Della vita del più fine commediografo romano, Lucio Afranio, non ci sono giunte notizie affidabili. Nato probabilmente a Roma, visse tra la seconda metà del II secolo e la prima metà del I scolo a.C. Fu prolifico autore di commedie di argomento ed ambientazione romana, le cosidette fabulae togatae. Della sua produzione ci restano 300 frammenti, dei quali 26 provengono da commedie il cui titolo è ignoto o incerto, i restanti da ben 43 opere diverse (Abducta, Aequales, Auctio, Augur, Brundisina, Cinerarius, Compitalia, Consobrini, Crimen, Deditio, Depositum, Divortium, Emancipatus, Epistula, Exceptus, Fratriae, Ida, Incendium, Inimici, Libertus, Mariti, Materterae, Megalensia, Omen, Panteleus, Pompa, Privignus, Prodigus, Proditus, Promus, Prosa, Purgamentum, Repudiatus, Sella, Simulans, Sorores, Suspecta, Talio, Temerarius, Thais, Titulus, Virgo, Vopiscus).
Per quanto da resti così esigui e sparsi sia difficile intuire lo svolgimento degli intrecci, possiamo affermare che gli argomenti sono solitamente tratti dalla vita quotidiana delle classi più umili, tanto che qualcuno ha accostato le togate di Afranio alle comoediae tabernariae. Secondo Quintiliano, vi erano spesso rappresentati amori turpi che Afranio prendeva dalla sua vita sregolata; il Retore se ne rammaricava, poiché a suo giudizio Afranio nel genere togato eccelleva (Institutio oratoria 10,1,100):
Togatis excellit Afranius: utinam non inquinasset argumenta puerorum foedis amoribus, mores suos fassus!
L’eleganza e la finezza espressiva valsero ad Afranio l’accostamento a Menandro da parte di un certo Orazio (Epodes 2,1,57: dicitur Afrani toga convenisse Menandro), con un parere prudente ma lusinghiero poiché accolto da un poeta non disposto a compromessi sull’arte. Del resto il paragone con Menandro dovette fin dal principio venire spontaneo, se è vero che il Greco fu tra i principali ispiratori di cui il Romano si avvalse secondo la sua stessa confessione tramandataci da Macrobio (Saturnalia 6,1,4):
Afranius enim togatarum scriptor in ea togata quae Compitalia inscribitur non inverecunde respondens arguentibus quod plura sumpsisset a Menandro:
Fateor, inquit, sumpsi, non ab illo modo,
sed ut quisque habuit conveniret quod mihi
quodque me non posse melius facere credidi,
etiam a Latino.
Inserire nel prologo delle proprie commmedia una difesa della propria arte e delle proprie scelte era tradizione dei commediografi romani, presso i quali, così attaccati al costume nazionale, l’accusa di plagio attecchiva facilmente in ogni strato della popolazione. La superiorità artistica greca, di cui i Romani sentirono costantemente il fascino perché si vedevano in competizione su un terreno al di fuori del perimetro del mos maiorum, permetteva di giustificarsi anche solo con la propria convenienza o con il desiderio di portare al pubblico i vertici artistici altrui. Di Menandro, peraltro, Afranio dovette essere intelligente seguace, se Cicerone (De finibus bonorum et malorum 1,7) ne evidenzia il gusto, anche quando la traduzione era letterale, nella scelta dei passi più appropriati.
La capacità espressiva, l’arguzia, nonché l’ammirazione del Nostro per l’acutezza altrui, anche di nazione latina, trovano in un giudizio dello stesso Arpinate altra conferma (Brutus 167):
Eiusdem fere temporis fuit eques Romanus C. Titius, qui meo iudicio eo pervenisse videtur quo potuit fere Latinus orator sine Graecis litteris et sine multo usu pervenire. Huius orationes tantum argutiarum tantum exemplorum tantum urbanitatis habent, ut paene Attico stilo scriptae esse videantur. Easdem argutias in tragoedias satis ille quidem acute sed parum tragice transtulit. Quem studebat imitari L. Afranius poeta, homo perargutus, in fabulis quidem etiam, ut scitis, disertus.
Il successo di Afranio nell’antichità dovette essere duraturo, se gli echi si raccolgono per secoli qua e là negli autori posteriori: Velleio Patercolo Historia Romana 1,17 e 2,9; Suetonio Nero 11; Gellio Noctes Atticae 13,8, il quale dedica il paragrafo a due suoi versi. Un’allusione di Ausonio (Epigrammata 67) sembra implicare che Afranio fosse almeno letto, se non rappresentato, ancora alla fine del IV secolo.