Pompeius Trogus

Di Pompeo Trogo, lo storico contemporaneo e oppositore di Tito Livio, non abbiamo notizie, della sua opera non possediamo quasi nulla direttamente. Sappiamo che era originario della Gallia, dal grammatico Carisio conosciamo il titolo di un De animalibus, della sua opera principale, le Historiae Philippicae, possediamo un compendio curato da Marco Giuniano Giustino probabilmente nel II secolo d.C.

Originariamente le Historiae Philippicae comprendevano quarantaquattro libri e trattavano della storia dei più grandi regni dell’antichità: della Macedonia, della Grecia, dei regni asiatici, dei Parti e infine, negli ultimi due libri, di Roma. Il titolo è giustificato dal fatto che alla storia della Macedonia e ad Alessandro Magno è dedicata la maggior parte dell’opera nonché la viva simpatia dell’autore.

Al modesto rilievo dato all’impero di Roma corrisponde invece la convinzione, invero espressa con toni e modi che tradiscono il preconcetto, che esso sia solo temporaneo e che fatalmente sarà sostituito da un altro; così accadde agli Assiri, sopraffatti dai Medi, e a questi ultimi, superati dai Persiani, e così sarà ciclicamente per sempre. I Romani sono l’ultimo di questi cicli, solo uno degli elementi della storia del Mediterraneo e saranno sopraffatti da qualcun altro, probabilmente la Partia, unico regno che Roma non ha ancora sconfitto e che con essi dividono il mondo. Anche se pur essa non sfuggì al suo destino, la potenza di maggior rilievo rimane quella macedone.

In questa concezione centrata sul concetto della potenza, soprattutto militare, e dell’estensione del potere manca evidentemente la capacità di constatare l’apporto dei popoli alla civiltà del mondo. Se infatti, astraendo dai particolari, la tesi ciclica della storia è condivisibile ed è stata regolarmente confermata anche nel caso del dominio di Roma, rimane il fatto che i popoli arricchiscono in misura diversa, mai per fato e sempre per merito, il bagaglio della civiltà e l’apporto di Roma è il più sostanzioso e duraturo.

Nel contempo l’elemento che è il limite di Trogo è forse la novità di maggior interesse. Egli è una voce completamente diversa in un coro unanime e ininterrotto che, limitandosi al periodo dei Cesari, va da Livio ad Ammiano Marcellino. Se per Livio Roma è il centro del mondo e tutta la storia è vista in funzione di Roma e del suo destino, se in Tacito l’orizzonte si allarga ai popoli barbari solo per trovarvi le virtù che consentano l’eternità al potere di Roma, se per Ammiano Marcellino, che pure assiste al disastro di Adrianopoli, la missione di Roma è comunque eterna, Trogo ha il grande merito di proporre un metodo di valutazione finalmente organico e rigoroso, in questo ben più storico.

Nulla possiamo dire invece sulle qualità di scrittore di Pompeo Trogo. Nella prefazione al suo compendio Giustino, nel lodare il lavoro di Trogo, avverte di aver fatto una selezione che escludesse le parti sovrabbondanti e poco piacevoli. Difficile dire, perciò, dove venga a galla lo stile dell’originale nella rielaborazione.