Il principio d’anno nel calendario delle origini
Il calendario è uno degli elementi più stabili nella storia di un popolo, sia per la straordinaria forza dell’abitudine derivante dall’uso quotidiano di uno strumento condiviso da tutti, sia perché l’esigenza di mantenere comune lo strumento rende impossibile apportarvi modifiche che non siano strettamente necessarie ed esse stesse condivise, sia per la sua connessione a doppio filo con la vita religiosa del popolo. I Romani utilizzarono fin dai tempi più remoti un calendario lunisolare, nel quale cioè il ciclo mensile origina dal periodo del moto lunare e l’adattamento al ciclo solare è ottenuto per mezzo di opportune intercalazioni. Tuttavia, essi non usarono mai uno schema d’intercalazione rigido e prefissato, preferendo affidare il compito della sua regolazione ad uno dei massimi sacerdoti pubblici, in epoca storica il pontefice massimo, con ciò rispecchiando la concezione religiosa che essi avevano del calendario. Il pontefice poteva usare e usava la massima libertà nell’espletamento di questo alto compito, talché è per noi impossibile risalire alla sequenza delle intercalazioni, delle quali solo alcune sporadiche sono fortunosamente conosciute. Sono noti dalle fonti taluni interventi legislativi sui meccanismi d’intercalazione che nel corso dei secoli tentarono probabilmente di limitare le conseguenze negative di comportamenti arbitrari, malaccorti o abusivi dei pontefici. La stessa ripetitività del legislatore testimonia dei suoi fallimenti, verosimilmente perché non ci si poteva spingere fino alla compressione dello ius pontificalis. La versione corrente del calendario romano in epoca storica ci è grossolanamente nota e di fatto non sufficientemente chiara. La tradizione faceva rimontare tale calendario al re Numa, che avrebbe modificato un precedente calendario ascritto a Romolo. La conoscenza del calendario romano del periodo regio e della prima repubblica appare troppo generica per gli stessi Romani di epoca storica. Le scarne notizie tramandateci dalla tradizione letteraria sono sfocate e confuse. Il calendario romuleo, cioè la versione più antica del calendario, iniziava con il mese di marzo. Se, come è probabile, tale mese era più o meno allineato con l’inizio della primavera, esso coincideva anche con l’inizio della stagione bellica, il che giustifica l’intitolazione del mese al dio Marte. Che esso sia stato il primo mese, almeno da principio e da qualche importante punto di vista, è insito nel fatto incontrovertibile e certamente significativo che i mesi da quintile a dicembre sono intitolati all’ordinale da cinque a dieci. Gennaio e febbraio sarebbero mancati fino alla riforma numana (Ovidio Fasti 1,43-44 At Numa nec Ianum nec avitas praeterit umbras, / mensibus antiquis praeposuitque duos). Secondo alcuni gennaio sarebbe stato il penultimo mese dell’anno, per non alterare la sequenza che tradizionalmente iniziava a marzo. Ciò cozza però con l’intitolazione a Giano dio degli inizi. Le notizie in merito sono contrastanti e non conclusive. Secondo Varrone De lingua latina 6,13 duodecimus…mensis fuit Februarius. Ovidio (Fasti 2,47-54 Sed tamen, antiqui ne nescius ordinis erres, / primus, ut est, Iani mensis et ante fuit. / Qui sequitur Ianum ueteris fuit ultimus anni: / tu quoque sacrorum, Termine, finis eras. / Primus enim Iani mensis quia ianua prima est; / qui sacer est imis Manibus imus erat. / Postomodo creduntur spatio distantia longo / tempora bis quini continuasse viri.) parla oscuramente di una inversione tra i due mesi risalente ai Decemviri = bis quini viri. Macrobio si smentisce da sé in due passi a breve distanza: in 1,13,3 dice: de duobus [sc. mensibus] priorem Ianuarium nuncupavit primumque anni esse voluit, ma poco dopo in 1,13,14: Omni autem intercalationi mensis Februarius deputatus est, quoniam is ultimus anni erat. La questione è in realtà duplice: da un lato l’inizio di quello che noi chiamiamo anno civile, e che per i Romani fu inscindibilmente anche l’anno liturgico; dall’altro l’inizio del consolato, che doveva durare grosso modo un anno solare. Questi problemi sono intersecati da una terza questione: il momento dell’anno nel quale si svolgeva nei tempi antichissimi la cerimonia del clavus figendus, l’infissione del chiodo per contare gli anni.Il conteggio degli anni della repubblica
Una importante notizia è data da Livio 7,3:Lex vetusta est, priscis litteris verbisque scripta, ut qui praetor maximus sit Idibus Septembribus clavum pangat; fixa fuit dextro lateri aedis Iovis Optimi Maximi, ex qua parte Minervae templum est. Eum clavum, quia rarae per ea tempora litterae erant, notam numeri annorum fuisse ferunt eoque Minervae templo dicatam legem quia numerus Minervae inventum sit. Volsiniis quoque clavos indices numeri annorum fixos in templo Nortiae, Etruscae deae, comparere diligens talium monumentorum auctor Cincius adfirmat. M. Horatius consul ea lege templum Iovis Optimi Maximi dedicavit anno post reges exactos; a consulibus postea ad dictatores, quia maius imperium erat, sollemne clavi figendi translatum est. Intermisso deinde more digna etiam per se visa res propter quam dictator crearetur. Qua de causa creatus L. Manlius, perinde ac rei gerendae ac non solvendae religionis gratia creatus esset, bellum Hernicum adfectans dilectu acerbo iuventutem agitavit; tandemque omnibus in eum tribunis plebis coortis seu vi seu verecundia victus dictatura abiit.Secondo Livio, era uso sancito da una legge antica piantare un chiodo ogni anno, nelle idi di settembre, sul tempio di Giove Ottimo Massimo, dalla parte del tempio di Minerva inventrice dei numeri, con lo scopo di tenere il conteggio degli anni. La legge di cui parla Livio, di cui il testo stesso e la scrittura denunciavano l’arcaicità allo storico patavino, poteva risalire al periodo regio, nel quale l’incarico era affidato a un praetor maximus. Tuttavia, non sembra che il tempio di Giove Ottimo Massimo, voluto dall’ultimo dei Tarquini, abbia avuto un predecessore. Con l’avvento dei consoli (che erano originariamente detti anche pretori, secondo Cicerone) l’onore passò ad uno di essi, e Marco Orazio Pulvillo (consul suffectus di Lucio Giunio Bruto, il preminente tra i due primi consoli repubblicani) fu il primo a piantare il chiodo per l’anno successivo alla cacciata dei re, cioè il primo anno della repubblica. In seguito, quando era in carica un dittatore, cui spettava una dignità maggiore anche di quella consolare, se non altro per l’esercizio di un potere monocratico, fu questi ad occuparsi della cerimonia, e si finì col nominare appositamente un dittatore per questo solo ufficio solenne. Naturalmente il dittatore era tenuto a lasciare la carica appena eseguito il compito. Fu proprio un dittatore clavi figendi causa, probabilmente il primo recalcitrante all’abdicazione immediata, a costringere l’Autore patavino a trasmetterci questa preziosa informazione: Lucio Manlio Imperioso, dittatore nel 391=363 (cfr. Fasti Capitolini sub eodem anno), eletto per piantare il chiodo, si comportò come se fosse stato chiamato a reggere lo stato e non a risolvere una questione di natura religiosa; il suo tentativo fu però bloccato ed egli fu costretto alle dimissioni. In Livio sono presenti tre ulteriori riferimenti all’usanza del chiodo, tutti relativi alla nomina di un dittatore clavi figendi causa: in 8,18 la nomina di Gneo Quintilio, relativa all’anno 423=331 (cfr. Fasti Capitolini sub eodem anno), avvenne perché, a somiglianza di un episodio reperito negli antichi annali, si credeva che tale cerimonia avrebbe fatto tornare in sé le menti sconvolte delle matrone coinvolte in un grande processo di veneficio; in 9,28 l’Autore riferisce che per taluni annali il dittatore dell’anno 441=313 Gaio Petelio ebbe parte attiva nella lotta con i Sanniti (così i Fasti Capitolini sub eodem anno), per altri fu nominato clavi figendi causa; in 9,34 la probità dei dittatori clavi figendi causa, che rimettono spontaneamente un incarico cui è altrimenti connesso un potere assoluto, è citata dall’oratore in senato per contrasto con l’arroganza di Appio Claudio che nel 444=310 non volle abbandonare la carica di censore. Un’ulteriore notizia è nei Fasti Capitolini sub anno 263, per i quali il dittatore Cn. Fulvius Cn.f. Cn.n. Maximus Centumalus con il maestro della cavalleria Q. Marcius Q.f. Q.n. Philippus sarebbero stati eletti clavi figendi causa. Non si può direttamente desumere da queste notizie che in origine il principio dell’anno civile fosse posto alle idi di settembre. Senza alcuna pretesa di oggettivo fondamento, ci sembra preferibile pensare che la cerimonia fosse prevista in prossimità della metà dell’anno, e che quindi l’inizio fosse il solito principio di marzo. Non è chiaro se con l’avvento della repubblica ci si sia attenuti a quest’uso anche per l’inizio dell’anno consolare, poiché vedremo che le poche notizie sull’inizio del consolato sono concordi nel collocare il principio tra sestile = agosto e settembre fino al 461 a.C.
L’inizio dell’anno nel periodo repubblicano
Secondo le fonti, fin dal principio il consolato fu un incarico di durata annuale. Spesso, irriflessivamente, se ne fa discendere come cosa ovvia che l’ingresso in carica dei consoli segnasse l’inizio dell’anno civile sin dalla prima epoca della repubblica. Tuttavia, ciò non è affatto ovvio né si ha evidenza che, almeno fino al II secolo a.C., i Romani l’abbiano mai pensato. Del resto, il capodanno civile doveva essere stato fissato e consacrato dall’abitudine nei due secoli e mezzo di periodo regio mentre l’elezione dei consoli e il conseguente inizio dell’esercizio della magistratura poteva subire, e subì frequentemente, anticipi o ritardi per ragioni contingenti: guerre esterne e lotte intestine, abdicazioni e morti accidentali, dimissioni per questioni di religio, pestilenze o altro, sono tra gli eventi che volta a volta poterono consigliare o imporre la fine anticipata di un consolato o viceversa il mancato svolgimento delle elezioni nei tempi previsti e il prolungamento dell’incarico precedente o il ricorso all’interregno. A quanto pare, le date ufficiali di svolgimento dei comizi elettorali e d’inizio della magistratura cambiarono più volte nel corso dei secoli, rimanendo comunque, fin dai primordi della repubblica, separate da alcuni mesi. Ma talvolta, sempre per ragioni di utilità dello stato, furono fatte coincidere. La tradizione letteraria ci ha consegnato poche date precise dell’ingresso di consoli nella carica, che di seguito tabuliamo. Osserviamo per inciso che una sola di queste date è successiva all’invasione gallica, evento che segnò, per unanime consenso degli antichi, la scomparsa di gran parte della pur scarna documentazione scritta precedente.Anno | Inizio del consolato | Fonte |
261=493 | καλάνδαις Σεπτεμβρίαις | Dionigi 6,49,1-2: ἀποδείκνυσιν ὑπάτους … Πόστομον Κομίνιον καὶ Σπόριον Κάσσιον … οὗτοι παραλαβόντες τὴν ἀρχὴν καλάνδαις Σεπτεμβρίαις θᾶττον ἢ τοῖς προτέροις ἔθος ἦν … |
278=476 | περὶ τὰς θερινὰς μάλιστα τροπὰς Σεξτιλίου μηνὸς | Dionigi 9,25,1: τῷ δ᾽ ἑξῆς ἔτει περὶ τὰς θερινὰς μάλιστα τροπὰς Σεξτιλίου μηνὸς παραλαμβάνουσι τὴν ὑπατείαν ἄνδρες ἔμπειροι πολέμων Σερούιός τε Σερουίλιος καὶ Αὖλος Οὐεργίνιος … |
291=463 | Kalendis Sextilibus | Livio 3,6: Comitia inde habita; creati consules L. Aebutius P. Servilius. Kalendis Sextilibus, ut tunc principium anni agebatur, consulatum ineunt. |
292=462 | a.d. III Idus Sextiles | Livio 3,8: cum aliquot interregna exissent, P. Valerius Publicola tertio die quam interregnum inierat consules creat L. Lucretium Tricipitinum et T. Veturium Geminum … Ante diem tertium Idus Sextiles consulatum ineunt … |
294=460 | Decembri mense | Livio 3,19: [sc. P. Valerio consule in pugna interfecto] Decembri mense summo patrum studio L. Quinctius Cincinnatus, pater Caesonis, consul [sc. suffectus] creatur qui magistratum statim occiperet. |
304=450 | Idus Maiae | Livio 3,36: Idus tum Maiae sollemnes ineundis magistratibus erant. |
311=443 | τῇ διχομήνιδι τοῦ Δεκεμβρίου μηνὸς (Idibus Decembribus) | Dionigi 11,63,1: τῷ δ᾽ ἑξῆς ἐνιαυτῷ πάλιν ὑπάτους ψηφισαμένου τοῦ δήμου κατασταθῆναι παραλαμβάνουσι τὴν ὕπατον ἀρχὴν τῇ διχομήνιδι τοῦ Δεκεμβρίου μηνὸς Μάρκος Γεγάνιος Μακερῖνος τὸ δεύτερον καὶ Τίτος Κοίντιος Καπιτωλῖνος τὸ πέμπτον. |
331=423 | Idibus Decembribus | Livio 4,37: His rebus actis, consules ii, quos diximus [sc. C. Sempronius Atratinus Q. Fabius Vibulanus], idibus Decembribus magistratum occepere. |
352=402 | Idus Decembres | Livio 5,9: … Idus Decembres, sollemnem ineundis magistratibus diem … |
363=391 | Kalendis Quintilibus | Livio 5,32: Kalendis Quintilibus magistratum occepere L. Lucretius Ser. Sulpicius M. Aemilius L. Furius Medullinus septimum Agrippa Furius C. Aemilius iterum. |
425=329 | Kalendis Quintilibus | Livio 8,20: Extemplo igitur consules novi, L. Aemilius Mamercinus et C. Plautius, eo ipso die, Kalendis Quinctilibus, quo magistratum inierunt … |
586=168 | Idibus Martiis | Livio 44,19,1: L. Aemilio Paulo C. Licinio consulibus Idibus Martiis principio insequentis anni … |
Lo spostamento alle calende di gennaio
Livio ex libro 47 periocha:Consules anno quingentesimo nonagesimo octauo ab urbe condita magistratum Kal. Ian. inire coeperunt. Mutandi comitia causa fuit quod Hispani rebellabant.A partire dal consolato di Quinto Fabio Nobiliore e Tito Annio Lusco, nel 153 a.C., i consoli entrarono in carica nelle calende di gennaio. L’usanza pervenne fino al tempo della riforma giuliana, che confermò l’inizio dell’anno al 1° gennaio. Questa notizia è confermata dai Fasti Praenestini, nei quali, alle calende di gennaio, si trova questa annotazione: Kalendae appellantur quia / [pri]mus is dies est quos pont[i]fex minor quo/[libet] mense ad Nonas sin[gulas calat] / [in Capi]tolio in curia Cala[bra ann]us no[vus] / [incipit] quia eo die mag(istratus) ineunt quod coepit / [p(ost) R(omam)] c(onditam) a(nno) DCI