arbitrarie la critica di orientamento scettico tende a considerare almeno gli anni dittatoriali una mera invenzione del Reatino, da questi inseriti dove meno sembrava inopportuno al fine di prolungare, in ultima analisi, la vita di Roma fino al fatidico 753 a.C. Tuttavia questa critica si basa sull’assunzione implicita che le liste consolari occupassero un numero di anni solari pari al numero dei collegi. Allla luce dell’interpretazione dell’opera del Reatino che qui sosteniamo, è invece possibile, e forse probabile, che Varrone avesse bisogno di diversi anni solari in eccesso per far quadrare i sincronismi da lui raccolti con le sequenze consolari tradizionali. Ciò da un lato per la possibile soppressione di magistrature dalle liste per errore o dolo (senza del resto poter escludere la creazione di altre) e dall’altro per la durata variabile di esse, soprattutto in antico e in occasione delle non rare crisi della storia di Roma. Gli anni dittatoriali potrebbero essere stati posti in modo da riportare i singoli consolati il più vicino possibile ai rispettivi anni solari.

Gli argomenti contro gli anni dittatoriali

L’esistenza degli anni dittatoriali è posta in dubbio da indicazioni contrarie reperite in fonti non sospette, il cui vario valore è di seguito analizzato.
La carriera di Marco Valerio Corvino in Plinio il Vecchio
Plinio il Vecchio Naturalis historia 7,157:
… M. Valerius Corvinus centum annos inplevit, cuius inter primum et sextum consulatum XLVI anni fuere …
Il grande generale romano Marco Valerio Corvo fu console la prima volta nel 348, poi nel 346, 343, 335, 300 e infine fu console suffetto nel 299 (tutti secondo Varrone). Fu quindi console per sei volte nello spazio di 50 anni, estremi inclusi. Poiché questi spazio di tempo comprende tutti e quattro gli anni dittatoriali, se li si esclude, i 50 anni diventano 46, come riportato da Plinio. Il contesto del passo pliniano è devoluto a citazioni da diverse fonti relative a casi di persone vissute particolarmente a lungo (Marco Valerio Corvo, come si vede, avrebbe toccato i cento anni); ma il conteggio degli anni è delle fonti, non dell’Autore comasco. È pertanto verisimile che la fonte antica o antiquaria non abbia contato 46 anni solari, bensì 46 collegi consolari successivi (46 anni civili) equiparati a 46 anni solari.
Il trattato di pace tra Roma e Tarquinia in Livio
Tito Livio Ab Urbe condita libri 7,22&9,41:
[7,22,3] Creati [scil. consules] ipse C. Sulpicius Peticus … et T. Quinctius Poenus … [4] ad bellum ambo profecti, Faliscum Quinctius, Sulpicius Tarquiniense, nusquam acie congresso hoste cum agris magis quam cum hominibus urendo populandoque gesserunt bella; [5] cuius lentae velut tabis senio victa utriusque pertinacia populi est, ut primum a consulibus, dein permissu eorum ab senatu indutias peterent. In quadraginta annos impetraverunt. […] [9,41,1] Fabio ob egregie perdomitam Etruriam continuatur consulatus; Decio collega datur … [2] … Etruria Decio, Samnium Fabio evenit. … [5] Decio quoque, alteri consuli, secunda belli fortuna erat. Tarquiniensem metu subegerat frumentum exercitui praebere atque indutias in quadraginta annos petere. [6] Volsiniensium castella aliquot vi cepit; quaedam ex his diruit ne receptaculo hostibus essent; circumferendoque passim bello tantum terrorem sui fecit ut nomen omne Etruscum foedus ab consule peteret. [7] Ac de eo quidem nihil impetratum; indutiae annuae datae …
I consoli del 351(V) Gaio Sulpicio Petico e Tito Quinzio Peno furono inviati in guerra rispettivamente contro Etruschi (di Tarquinia) e Falisci. Questi due popoli, di origine probabilmente assai differente ma legati dalla vicinanza e dai commerci, si allearono spesso contro i Romani. Nell’occasione, consumati dalla guerriglia dei Romani più che sconfitti in campo aperto, finirono col chiedere ed ottennere una pace di quarant’anni. I Tarquiniesi sono nuovamente citati in 9,41, un passo relativo alla guerra condotta in Etruria dal console Publio Decio nel 308(V). Eliminando i tre anni dittatoriali nel periodo 351-308, i Tarquiniesi si sarebbero perciò rifatti vivi subito dopo la scadenza dei quaranta anni di pace. Questa coincidenza interessante non è però probante, poiché, in quel periodo, di guerre condotte genericamente contro gli Etruschi ve ne furono diverse. La ripetizione della richiesta di pace per quarant’anni è poi sospetta, tanto più che a tutti gli altri belligeranti si concede invece una tregua annuale al termine della stessa campagna.
L’eclisse nel consolato di Gaio Marcio Rutilo e Tito Manlio Torquato
Livio Ab Urbe condita libri 7,28:
[7,28,6] … Anno postquam vota erat aedes Monetae dedicatur C. Marcio Rutulo tertium T. Manlio Torquato iterum consulibus. [7] Prodigium extemplo dedicationem secutum, simile vetusto montis Albani prodigio; namque et lapidibus pluit et nox interdiu visa intendi; librisque inspectis cum plena religione civitas esset, senatui placuit dictatorem feriarum constituendarum causa dici. [8] Dictus P. Valerius Publicola; magister equitum ei Q. Fabius Ambustus datus est. Non tribus tantum supplicatum ire placuit sed finitimos etiam populos, ordoque iis, quo quisque die supplicarent, statutus.
Tra i prodigi riportati al momento della dedicazione del tempio di Giunone Moneta, durante consolato di Gaio Marcio Rutilo e Tito Manlio Torquato del 344(V), Livio cita un “calar della notte durante il giorno”. Una tale espressione può ben essere stata usata per descrivere una eclisse in tempi nei quali tale fenomeno era sconosciuto ai Romani. Tuttavia, non ci furono eclissi visibili da Roma nel 344(G) mentre, come si evince dalla tabella che segue, eliminando i quattro anni dittatoriali si potrebbe identificare la notizia di Livio con l’eclisse del 15 settembre 340(G).
Elenco delle eclissi di Sole visibili a Roma dall’anno 350 al 335 a.C. compresi
Tipo di eclisse Magnitudo (locale) Data Fase centrale (T.U.)
Anulare Centrale 0,892 06/10/350 a.C. 06h47m17s
Parziale 0,164 24/09/349 a.C. 12h04m03s
Totale Centrale 0,948 19/02/348 a.C. 09h55m38s
Totale Centrale 0,539 24/07/346 a.C. 17h26m43s
Anulare Centrale 0,695 15/09/340 a.C. 04h58m49s
Parziale 0,379 01/03/338 a.C. 10h07m38s
Totale Centrale 0,896 14/07/337 a.C. 17h28m16s
Totale Centrale 0,685 04/07/336 a.C. 08h42m53s
Parziale 0,572 17/12/335 a.C. 13h04m36s
Ovviamente è tutt’altro che certo che si debba riconoscere una eclisse nelle parole nox interdiu visa intendi; inoltre, va notato che l’eclisse del 340 a.C. ebbe luogo tra le 6 e le 7 del mattino circa (ora di Roma) appena dopo il sorgere del sole. D’altra parte, la coincidenza è rafforzata dall’assenza di altre eclissi candidabili a spiegare il fenomeno, poiché la precedente è addirittura del 346 e la seguente del 338 a.C.
Il trattato tra Roma e Cartagine del 348(V)
In assenza dei quattro anni ditatoriali, il trattato tra Roma e Cartagine usualmente datato al 348 a.C. si sposta al 344, proprio nel periodo nel quale i Cartaginesi intervennero nella guerra civile di Siracusa (344/343 a.C.) ed ebbero quindi bisogno di cercare appoggio in Italia.

Gli anni dittatoriali in Livio

Livio non considera esplicitamente nessuno dei quattro anni dittatoriali. La sua sequenza consolare è semplicemente priva di questo istituto giuridico aberrante per la costituzione romana e per l’ortodossia liviana. In tutte e quattro le circostanze egli riporta la nomina di un dittatore e ne evidenzia il ruolo e le azioni, ma non l’eventuale durata eccezionale della dittatura; anzi, in tutti i casi la possibilità di una durata eccezionale è in apparenza implicitamente eclusa dalla sequenza degli eventi narrati. Tuttavia, in tutti e quattro i casi la narrazione presenta punti oscuri: come in molti passi liviani, desidereremmo che l’Autore avesse scritto con più ordine e profondità.
Anno 333(V)
Nel consolato del 334(V), consoli Tito Veturio e Spurio Postumio, il dittatore designato Publio Cornelio Rufino si dimette in seguito a un vizio di religione all’elezione (probabilmente cattivi auspici); il contemporaneo insorgere di una epidemia convince la superstizione popolare che tutti gli auspici sono sfavorevoli; ne segue la probabile decadenza dei consoli (cui Livio però non fa cenno), poiché si va senz’altro all’interregno; i nuovi consoli saranno nominati dal quinto interrex, cioè tra i 20 e i 25 giorni dopo. In questo caso l’interpretazione del testo sembra obbligata: la dittatura e i fatti successivi fino all’elezione dei nuovi consoli durarono al massimo pochi mesi; anzi, lo stesso consolato del 334(V) durò meno di un anno, travolto dagli eventi. Tuttavia, rimane una riserva: la fugacità e del passo (due sole rapide frasi) non permette di stimare con sicurezza l’effettivo impatto della pestilenza sull’attività politica, mentre è chiaro che i nuovi consoli furono nominati quando i vecchi erano decaduti.
Anno 324(V)
Nel consolato del 325(V), il console Lucio Furio Camillo, rimasto presto ferito, è sostituito nelle operazioni militari dal dittatore Lucio Papirio Cursore, la cui figura occupa tutte le successive pagine dedicate a quell’anno (anche le imprese dell’altro console Giunio Bruto Sceva sono liquidate in poche righe per lasciare spazio a Papirio). Gran parte di queste pagine, però, è dedicata alla vicenda dell’insubordinazione del maestro della cavalleria Quinto Fabio Massimo Rulliano, che aveva ingaggiato battaglia con successo ma contro gli ordini del dittatore; vicenda che peraltro non lascia supporre lo scorrere di molti mesi. Anche la guerra vera e propria sembra essere piuttosto breve e si chiude colla concessione del trionfo a Papirio, al quale il senato chiede, prima di deporre la carica, la nomina dei nuovi consoli. Anche in questo caso, pertanto, il racconto di Livio non giustifica, anzi esclude, la concessione di un intero anno supplementare alla dittatura. Tuttavia, sembra ovvio che il mandato consolare fosse nel frattempo scaduto, altrimenti non sarebbe stato necessario prolungare il comando di Papirio fino all’elezione dei nuovi consoli. È pertanto ragionevole pensare che la dittatura di Papirio, iniziata non molto dopo l’avvio dell’anno consolare, sia durata più di sei mesi.
Anno 309(V)
Nel 310(V) Livio fa svolgere la seconda dittatura di Lucio Papirio Cursore, scelto per far fronte alla difficile situazione creatasi nel Sannio, dove il console Gaio Marcio Rutilo, ferito in battaglia, non riesce a tener testa ai nemici. L’altro console, Quinto Fabio (già protagonista dell’insubordinazione di 14 anni prima allo stesso Papirio), ottiene invece successi prestigiosi in Etruria essendo il primo a valicare in armi la temuta selva Ciminia. Anche qui Livio presenta la sequenza delle operazioni militari come avvenuta nel corso della stessa campagna, senza accennare ad una sospensione invernale e senza che il console Fabio cessi dalla carica. Tuttavia, alla usuale confusione narrativa liviana si aggiunge in questo caso la corruzione del passo, lacunoso e forse interpolato proprio al momento della battaglia decisiva al lago Vadimone. L’ottimo comportamento in Etruria valse a Fabio la rielezione immediata al consolato: anzi, Livio la presenta come una inusuale “continuazione” della carica.
Anno 301(V)
Livio associa al medesimo anno 302(V), consoli Marco Livio Dentre e Marco Emilio, due diversi avvenimenti bellici: prima l’ennesimo capitolo della guerra con gli Equi, che si conclude rapidamente grazie all’intervento del dittatore Gaio Giunio Bubulco; poi (dopo una breve parentesi dedicata ad un fatto occorso a Padova che le memorie locali ponevano in quell’anno) la ben più impegnativa sollevazione dell’Etruria e la contemporanea aggressione dei Marsi, risolta dal dittatore Marco Valerio Massimo, il quale infine passa senz’altro dalla dittatura al consolato. I due fatti potrebbero essersi svolti, in linea di principio, nello stesso anno, così come li presenta Livio. Tuttavia, la netta cesura narrativa che Livio pone tra essi potrebbe corrispondere a due campagne temporalmente diverse. I consoli non sono mai nominati durante le operazioni belliche. Le fonti di Livio, per sua stessa ammissione, erano discordi su come Valerio fosse stato eletto al consolato: egli giudica più credibile la versione per la quale i comizi sarebbero stati tenuti in assenza del dittatore dall’interré, prima di concludere imbarazzato che l’unica cosa indiscussa era che Marco Valerio fu console con Apuleio Pansa.