Gregorio, Papa e santo, detto Magno per la grandezza e la profondità dell’impronta lasciata dalla sua opera pastorale e di governo della Chiesa, nacque a Roma intorno al 540 d.C.;sappiamo infatti che aveva cinquant’anni quando fu eletto Papa nel 590 d.C. Di lui possediamo tra le altre la biografia curata da Paolo Diacono nell’ottavo secolo.
Apparteneva alla nobile e ricca famiglia romana degli Anicii, la stessa di Severino Boezio, esponenti di quell’aristocrazia romana che, dopo il crollo dell’Impero, si erano dati attivamente da fare per far sopravvivere, pur tra le devastazioni del passato e le mille difficoltà del presente, la civiltà romana, agendo sia in modo da non perdere il contatto con Costantinopoli che in modo da favorire l’integrazione tra Romani e barbari.
Non sorprende perciò che Gregorio ricoprisse la carica di apocrisario presso la corte imperiale di Costantinopoli, inviatovi dal Papa Pelagio per chiedere aiuto contro i nemici di Roma; e che, eletto Papa, la sua azione sia stata tutta rivolta alla conversione al cattolicesimo dei Longobardi, ariani ma governati dalla cattolica Teodolinda, degli Angli, dei Visigoti, ariani anch’essi, e al benessere delle popolazioni romane e barbare.
Rimasto presto orfano del padre, in gioventù Gregorio era stato accanito studioso di tutto ciò che era sapere, grammatica e retorica, storia e filosofia, scienze naturali e matematica. La sua nascita e il suo talento negli studi gli assicuravano una carriera e un avvenire gloriosi; basti dire che ad appena ventidue anni era già praefectus urbis. Tuttavia, scoprì presto la vocazione ecclesiastica. Allora trasformò in monastero benedettino il proprio palazzo sul Celio, di fronte al Palatino, e si fece monaco lui stesso, vivendo con gli altri confratelli in condizioni di uguaglianza. Era un asceta frugalissimo, mangiava in modo parco, vestiva il saio, rifuggiva da ogni lusso che pure poteva lecitamente permettersi, si sottoponeva invece ad intense mortificazioni corporali; e così farà anche dopo l’elezione al soglio pontificio, tanto da ridursi in salute malferma. In seguito, sempre con beni di famiglia, fondò altri cinque monasteri, tutti improntati alla regola benedettina, e diede vita a numerose altre opere di carità. Nella vita monastica egli diede grande impulso agli studi, oltre alla formazione umana e dottrinale.
Nonostante egli intendesse nascondersi e rifuggire dalla carriera anche come ecclesiastico, divenne abate del monastero di sant’Andrea al Celio, e fu infine chiamato dal Papa Pelagio all’incarico di segretario particolare. Nel 579 d.C., a testimonianza del prestigio di cui godeva anche presso la corte d’oriente e della fiducia in lui riposta, fu inviato in missione a Costantinopoli per chiedere aiuto contro i Longobardi che facevano per l’ennesima volta la voce grossa. A Costantinopoli rimase sei anni come legato apostolico, durante i quali si adoperò anche per ricomporre le questioni dogmatiche che sussistevano con le Chiese dell’oriente. In questo periodo ebbe anche modo di apprendere il funzionamento della complessa amministrazione romana d’oriente, quale era presente anche in occidente prima che egli nascesse, nonché di stringere molte amicizie umili ed importanti sia in ambito laico che religioso.
Gregorio fu prolifico scrittore di opere di argomento, pastorale, morale e spirituale. Due delle sue opere principali, la Regula pastoralis e i Moralia in Job, furono scritte proprio durante la permanenza a Costantinopoli. La Regula pastoralis rimane forse la direttiva più famosa che egli diede alla Chiesa. Attraverso di essa, egli distinse il popolo di Dio nei tre ordini: laici, chierici o sacerdoti e monaci, distinzione che vale ancora oggi. Nei Moralia indica all’uomo due strade per giungere alla visione di Dio, la vita attiva e la vita contemplativa, secondo un insegnamento che la Chiesa da allora non ha più messo in discussione.
Nel 585 d.C. fu richiamato a Roma e ritornò al suo monastero per dirigerlo come abate e riprese l’incarico di segretario particolare del Papa. Nel frattempo guadagnava sempre più stima e ascendente su umili e potenti per la sua fama di santità e per la capacità nell’affrontare le responsabilità pratiche. Non sorprende perciò che, quando alla fine del 590 d.C. si cercò un candidato per eleggere il nuovo Papa, tutti pensarono a lui. Raccontano che egli per la verità non si dimostrasse eccessivamente contento: cercò anche di fuggire, riprendendo l’idea di recarsi in Inghilterra per evangelizzarla, ma fu trovato e portato in san Pietro, ove fu eletto Papa con il nome di Gregorio I il 3 settembre del 590 d.C., a cinquant’anni.
Il suo passato di funzionario dell’amministrazione civile gli aveva dato grande praticità e abilità nella direzione degli affari pubblici e nell’amministrazione, così come il suo soggiorno a Costantinopoli l’aveva messo in contatto con la spiritualità contemplativa dell’oriente e fatto approfondire la conoscenza dei Padri orientali. Elementi che si ritrovano tutti nel suo pontificato, nel quale, nonostante la salute incerta, esplicò in soli quattordici anni di ponrificato un’azione incredibilmente attiva, proficua e multiforme, dal governo delle anime – fu un Papa particolarmente vicino a tutte le Chiese, occidentali ed orientali, come testimonia il suo straordinario epistolario: questioni dogmatiche, riparazione dei torti, difesa dei diritti, nessuna questione, fosse implicato un potente nobile, un religioso o una vedova, era troppo umile per non meritare la sua attenzione – a quello temporale – diresse l’amministrazione civile della Città Eterna in una epoca tra le più difficili della sua storia e i rapporti con il padrone nominale, l’Impero d’oriente, riorganizzò l’amministrazione del crescente patrimonio che la Chiesa di Roma si trovava ad avere in quell’epoca incerta – alle opere di carità – la sua paterna sollecitudine giungeva in ogni parte del mondo, tanto che fu il primo Papa a farsi chiamare servus servorum Dei, titolo che ancora oggi appartiene al Papa e gli rammenta lo scopo della sua vita e l’onore del suo incarico – alle iniziative missionarie – il suo impulso costante fece ottenere, oltre alla conversione dei Longobardi, anche quella degli Angli e dei Visigoti di Spagna – alle riforme amministrative e liturgiche – fece redigere il Canone Romano ed è ricordato come il Papa che diede il maggior impulso alla vita contemplativa in occidente; ma fece anche nascere il canto sacro, detto appunto gregoriano, sintesi della musicalità greca, latina e orientale.
L’elezione di Gregorio al soglio di Pietro avvenne durante una tremenda epidemia di peste, che aveva causato anche la morte del Papa precedente, Pelagio II, il 7 febbraio del 590 d.C. Era accaduto che le terribili alluvioni dell’inverno precedente avevano fatto straripare i fiumi di tutt’Italia: la pianura Padana era allagata e anche a Roma il Tevere aveva sommerso la città. La falcidie degli uomini aveva tolto braccia utili e quella degli animali, le cui carcasse giacevano un po’ ovunque nelle campagne e non solo senza che si potesse seppellirle, aveva contribuito all’inquinamento degli acquedotti romani che ancora alimentavano gran parte delle città d’Italia (non Roma, che aveva subito il taglio degli acquedotti, sembra definitivo, durante l’assedio dei Goti di Totila nel 547 d.C.) e comunque delle falde acquifere. All’invasione della acque era seguita naturalmente la carestia. Per sfuggire all’acqua i topi avevano invaso le zone più elevate dell’Urbe e si racconta che portavano via il poco cibo dalle mani degli uomini. L’epidemia era inevitabile.
Dopo la morte di Pelagio, la situazione è tanto grave che non si può procedere all’elezione del nuovo pontefice e la sedes Petri rimane vacante fino a settembre. Nel frattempo, Gregorio si prodiga nelle cure e fa adottare drastiche misure sanitarie con l’obiettivo di contenere il contagio. Già indicato come successore di Pelagio, prima ancora di venir consacrato Papa indice un solenne triduo di pubblica penitenza e una processione per invocare l’intervento divino contro il flagello. Raccontano, tra gli altri l’omonimo Gregorio di Tours, che mentre Gregorio, diretto a San Pietro alla testa di uno dei sette cortei che sfilavano per le vie dell’Urbe con i processionari che cadevano colpiti dal morbo, attraversava l’antico pons Aelius, il ponte fatto costruire dall’imperatore Adriano di fronte al suo monumento funebre, la Mole Adriana, in cima appunto alla Mole apparve l’arcangelo Gabriele con una spada fiammeggiante. L’angelo ripose la spada nel fodero, a significare che la pestilenza era finita, e così fu. L’epidemia fu bloccata e con i soldi di una grande sottoscrizione pubblica in onore dell’angelo la quadriga guidata da Adriano che ornava la testa del monumento fu rifusa nella grande statua dell’arcangelo Gabriele munito di spada che ancora lì si trova. Da allora la Mole Adriana prese il nome popolare di Castel sant’Angelo, e il ponte divenne Ponte sant’Angelo.
Il 5 settembre del 590 d.C., appena due giorni dopo l’elezione di Papa Gregorio, il re dei Longobardi, Autari, muore nel suo palazzo reale di Pavia. I duchi longobardi concessero allora alla sua vedova, la cattolica Teodolinda, di scegliere tra di loro il suo nuovo sposo e re dei Longobardi, ed ella scelse Agilulfo, duca di Torino. L’influenza di Teodolinda sullo sposo, che gli doveva la corona, è alla base della politica di conciliazione tra Longobardi e territorio della Chiesa, ancora di proprietà, almeno nominalmente, dell’Impero d’oriente, e della conclusiva conversione dei Longobardi dall’arianesimo al Cristianesimo.
Tuttavia, gli esordi di Agilulfo non sono particolarmente favorevoli al Papato. Negli anni successivi al 590 d.C., il duca di Spoleto Ariulfo, che secondo la tradizione longobarda aveva in animo di impadronirsi di Roma, intensificò le scorrerie dei suoi soldati avvicinandosi sempre più alla Città Eterna. Anticipando il pericolo di una invasione che l’esercito bizantino, asserragliato in Ravenna, non aveva la volontà e la forza di impedire, Gregorio, è il 593 d.C., invita Ariulfo a Roma presso di sé per tentare un accordo. Secondo il racconto di Paolo Diacono, il solo contatto con la umiltà e la forza morale del Papa, austero personaggio vestito di saio, santo umile e caritatevole e orgoglioso erede dell’immensa grandezza di Roma, sortirono l’effetto di spingere Ariulfo a concludere l’accordo e tornarsene a casa.
A sua volta Agilulfo, sentendosi scavalcato da Ariulfo nelle sue aspettative di conquista, aveva preso a minacciare il territorio di Roma, tenuto a freno soltanto dall’influenza della moglie che era in fitta corrispondenza con il Pontefice. Il successo, peraltro solo diplomatico, ottenuto da Papa Gregorio riaccende l’iniziativa dell’esarca Romano, il comandante bizantino in Italia, che era asserragliato a Ravenna e che per lo più aveva fino allora lasciato i territori bizantini, la striscia di terreno che andava da Ravenna a Roma attraversando la penisola, nelle mani rapaci dei Longobardi. Questi ultimi non attendevano altro che cacciare definitivamente l’esercito d’oriente e impadronirsi dell’intera penisola.
Romano partì allora da Ravenna per percorrere i territori bizantini fino a Roma e ristabilirvi il potere imperiale. La risposta di Agilulfo è fulminea: alla fine del 593 d.C. lascia la capitale Pavia, intercetta l’esercito bizantino a Perugia e marcia su Roma, che cinge prontamente d’assedio. Ed è un assedio durissimo: tutt’intorno all’Urbe sono devastazione, stragi di inermi, barbarie disumana in puro stile Longobardo; si racconta che migliaia di prigionieri furono mandati a Roma legati in fila, come schiavi, dopo aver subito il taglio di entrambe le mani.
All’interno delle Mura Aureliane, Gregorio guidava la scarsa guarnigione bizantina, tentava di rianimare il popolo terrorizzato e cercava di mantenere i contatti con quella cristianità che era a lui affidata, nonostante l’estrema difficoltà del momento. Il cerchio degli assedianti era strettissimo: il protocollo ove era registrata tutta la posta del Papa in entrata e in uscita, di norma estremamente affollato allora come oggi a testimonianza della sollecitudine del Vicario di Cristo, mostra incredibilmente una prolungata lacuna che dura per tutti i primi tre mesi del 594 d.C.
È in questo periodo tra il 593 e il 594 d.C. che Gregorio scrive i Dialogi. Egli aveva già da tempo in animo di attendere ad un’opera che raccontasse miracoli grandi e piccoli avvenuti recentemente in Italia, per farli uscire dalla sfera della tradizione orale e dalle sue modificazioni e ricondurli all’ambito della tradizione scritta e dell’oggettività. Anche se pressato dalle esigenze del momento e che molti nella corte papale lo consigliano di intraprendere il lavoro, segnatamente il diacono Pietro, prende in mano la penna.
Il titolo dell’opera richiama la forma dialogica con cui è scritta, appunto un colloquio tra due personaggi, il Papa stesso e il diacono Pietro. E il tema dei santi e dei miracoli con cui Dio aiuta il suo popolo, soprattutto nei momenti difficili, era particolarmente attuale in quel frangente di dura privazione, nel quale la popolazione angosciata e provata aveva più bisogno di santità e di fede, di esempi viventi da imitare e di avvenimenti che incoraggiano la fede e spronano alla preghiera.
L’opera è incentrata sulla figura di san Benedetto da Norcia, letteralmente poiché se dei tre libri dei Dialogi il primo e il terzo sono dedicati a una cinquantina di santi e beati e ai prodigi accaduti per mezzo loro, il libro centrale è tutto dedicato al grande santo morto circa quarant’anni prima, monaco a Subiaco, abate a Montecassino e fondatore del benemerito ordine dei benedettini, cui il Papa stesso apparteneva. Si può ben dire che il prestigio e la fama di cui godette da allora fino ad oggi san Benedetto è anche dovuto all’opera di divulgazione compiuta da Papa Gregorio Magno, la cui vita di san Benedetto è l’unica che possediamo e il cui talento di scrittore ha fatto sentire la mano del Signore nel mostrare la vita ordinaria di una persona che era anche un grande santo.
Nel 594 d.C. Gregorio tenta ancora una volta quella carta diplomatica che aveva dato buoni frutti con Ariulfo. Agilulfo fu ricevuto sui gradini di San Pietro (allora c’era ancora la basilica fatta costruire da Costantino) dal Papa accompagnato dagli infelici mutilati di cui si è detto. Nel suo animo, dice la storia, si ripeté quel che era accaduto ad Ariulfo e Agilulfo accettò di levare le tende dietro il pagamento di una grossa somma. Si racconta poi che Agilulfo volle essere battezzato in punto di morte, suggellando così la conversione del suo popolo che Gregorio Magno aveva così fortemente voluto.
Papa Gregorio Magno è considerato l’ultimo dei Padri della Chiesa, e in effetti la sua opera e la sua mentalità ne fanno il tramite spirituale tra l’epoca romana ormai al termine e il Medio Evo incipiente (o, secondo gli storici, già iniziato). La sua semplicità d’eloquio e la capacità di riassumere e riordinare l’eredità del passato hanno spezzato al Medio Evo il pane della spiritualità. La raccolta delle sue omelie si incarica di darcene la spiegazione più convincente.
Gregorio Magno, questo grande Papa e santo che ha lasciato il suo nome legato a conversioni di popoli come al canto ecclesiastico, morì il 12 marzo del 604 d.C. Canonizzato, annoverato tra i Dottori della Chiesa, la sua festa è celebrata il 3 settembre.
Ancora oggi, sul colle Celio a Roma, quasi di fronte al Palatino, si trova la sua casa-monastero, tra la chiesa a lui dedicata e quella dedicata ai santi Giovanni e Paolo, riadattato ad oratorio, quello detto di santa Barbara. In quella casa, ogni giorno il Papa Gregorio faceva servire a sue spese il pranzo a dodici poveri.