Isidorus Hispalensis

Isidoro di Siviglia, santo, vescovo, Dottore della Chiesa, ultimo dei Padri della Chiesa in occidente, scrittore enciclopedico e massima figura di erudito dell’Alto Medioevo assieme al venerabile Beda, nacque in Spagna intorno al 560 d.C. Questa data è ricavata da una notizia di sant’Ildefonso, secondo la quale Isidoro esercitò l’episcopato per circa quarant’anni; altrettanti ne doveva avere secondo il diritto canonico quando fu nominato vescovo, e poichè Isidoro morì nel 636 d.C. si arriva appunto attorno al 560, anche se alcuni collocano la data di nascita tra il 560 e il 570 d.C..

Proveniva da una nobile famiglia romana di rango senatorio originaria di Carthago Nova, oggi Cartagena, dove forse egli nacque. Perdette il padre, Severiano, e forse la madre, di cui non conosciamo il nome, quando era molto giovane. Forse per questo si trasferì al seguito dei fratelli a Hispalis, oggi Siviglia, in tenera età.

Il fatto che fosse originario di Cartagena è un’antica tradizione tramandata nei breviari ad uso degli ecclesiastici. Una ricostruzione forse più attendibile degli eventi suggerisce che il padre di Isidoro abbia trasferito la moglie e i suoi tre figli, Leandro, Fulgenzio e Fiorentina, da Cartagena verso Siviglia nel 554 d.C. in occasione dell’arrivo dei bizantini inviati da Giustiniano alla riconquista dei territori dell’impero d’occidente e quindi dell’inizio della guerra con i Visigoti. A Siviglia sarebbe dunque nato Isidoro. Rimasto orfano, Isidoro fu allevato dal fratello maggiore Leandro, che, come Leandro stesso attesta in una lettera alla sorella Fiorentina, si incaricò di fargli da tutore e maestro.

Come Isidoro, anche i suoi tre fratelli abbracciarono la vita ecclesiastica e furono dichiarati santi. Il maggiore, Leandro, nato intorno al 540 d.C., fu arcivescovo di Siviglia prima di Isidoro e storico. Fu colui che ottenne la conversione del re visigoto Recaredo al Cristianesimo (587 d.C.) e che si incaricò della successiva organizzazione della Chiesa nella Spagna ormai definitivamente visigota (III sinodo provinciale di Toledo del 589 d.C.; quest’opera di riorganizzazione fu poi ripresa e completata da Isidoro). Amico di Papa Gregorio Magno – si conobbero a Costantinopoli nel 582 d.C., quando Gregorio non era ancora stato eletto al soglio di Pietro (cosa che sarebbe avvenuta nel 590 d.C.), e Papa Gregorio gli dedicò il proprio commento a Giobbe nel 595 d.C. – abbiamo di lui tra l’altro l’opera “Sulla formazione delle vergini e sul disprezzo del mondo” e un “Sermone sul trionfo della Chiesa per la conversione dei Goti”. Fulgenzio fu vescovo di Ecija e la sorella Fiorentina fu monaca.

Non molto altro sappiamo di preciso della sua vita, solo qualche particolare della sua attività pastorale: egli che fu il più grande maestro del Medio Evo, degnissimo erede della grande tradizione letteraria ed ecclesiatica latina di Spagna, riconosciuto immediatamente come tale e guardato già dai contemporanei e fino alle soglie del Rinascimento come un oracolo indiscutibile, tanto che di nessun altro autore medievale possediamo altrettanti codici, è rimasto nei secoli più noto per la sua scienza che per la sua vita e la sua fama di santità.

Completati gli studi nel monastero di Siviglia, Isidoro decise di restarvi come monaco. Nel 600 fu acclamato a succedere al fratello Leandro come vescovo metropolita di Siviglia. Su di lui ricadde il compito di curare i rapporti con i re visigoti, tornati dominatori – ormai incontrastati – della Spagna dopo il tentativo di restaurazione da parte dell’Impero Romano d’oriente, e di completare la conversione del popolo visigoto. Infatti, dopo la conversione del re, solo una parte dei Visigoti l’aveva seguito e, come sempre accade in questi casi, in modo spesso formale.

Isidoro non deluse le attese riposte in lui e nella sua fama della sua famiglia. Fu vescovo zelante ed attivissimo, e importantissimo riformatore. Avvertita l’esigenza di intervenire nell’organizzazione della Chiesa in Spagna, presiedendo tra i molti altri il IV sinodo provinciale di Toledo del 633 d.C. impose una sola forma liturgica in tutta la Spagna; regolò vari punti disciplinari; insisté sull’obbligo del celibato per i preti; prese importanti provvedimenti sugli abusi dei giudici civili, sui giudei, sullo stato e sulla istruzione. L’attenzione alla cultura non meno che alle esigenze della morale gli fece anche fondare, sempre a Siviglia e tra i primissimi nel suo genere, un collegio per la preparazione dei sacerdoti, una sorta di prototipo dei moderni seminari. Egli stesso fu attento e premuroso insegnante dei futuri sacerdoti.

Il rilievo culturale e morale della figura di Isidoro, celeberrimo per la sua sapienza non solo in Spagna ma in tutto il mondo altomedievale e poi in tutte le epoche posteriori, nonché futuro Dottore della Chiesa, ci è testimoniato da un ameno aneddoto sulla sua giovinezza. Sembra che Isidoro da bambino riuscisse poco negli studi e fosse ben poco volenteroso. Si racconta che una volta, vagando per la campagna dopo essere sfuggito ad una lezione, accostandosi a un pozzo per dissetarsi, notasse i solchi che la corda scorrendo avanti e indietro aveva lasciato nella pietra e si convincesse che la volontà tenace può superare ogni ostacolo. Tornò allora sui libri e divenne il grande erudito che conosciamo. Si tratta, forse, di una pia storiella ad uso degli scolari svogliati, ma trae il suo interesse proprio dal fatto che gli scolari svogliati adesso come allora non sono certo rari.

Fatto sta che Isidoro divenne un erudito enciclopedico e fu autore di numerose opere di larghissima diffusione che spaziano su tutto lo scibile umano del suo tempo, dalla storia alla filologia, dall’agronomia alla medicina, dalla teologia alla filosofia, dall’esegesi biblica all’economia domestica. Se come erudito, nell’alto Medio Evo, condivide la palma con il venerabile Beda, come uomo di cultura è considerato il primo organizzatore della cultura cristiana e il maestro del Medio Evo, colui che, assieme a due altri celebri autori latini del VI secolo d.C., Boezio e Cassiodoro, e al grammatico Elio Donato (IV secolo d.C.), più di ogni altro influenzò la cultura medievale.

Un’altra agiografica leggenda racconta che nel primo mese di vita uno sciame d’api, invasa la sua culla, depositasse sulle labbra del piccolo Isidoro un rivoletto di miele, come auspicio del dolce e sostanzioso insegnamento che da quelle labbra sarebbe un giorno sgorgato. Come e più del venerabile Beda, infatti, Isidoro sentì l’esigenza di salvare e propagandare la cultura di cui era erede diretto e s’impegnò in una grande opera di divulgazione e di insegnamento a tutto campo. Il suo zelo di infaticabile lavoratore gli consentì di influire profondamente sul popolo della Spagna impedendo che l’elemento romano finisse nella barbarie e che l’elemento visigoto vi rimanesse.

Un discepolo prediletto di Isidoro, e suo grandissimo ammiratore, Braulio, santo e vescovo di Saragozza, ci ha lasciato una Renotatio contenente un elenco cronologico degli scritti del maestro; quest’elenco è oggi generalmente riguardato come completo ed accurato. Le sue opere, che furono per secoli punti di riferimento del sapere, sono state riunite in tre gruppi: opere enciclopediche e scientifiche, opere storiche, opere teologiche e morali. In tutte si avverte l’ampiezza del suo sguardo e la costanza del suo zelo culturale ma anche l’angustia dell’innovazione: al termine di un lungo periodo, iniziato due secoli prima col crollo dell’Impero Romano, in cui l’esigenza primaria era stata la sopravvivenza, lo spirito innovativo e prosecutore così come lo spirito critico cedono di norma il passo all’ansia di accumulare e salvare il sapere. Per la stessa ragione fu attivissimo nella realizzazione di codici miniati che ci hanno salvato una gran parte della letteratura classica: a lui dobbiamo le opere di oltre 150 autori.

Tra le opere scientifiche annoveriamo il De rerum natura. Ma in quest’ambito l’opera maggiore di Isidoro, che è certamente anche la più conosciuta in assoluto, è la Etymologiarum sive Originum libri XX. Si tratta di un’ampia enciclopedia, una summa delle conoscenze dell’epoca: come in tutte le enciclopedie, il sapere è catalogato per parole chiave; ma in questo caso l’autore cerca di illustrare i concetti esposti attraverso l’etimologia delle parole che li designano. Questo modo di procedere era assai radicato nella scolastica medievale, che con il celebre e un po’ maccheronico nomina sunt consequentia rerum intendeva esporre il convincimento che fra le cose e i loro nomi esiste sempre un collegamento logico.

Ovviamente, non sempre l’etimologia proposta da Isidoro è corretta dal punto di vista filologico, ma in fondo non era questo ad importare: quello che importava era collegare anche mnemonicamente i concetti a qualcosa che li richiamasse esplicitamente. Ad esempio, egli fa derivare medicina da modus, richiamandosi con questo alla giusta misura che deve improntare la vita del medico.

I venti libri dell’opera, che fu conclusa ed edita da Braulio di Saragozza, sono divisi per argomento: i libri I – III sono dedicati alle arti del trivio e del quadrivio, il IV libro alla medicina, i libri V – VIII alla giurisprudenza e alla vita religiosa, il IX libro ai diversi popoli (lingue, regni, eserciti, città), il X libro alla spiegazione di alcune parole difficili, i libri XI – XVII alla scienza (rispettivamente antropologia, zoologia, cosmologia, geografia, pietre e metalli, architettura, agricoltura), il XVIII libro alla guerra, il XIX alla navigazione, il XX all’economia domestica.

Importanti opere storiche sono il De viris illustribus, i Chronica e l’Historia de regibus Gothorum Vandalorum et Suevorum.

Tra le opere teologiche e morali ricordiamo: De fide catholica contra Iudaeos, i Sententiarum libri III, De ecclesiasticis officiis libri II, i Synonymorum libri II, la regola monastica Regula monachum. Inoltre ad Isidoro dobbiamo la redazione di diverse opere esegetiche.

A Siviglia Isidoro morì il giovedì 4 aprile del 636 d.C. Sugli eventi collegati alla sua morte, come per il venerabile Beda, abbiamo una testimonianza diretta, quella del diacono Redento. In prossimità della Pasqua Isidoro ebbe presentimento della morte vicina: distribuì allora tutti i suoi beni ai poveri e chiese la pubblica penitenza. Poco prima dell’alba del 31 marzo del 636 d.C., giorno di Pasqua, si fece portare nella chiesa di san Vincenzo e lì, in mezzo al coro, alla presenza del clero e del popolo, allontanate le donne al fondo della chiesa, uno dei vescovi suffraganei gli fece indossare il cilicio, un altro gli cosperse il capo di cenere ed egli si accusò per i peccati commessi. Nella generale commozione e nel pianto, piangendo cladamente egli stesso, chiese perdono per le sue colpe e preghiere per la sua anima, ricevette la comunione in entrambe le specie del corpo e del sangue di Cristo e il bacio di commiato dei presenti. Poi fu portato di nuovo nella sua cella, dove morì quattro giorno dopo.

Non sappiamo esattamente dove Isidoro sia stato sepolto. Un manoscritto dell’VIII secolo d.C., quindi di poco posteriore alla morte, attesta che la sua tomba si trovava assieme a quelle dei suoi fratelli Leandro e Fiorentina e trascrive l’epitaffio dalla croce che ne sovrastava i sepolcri. Sappiamo però, dalla precisa cronaca dell’avvenimento nota come Acta translationis Isidori, che le sue spoglie furono traslate alla fine del 1063 a Leon, capitale di uno dei regni più importanti della Spagna, dove ancora oggi riposano.

Sembra che il re di Siviglia, Almotadid, per frenare l’avanzata di Ferdinando, re di Leon, si impegnasse a pagare un tributo e a consegnare le spoglie della martire santa Giusta per onorare la nuova basilica reale di Leon. Ma quando il vescovo di Leon, Alvito, giunse nella capitale per ricevere le spoglie della santa, non le trovò. Durante la notte, gli apparve Isidoro e gli comunicò che le proprie spoglie e non quelle di santa Giusta dovevano essere traslate, e gli indicò dove trovarle. Il 21 dicembre del 1063 la basilica di Leon fu consacrata e dedicata a Isidoro.

Nella chiesa fondata da Isidoro stesso a Santiponce, nella vecchia Siviglia, esiste peraltro un sepolcro vuoto dove nei tempi passati si riteneva che il santo fosse stato sepolto e dove i fedeli lo veneravano soprattuto nel giorno di Pasqua.

Fino al momento della traslazione a Leon, non abbiamo particolari notizie di miracoli di Isidoro: la fama della sua scienza oscurava la fama della sua santità. A Leon, invece, i miracoli, tra cui molte guarigioni, si moltiplicarono. Fu anche considerato un aiuto nella lotta contro i musulmani che ancora occupavano parte della Spagna. Presso la sua tomba fino al secolo XV d.C. venivano emesse le sentenze civili, fin quando la pratica fu proibita come superstiziosa. Non intendendo i cittadini di Leon rinunciare alla protezione del santo nell’applicazione della giustizia, da allora e ancora oggi, ogni anno, la seconda domenica di Pasqua, il consiglio comunale della città di Leon si reca nella basilica per offrire a sant’Isidoro un cero di undici chili. Il rigido e complicato cerimoniale, tuttora quello dell’epoca, tutto a base di inchini, dà il nome alla cerimonia: “Las cabezadas”.

Il 25 aprile del 1722 il Papa Innocenzo XIII proclamò Isidoro santo e Doctor egregius, Ecclesiae catholicae novissimum decus. Venerato a Siviglia e a Leon come santo patrono, la sua memoria cade il 4 aprile.

Nel 2000 sant’Isidoro di Siviglia balzò agli onori della cronaca perché fu designato quale patrono di Internet dal Papa Giovanni Paolo II. La scelta fu indirizzata dal fatto che Isidoro fu appassionato sostenitore della divulgazione delle informazioni, lo scopo essenziale della rete, e anche dal fatto che le Etymologiae sive Origines, la prima enciclopedia al mondo, possono essere viste come progenitrici delle moderne basi di dati. La preghiera suggerita al navigatore per rete contextum è la seguente:

“Affinché con la Sua intercessione, possiamo dirigere le nostre mani ed i nostri occhi solo verso ciò che fa piacere a Dio e trattare con carità e pazienza tutti coloro che incontreremo in rete. Per Cristo nostro Signore: amen.