Il più celebre epigrammista latino, Marco Valerio Marziale, nacque a Bilbilis nella Spagna Tarragonense (oggi Calatayud in Aragona) intorno al 40 d.C. Da lui stesso conosciamo alcuni particolari della sua vita. I genitori Frontone a Flacilla gli fecero seguire i regolari corsi di grammatica e di retorica, sperando forse che abbracciasse la remunerativa professione di avvocato. Ma egli, come un secolo prima Ovidio, non si sentiva a suo agio tra gli oratori mentre fin da quando era puer, come ricorda nel primo libro di epigrammi, sentì il desiderio di scrivere versi. Nel 64 d.C. venne a Roma, ma solo per ingrossare le file dei clienti che intasavano la capitale. Condusse una vita povera, che prende a dileggio nei suoi stessi epigrammi, costretto ora a chiedere un prestito ad un amico, ora ad accettare in regalo, quasi un’elemosina, un oggetto necessario. Tuttavia, ci racconta che ottenne dall’imperatore la ius trium liberorum e il titolo di tribunus, grazie al quale passò nel ceto equestre. Possedette anche una casetta sul Quirinale e un poderetto a Nomentum. Ma quando nel 98 d.C. decise di tornare alla città natia, fu Plinio il giovane, che gli era amico, a pagargli il viaggio. A Bilbilis trovò l’amicizia di una vedova sua ammiratrice, una certa Marcella, che gli donò una casa e un campicello, dove visse fino alla morte avvenuta nel 102 d.C. o poco dopo.
Dei versi giovanili, che Marziale ricorda con ironico compatimento, nulla ci è pervenuto: chi desiderasse leggerli, scrive, può trovarne la raccolta presso la libreria di Valeriano. Marziale giunse alla fama probabilmente solo nell 80 d.C. quando, in occasione dei grandiosi spettacoli con cui fu inaugurato il Colosseo, egli compose e pubblicò un libro di epigrammi in cui passava in rassegna quegli spettacoli, dedicandolo all’imperatore Tito. Questo libro è noto come Epigrammaton liber o anche come Liber de spectaculis, come lo chiamò il Gruter all’inizio del ‘600. A questo seguirono dopo qualche anno altri due libri di epigrammi: Xenia e Apophoreta. Pare che il Liber de spectaculis sia divenuto popolare come compagno dei doni che era usanza scambiarsi nei Saturnalia e che anche i due successivi finissero per essere frequentemente accoppiati ai regali che si usava sorteggiare, in occasione delle stesse festività, tra gli invitati ai banchetti. Questa destinazione d’uso sembra alla nostra sensibilità più degna di un libello d’evasione che di un’opera letteraria e può certamente giustificare l’opinione di Plinio il giovane, come la leggiamo in una sua lettera a Cornelio Prisco, secondo il quale le cose scritte da Marziale non parevano eterne. Tuttavia, la fortuna di Marziale è stata in realtà ininterrotta in ogni epoca e la sua acutezza e schiettezza sono sopravvissute finanche alla difficoltà di cogliere certe allusioni che ai contemporanei dovevano risultare ben più gustose che a noi.