Eusebio di Vercelli, vescovo e santo, nacque in realtà in Sardegna alla fine del III o più probabilmente all’inizio del IV secolo d.C. Non si chiamava nemmeno Eusebio: questo nome lo assunse dopo essersi convertito al Cristianesimo al momento del suo battesimo in Roma. Fu infatti battezzato dal Papa Eusebio – in seguito fatto santo anche lui – e sembra che egli assumesse quel nome per ricordare colui che lo aveva tratto con il battesimo dalla schiavitù del peccato a somiglianza dei liberti che, quando venivano liberati, assumevano il gentilizio dell’ex padrone. Non conosciamo peraltro il suo nome di nascita.
I particolari della sua vita li dobbiamo, oltre che a qualche accenno nel suo epistolario, in parte giunto fino a noi, ad una antica Vita Eusebii. A Roma Eusebio venne in gioventù, probabilmente per completare i suoi studi e iniziare la carriera, come tanti provinciali di tutte le parti dell’Impero Romano facevano ormai da tempo immemorabile. Invece vi conobbe la conversione e tanti buoni amici. Frequentò la Schola romana e divenne amico di Liberio, futuro Papa; diverrà poi amico e collaboratore di sant’Atanasio di Alessandria e sant’Ilario di Poitiers. Battezzato, fu lettore della Chiesa di Roma e finì con l’essere ordinato sacerdote.
Nell’Impero Romano il Cristianesimo era passato in pochi anni dall’epoca delle persecuzioni (l’ultima di Diocleziano è dei primi anni del IV secolo d.C.) a quella del riconoscimento e del sostegno dell’imperatore (editto di Milano del 313 d.C.). Nella prima metà del IV secolo d.C. – a distanza ancora molto breve da quei fatti contrastanti – la Chiesa era organizzata poco o comunque in modo assai diseguale sul territorio dell’Impero, ma ora il mutato atteggiamento del potere nei suoi confronti lasciava spazio ad un’opera di evangelizzazione molto più capillare ed ampia al tempo stesso. Quest’opera necessitava ovviamente di una organizzazione più radicata e più agile, in definitiva più vicina alle popolazioni, che la Chiesa, con la rapidità che di solito ne contraddistingue l’individuazione e la soluzione dei problemi, s’incaricò prontamente di strutturare.
Eusebio fece parte di una legazione pontificia inviata nell’Italia settentrionale che aveva il compito di organizzare la presenza della Chiesa sul territorio secondo la necessità e fondare nuove diocesi. Se la Chiesa di Roma, che risaliva al periodo di san Pietro e san Paolo, aveva una sua consolidata organizzazione, nel nord dell’Italia la struttura era ancora largamente carente. Giunto a Vercellae, oggi Vercelli, sebbene straniero, venne eletto vescovo per acclamazione popolare; l’elezione venne ratificata dal Papa san Giulio il 15 dicembre del 345 d.C. ed Eusebio venne consacrato primo vescovo di Vercelli e del Piemonte.
Dalla sua sede episcopale acquisì grande autorità tra il clero italiano e occidentale. Grande evangelizzatore tuttora ricordato in tutto il Piemonte, fu pastore zelante osannato per le molteplici iniziative benefiche e istituzionali: consacrò la prima cattedrale di Vercelli, nell’antico tempio pagano dedicato alla dea Vesta; introdusse un nuovo rituale liturgico, il che lo assimila al sant’Ambrogio di Milano; fu predicatore instancabile soprattutto nelle campagne, in larga parte pagane; fu tra gli iniziatori dell’ascetica monastica nell’attuale Piemonte; tramandano che fu lui a portare l’immagine di Maria nei santuari di Crea e Oropa e ad iniziarne i pellegrinaggi.
Fu inoltre intrepido e indefesso avversario delle numerose eresie dell’epoca. Quando nel 355 d.C. l’imperatore Costanzo II – uno dei figli di Costantino da poco rimasto unico imperatore dopo una lunga e sanguinosa lotta contro fratelli e usurpatori – il quale era seguace dell’arianesimo, convocò un concilio a Milano, su proposta di Papa Liberio, per dirimere la questione dell’ortodossia, fu invece un trionfo dell’eresia. L’imperatore riuscì con le buone e soprattutto con le cattive a far prevalere la perfidia arianorum, e dei 355 lì convenuti da tutte le regioni dell’occidente tre soli vescovi si alzarono per invitare i presenti a firmare il Simbolo Niceno-Costantinopolitano, la formula del Credo stabilita nel Concilio di Nicea che è in uso anche oggi, ed erano Lucifero di Cagliari, Dionigi di Milano ed il nostro Eusebio.
La reazione dell’imperatore e degli eretici fu immediata. Secondo la tradizione, gli eretici presero Eusebio per i piedi e lo trascinarono sul terreno finchè, sanguinante, non diede più segni di vita. Storicamente, come agli altri due, gli spettò l’esilio, che consumò prima a Scitopoli in Palestina, poi in Cappadocia, infine in Tebaide. Durante l’esilio forzato subì il carcere e ogni genere di vessazioni e di privazioni. Nel frattempo, la situazione politica mutava nuovamente: nel 361 d.C., mentre il Cesare Giuliano, cugino di Costanzo, veniva acclamato Augusto dalle truppe della Gallia, Costanzo, che intendeva combattere il cugino traditore, moriva facendosi battezzare da un vescovo ariano e lasciando erede proprio il cugino. Imperatore diveniva dunque il giovane Giuliano, che passerà alla storia con l’appellativo di "apostata" per il suo tentativo di restaurare il paganesimo come religione ufficiale dell’Impero.
Giuliano tuttavia, era di temperamento assai più moderato di molti suoi predecessori e, se tentò di riassegnare il primo posto all’antica religione di Roma, anche allontanando dagli uffici importanti i Cristiani e revocando i privilegi concessi al clero cristiano da Costantino e dai suoi successori, non dimenticò di richiamare dall’esilio coloro che erano stati banditi negli ultimi burrascosi concili. Anche Eusebio in quello stesso 361 d.C. fu libero di tornare alla sua sede episcopale.
Gli anni di esilio e di privazioni non l’avevano mutato né avevano fiaccato il suo spirito: si recò dapprima ad Alessandria, la città dell’irriducibile sant’Atanasio, anche lui più volte esiliato all’epoca di Costanzo, dove già nel 362 d.C. con san Lucifero, suo conterraneo e vescovo di Cagliari, radunava i vescovi cattolici nel Concilio dei Confessori per riprendere la lotta contro le eresie. Ritornato a Vercelli per riprendere il suo posto, fu con Ilario di Poitiers un baluardo contro l’eresia nelle chiese del nord.
Eusebio di Vercelli morì il primo agosto del 371 d.C., all’età di circa settant’anni. Le sue spoglie mortali riposano da allora nella cattedrale di Vercelli. Il Papa Giovanni XXIII, con Breve apostolico del 24 novembre 1961, elesse sant’Eusebio “Vescovo e Martire, Patrono di tutto il Piemonte, con gli onori e i diritti liturgici che competono ai Patroni”. Nel 1985 si è svolto l’Anno Eusebiano, deciso dall’arcivescovo Tarcisio Bertone. La festa di sant’Eusebio è commemorata il 2 agosto come memoria facoltativa.
Eusebio è ricordato nella storia della letteratura cristiana antica per la traduzione in latino dei Commentari ai Salmi dell’omonimo Eusebio di Cesarea. Ci rimane anche un epistolario. Secondo una antichissima tradizione, sarebbe stato eseguito sotto la sua cura nel romitorio di Crea anche il Codex Vercellensis evangeliorum, la più antica traduzione nota dei quattro Vangeli, precedente alla Vulgata di san Girolamo.