Il calendario gregoriano

Indice degli argomenti trattati
  1. I motivi della riforma del calendario giuliano
  2. Il calendario di Luigi Lilio o gregoriano
  3. Il calendario perfetto
Indice delle fonti utilizzate
  1. Papa Gregorio XIII Inter gravissimas (bolla emanata il 13 febbraio 1582)

I motivi della riforma del calendario giuliano

Nonostante la buona approssimazione, la durata dell’anno giuliano è ancora troppo distante dalla durata effettiva dell’anno solare per mantenere un buon allineamento sulla scala temporale del millennio. Il calendario giuliano – che è stato in uso fino a tempi recenti in Russia e in Grecia e che è ancora in uso, ad esempio, presso le Chiese orientali – porta con sé un errore minimo che, accumulandosi di anno in anno, crea già in qualche secolo uno sfasamento dell’ordine dei giorni tra l’anno civile (giuliano) e quello solare (effettivo).

Che la durata effettiva dell’anno solare è di poco inferiore a 365,25 giorni (durata media dell’anno giuliano) era già noto nell’antichità: Ipparco di Nicea (190-120 a.C.) l’aveva stimata in giorni 365 + 1/4 – 1/300 pari a 365 giorni 5 ore 55 minuti e 12 secondi. Oggi sappiamo che l’anno solare è approssimativamente pari a 365,2422 giorni ovvero 365 giorni 5 ore 48 minuti e 46 secondi. Di conseguenza, il calendario giuliano ritarda di circa 0,0078 giorni per anno rispetto all’anno solare, ovvero di circa un giorno ogni 128 anni, ovvero di circa (0,0078 * 400) = 3,12 giorni ogni 400 anni, o anche di circa 7,8 giorni ogni mille anni. In altre parole, l’equinozio di primavera, che Sosìgene aveva fissato al 25 marzo, viene progressivamente anticipandosi nel calendario giuliano, cioè l’equinozio astronomico viene a corrispondere nel calendario giuliano a giorni che precedono via via sempre più il 25 marzo.

La prima forse a notare l’errore e a preoccuparsene fu la Chiesa, perché in base all’equinozio di primavera è stabilita la data di celebrazione della più importante festa cristiana, la Pasqua. Il Concilio di Nicea del 325 d.C. stabilì infatti che la Pasqua doveva essere celebrata nella prima domenica successiva al primo plenilunio che cade nel, o dopo il, giorno dell’equinozio di primavera. In questo modo si legava la Pasqua al calendario lunare, ed è il motivo per cui questa festa non può avere una data fissa nel corso di un calendario legato all’anno solare. Questa scelta ricrea infatti le esatte circostanze astronomiche della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, evento che fu legato alla celebrazione della Pasqua ebraica, a sua volta legata al calendario lunare.

Nel 325 d.C. erano passati già 370 anni dall’entrata in vigore del calendario giuliano e l’errore tra anno civile e anno solare era ormai di quasi tre giorni, perciò l’equinozio di primavera non cadeva più il 25 marzo ma, in effetti, il 22 marzo. Continuando a prendere come riferimento il 25 marzo, si sarebbe finito col celebrare la Pasqua sempre più vicino all’estate.

La soluzione radicale del problema richiedeva una qualche correzione dell’anno giuliano. Poiché, però, la differenza era ancora contenuta, fu scelta una via meno complessa anche se meno robusta: anticipare l’equinozio di primavera dal 25 marzo a una data precedente, che fu fissata al 21 marzo. Come è noto questa data segna tutt’ora, in media, l’inizio della primavera.

Il calendario di Luigi Lilio o gregoriano

Per circa dodici secoli il problema della discrepanza tra anno solare e anno giuliano, pur noto agli studiosi, fu lasciato irrisolto. Fino al Concilio di Trento, che inserì la questione tra i punti di necessario rinnovamento della Chiesa di fronte alla sfida, anche scientifica, del Protestantesimo, e a Papa Gregorio XIII che si impegnò ad attuarlo fra gli altri.

Papa Gregorio XIII al secolo si chiamava Ugo Boncompagni. Nacque nel 1502 a Bologna e nell’ateneo felsineo – il più antico del mondo – studiò diritto e vi divenne dottore nel 1530 tenendovi lezioni dal 1531 al 1539, quando rinunciò alla cattedra per trasferirsi a Roma. In gioventù condusse una vita dissipata – della quale gli rimase un figlio naturale, Giacomo, che fu poi comandante delle truppe pontificie – finché fu portato alla conversione dall’incontro con san Carlo Borromeo, niente meno. Prese parte dal 1546 ai lavori del Concilio di Trento e fu creato cardinale nel 1565. Alla morte di Pio V, il 25 maggio del 1572 venne subito eletto Papa e tale rimase fino alla morte avvenuta il 10 aprile 1585.

Dopo l’elezione al soglio di Pietro, Papa Gregorio istituì una specifica commissione incaricata di studiare ed approvare la riforma del computus Paschalis e quindi del calendario giuliano. Unico membro laico di tale commissione era Antonius Lilius, medico calabrese esperto di astronomia, il quale già da alcuni anni lavorava per promuovere una dettagliata proposta elaborata dal defunto fratello Aloysius Lilius, o Luigi Lilio, e forse da lui stesso, che risolveva elegantemente il problema.

Di Luigi Lilio si sa ben poco: due soli sono i documenti scritti che lo nominano. Nacque a Cirò in Calabria (oggi in provincia di Crotone), forse nel 1510, da famiglia modesta. Studiò astronomia e medicina a Napoli; conseguita la laurea, fu a Roma; è poi attestata la sua presenza a Perugia quale docente di medicina nel 1552. Morì, pare, nel 1576 a Roma, dove sarebbe convenuto per presentare il suo progetto alla curia pontificia. Tuttavia già nel 1574 non fu lui ma il fratello Antonio a illustrarne il contenuto al vescovo e studioso Alessandro Piccolomini.

Se Luigi non fece in tempo a comparire davanti alla commissione, il suo progetto, sostenuto dal fratello Antonio non meno che dalla semplice ingegnosità della soluzione, trionfò su non poche altre proposte. Il Papa ordinò allora di stamparne una riduzione in forma di saggio, che vide la luce il 5 gennaio 1578 con il titolo Compendium novae rationis restituendi kalendarium, da inviare in visione ai principi cristiani e alla comunità scientifica internazionale per sollecitarne i commenti e preparare il terreno. Poiché il testo originale di Lilio, dal quale fu tratto il Compendium, non è giunto fino a noi, non è chiaro se e in che misura la commissione abbia apportato modifiche, delle quali non è rimasta traccia, né quale sia stata la sorte delle osservazioni degli esperti interpellati.

Infine la riforma fu promulgata con la bolla Inter gravissimas pastoralis offici nostri curas del 13 febbraio 1582, ma, nonostante le attenzioni preliminari, incontrò le resistenze destinate alle innovazioni che cozzano con le radicate abitudini. Solo pochi re e governanti aderirono sin dall’inizio; i datori di lavoro pretesero di corrispondere i salari solo per i giorni lavorati, mentre chi vantava crediti volle gli interessi anche per i giorni soppressi; nelle campagne i coltivatori si ribellarono temendo che i santi dei giorni eliminati si vendicassero sui raccolti. Non andò meglio ad Antonio Lilio, al quale il Papa prima concesse l’esclusiva per dieci anni della stampa dei nuovi calendari e poi gliela revocò perché non riusciva a stampare il numero di copie richieste.

Della riforma assunse la difesa un eminente membro della commissione, il matematico e gesuita tedesco Christophorus Clavius (1537-1612), professore al Collegio Romano. Clavius godeva ai suoi tempi di altissima reputazione: fu chiamato un nuovo Euclide e Galileo disse di lui che era ‘degno di immortale fama’. Per la sua importante opera di spiegazione e divulgazione della riforma liliana egli è effigiato con Lilio alla base della statua di Gregorio XIII in San Pietro. La riforma fu progressivamente accettata da tutte le nazioni man mano che divenne conosciuta e ne risultarono evidenti i vantaggi e la semplicità applicativa.

Quando Papa Gregorio XIII stabilì di adottare la riforma di Luigi Lilio, l’equinozio di primavera cadeva ormai l’11 marzo. Infatti, l’errore accumulato dall’introduzione dell’anno giuliano fino a quel momento, pari a 0,0078 * (1581 + 45) ~ 12,7 giorni in meno, doveva essere recuperato. Tuttavia, il Concilio di Nicea aveva già deciso di recuperare lo scarto accumulato nei primi 370 anni spostando la data dell’equinozio di primavera dal 25 al 21 marzo, perciò rimanevano da recuperare solo 0,0078 * (1581 + 45 – 370) ~ 9,8 giorni in meno, che potevano essere tranquillamente approssimati a 10 giorni.

Per riportare l’equinozio al 21 marzo, la data fissa assunta dal computus giuliano, furono soppressi dieci giorni dall’anno 1582 (o altro anno successivo per chi non avesse aderito immediatamente) e precisamente fu stabilito che il giorno successivo al 4 ottobre 1582 d.C. fosse il 15 ottobre. Questo periodo in ottobre fu scelto perché non vi cadevano feste religiose, che sarebbero state altrimenti abolite per quell’anno; la memoria dei santi festeggiati nei giorni soppressi fu spostata per l’occasione al 15 ottobre e ai giorni seguenti. Perciò in effetti l’anno 1582 ebbe soltanto 355 giorni.

Il 4 ottobre era un giovedì, quindi il 15 avrebbe dovuto essere un lunedì. Tuttavia, non si volle alterare l’ordine dei giorni della settimana e il 15 ottobre divenne un venerdì. I giorni della settimana proseguirono poi normalmente, confermando l’assunzione generale in questioni cronologiche che l’unica sequenza che non ha probabilmente mai subito alterazioni nel corso della storia è quella dei giorni della settimana (per cui se oggi è lunedì, N * 7 giorni fa era ancora lunedì, qualunque sia N grande a piacere).

Per limitare ulteriori slittamenti della data dell’equinozio di primavera nel futuro (mantenerlo al 21 marzo permette di non modificare le regole del calcolo della Pasqua), Papa Gregorio stabilì inoltre di adottare la definizione di anno civile proposta da Lilio. Egli pensò che per correggere l’errore del calendario giuliano, molto prossimo a ¾ di 1/100 di giorno, era sufficiente sopprimere 3 giorni bisestili ogni 400 anni. Si trattava solo di stabilire il modo più conveniente di sceglierli e per questo Lilio trovò un semplice espediente perfettamente aderente alla regola giuliana: egli modificò la regola d’inserzione del giorno bisestile sopprimendo l’anno bisestile per tutti gli anni multipli di 100 ma non di 400. In tal modo, mentre nel calendario giuliano vengono aggiunti 100 giorni ogni 400 anni, in quello gregoriano nello stesso periodo ne vengono aggiunti solo 97 (e 97 / 400 = 0,2425). L’anno così definito, pari in media a 365 giorni e 97/400 ovvero 365,2425 giorni sul periodo di 400 anni, è detto gregoriano. L’anno 1600, pochi anni dopo la riforma, fu dunque bisestile come lo è stato più di recente l’anno 2000, mentre non sono stati bisestili il 1700, il 1800 e il 1900 e non lo sarà il 2100.

Qui è appena il caso di notare che la riforma del calendario giuliano, originata dall’esigenza di mantenere efficiente il calcolo tradizionale della Pasqua come stabilito a Nicea, fu accompagnata dalla riforma delle regole di detto calcolo, che furono anzi in questo senso il piatto forte dell’intervento. A questo proposito, accenniamo al fatto che la proposta di Lilio sostituì il metodo classico delle tabulae Paschales, basato sul ciclo di Metone, con un metodo basato su un calcolo più preciso. Il ciclo metonico, infatti, perdeva anch’esso un giorno ogni 310 anni circa. Lilio introdusse addendi correttivi (noti come equazione lunare ed equazione solare) al calcolo dell’epatta del calendario giuliano; dell’epatta così calcolata produsse anch’egli tavole di pronto uso, facendone il nuovo strumento per il calcolo della Pasqua.

Il calendario perfetto

Va infine osservato che anche il calendario gregoriano è solo una approssimazione del ciclo solare. Tuttavia l’errore è molto piccolo: poiché la durata dell’anno solare è molto vicina a 365,2422 giorni, l’anno gregoriano è più lungo di quello solare di circa 0,0003 giorni. In altre parole, il calendario gregoriano soffre di un errore pari a un giorno in più ogni 3.300 anni circa, ovvero a circa tre giorni in più ogni 10.000 anni. Questo ha suggerito in epoca recente di applicare un ulteriore miglioramento al calendario gregoriano, consistente nell’eliminare i tre giorni in più nell’arco dei 10.000 anni, ad esempio sopprimendo il giorno bisestile negli anni 4000, 8000 e 12000 d.C. (tutti e tre regolarmente bisestili nel calendario gregoriano).

Un calendario che segua una tale regola è detto calendario perfetto. Tuttavia, poiché il primo giorno di errore del calendario gregoriano sarà apprezzabile attorno al 4900 d.C. e poiché inoltre sulla scala temporale dei millenni altri,ridottissimi fenomenti astronomici del tutto indipendenti divengono apprezzabili introducendo errori di uno o più giornie rendendo quindi necessarie ulteriori correzioni, nonostante l’indubbio fascino della cosa è superfluo dire che nessuno ha seriamente preso in considerazione l’idea di adottare ufficialmente il calendario perfetto.

È interessante ripercorrere la storia del calendario gregoriano sul testo della bolla Inter gravissimas, che riportiamo integralmente:

GREGORIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

INTER gravissimas pastoralis officii nostri curas, ea postrema non est, ut quæ a sacro Tridentino concilio Sedi Apostolicæ reservata sunt, illa ad finem optatum, Deo adiutore, perducantur.

I. Sane eiusdem concilii patres, cum ad reliquas cogitationes breviarii quoque curam adiungerent, tempore tamen exclusi, rem totam ex ipsius concilii decreto ad auctoritatem et iudicium Romani Pontificis retulerunt.

II. Duo autem breviario præcipue continentur, quorum unum preces laudesque divinas festis profestisque diebus persolvendas complectitur, alterum pertinet ad annuos Paschæ festorumque ex eo pendentium recursus, solis et lunæ motu metiendos.

III. Atque illud quidem felicis recordationis Pius V, prædecessor noster, absolvendum curavit atque edidit.

IV. Hoc vero, quod nimirum exigit legitimam kalendarii restitutionem, iamdiu a Romanis Pontificibus prædecessoribus nostris et sæpius tentatum est; verum absolvi et ad exitum perduci ad hoc usque tempus non potuit, quod rationes emendandi kalendarii, quæ a coelestium motuum peritis proponebantur, propter magnas et fere inextricabiles difficultates, quas huiusmodi emendatio semper habuit, neque perennes erant, neque antiquos ecclesiasticos ritus incolumes (quod in primis hac in re curandum erat) servabant.

V. Dum itaque nos quoque, credita nobis, licet indignis, a Deo dispensatione freti, in hac cogitatione curaque versaremur, allatus est nobis liber a dilecto filio Antonio Lilio, artium et medicinæ doctore, quem quondam Aloysius eius germanus frater conscripserat, in quo per novum quemdam epactarum cyclum ab eo excogitatum, et ad certam ipsius aurei numeri normam directum, atque ad quamcumque anni solaris magnitudinem accommodatum, omnia quæ in calendario collapsa sunt, constanti ratione et sæculis omnibus duratura, sic restitui posse ostendit ut calendarium ipsum nulli umquam mutationi in posterum expositum esse videatur. Novam hanc restituendi calendarii rationem, exiguo volumine comprehensam, ad christianos principes celebrioresque universitates paucos ante annos misimus, ut res quæ omnium communis est, communi etiam omnium consilio perficeretur; illi cum, quod maxime optabamus, concordes respondissent, eorum nos omnium consensione adducti, viros ad calendarii emendationem adhibuimus in alma Urbe harum rerum peritissimos, quos longe ante ex primariis christiani orbis nationibus delegeramus. Ii cum multum temporis et diligentiæ ad eam lucubrationem adhibuissent, et cyclos tam veterum quam recentiorum undique conquisitos ac diligentissime perpensos inter se contulissent, suo et doctorum hominum, qui de ea re scripserunt, iudicio, hunc, præ ceteris, elegerunt epactarum cyclum, cui nonnulla etiam adiecerunt, quæ ex accurata circumspectione visa sunt ad calendarii perfectionem maxime pertinere.

VI. Considerantes igitur nos, ad rectam paschalis festi celebrationem iuxta sanctorum patrum ac veterum Romanorum pontificum, præsertim Pii et Victoris primorum, necnon magni illius oecumenici concilii Nicæni et aliorum sanctiones, tria necessaria coniungenda et statuenda esse: primum, certam verni æquinoctii sedem; deinde rectam positionem XIV lunæ primi mensis, quæ vel in ipsum æquinoctii diem incidit, vel ei proxime succedit; postremo primum quemque diem dominicum, qui eamdem XIV lunam sequitur; curavimus non solum æquinoctium vernum in pristinam sedem, a qua iam a concilio Nicæno decem circiter diebus recessit, restituendum, et XIV paschalem suo in loco, a quo quatuor et eo amplius dies hoc tempore distat, reponendam, sed viam quoque tradendam et rationem, qua cavetur, ut in posterum æquinoctium et XIV luna a propriis sedibus numquam dimoveantur.

VII. Quo igitur vernum æquinoctium, quod a patribus concilii Nicæni ad XII Kalendas Aprilis fuit constitutum, ad eamdem sedem restituatur, præcipimus et mandamus ut de mense Octobri anni MDLXXXII decem dies inclusive a tertia Nonarum usque ad pridie Idus eximantur, et dies, qui festum S. Francisci IV Nonas celebrari solitum sequitur, dicatur Idus Octobris, atque in eo celebretur festum Ss. Dionysii, Rustici et Eleutherii martyrum, cum commemoratione S. Marci papæ et confessoris, et Ss. Sergii, Bacchi, Marcelli et Apuleii martyrum; septimodecimo vero Kalendas Novembris, qui dies proxime sequitur, celebretur festum S. Callisti papæ et martyris; deinde XVI Kalendas Novembris fiat officium et missa de dominica XVIII post Pentecostem, mutata litera dominicali G in C; quintodecimo denique Kalendas Novembris dies festus agatur S. Lucæ evangelistæ, a quo reliqui deinceps agantur festi dies, prout sunt in calendario descripti.

VIII. Ne vero ex hac nostra decem dierum subtractione, alicui, quod ad annuas vel menstruas præstationes pertinet, præiudicium fiat, partes iudicum erunt in controversis, quæ super hoc exortæ fuerint, dictæ subtractionis rationem habere, addendo alios X dies in fine cuiuslibet præstationis.

IX. Deinde, ne in posterum a XII Kalendas Aprilis æquinoctium recedat, statuimus bissextum quarto quoque anno (uti mos est) continuari debere, præterquam in centesimis annis; qui, quamvis bissextiles antea semper fuerint, qualem etiam esse volumus annum MDC, post eum tamen qui deinceps consequentur centesimi non omnes bissextiles sint, sed in quadringentis quibusque annis primi quique tres centesimi sine bissexto transigantur, quartus vero quisque centesimus bissextilis sit, ita ut annus MDCC, MDCCC, MDCCCC bissextiles non sint. Anno vero MM, more consueto dies bissextus intercaletur, Februario dies XXIX continente, idemque ordo intermittendi intercalandique bissextum diem in quadringentis quibusque annis perpetuo conservetur.

X. Quo item XIV paschalis recte inveniatur, itemque dies lunæ, iuxta antiquum Ecclesiæ morem ex martyrologio singulis diebus ediscendi, fideli populo vere proponantur, statuimus ut, amoto aureo numero de calendario, in eius locum substituatur cyclus epactarum, qui ad certam (uti diximus) aurei numeri normam directus, efficit ut novilunium et XIV paschalis vera loca semper retineant. Idque manifeste apparet ex nostri explicatione calendarii, in quo descriptæ sunt etiam tabulæ paschales secundum priscum Ecclesiæ ritum, quo certius et facilius sacrosanctum Pascha inveniri possit.

XI. Postremo, quoniam partim ob decem dies de mense Octobri anni MDLXXXII (qui correctionis annus recte dici debet) exemptos, partim ob ternos etiam dies quolibet quadringentorum annorum spatio minime intercalandos, interrumpatur necesse est cyclus literarum dominicalium XXVIII annorum ad hanc usque diem usitatus in Ecclesia Romana, volumus in eius locum substitui eumdem cyclum XXVIII annorum, ab eodem Lilio, tum ad dictam intercalandi bissexti in centesimis annis rationem, tum ad quamcumque anni solaris magnitudinem, accommodatum; ex quo litera dominicalis beneficio cycli solaris, æque facile ac prius, ut in proprio canone explicatur, reperiri possit in perpetuum.

XII. Nos igitur, ut quod proprium pontificis maximi esse solet exequamur, calendarium immensa Dei erga Ecclesiam suam benignitate iam correctum atque absolutum hoc nostro decreto probamus, et Romæ una cum martyrologio imprimi, impressumque divulgari iussimus.

XIII. Ut vero utrumque ubique terrarum incorruptum ac mendis et erroribus purgatum servetur, omnibus in nostro et sanctæ Romanæ Ecclesiæ dominio mediate vel immediate subiecto commorantibus impressoribus, sub amissionis librorum ac centum ducatorum auri Cameræ Apostolicæ ipso facto applicandorum; aliis vero, in quacumque orbis parte consistentibus, sub excommunicationis latæ sententiæ ac aliis arbitrii nostri poenis, ne sine nostra licentia calendarium aut martyrologium, simul vel separatim, imprimere vel proponere, aut recipere ullo modo audeant vel præsumant, prohibemus.

XIV. Tollimus autem et abolemus omnino vetus calendarium, volumusque ut omnes patriarchæ, primates, archiepiscopi, episcopi, abbates et ceteri ecclesiarum præsides novum calendarium (ad quod etiam accomodata est ratio martyrologii), pro divinis officiis recitandis et festis celebrandis, in suas quisque ecclesias, monasteria, conventus, ordines, militias et dioeceses introducant, et eo solo utantur, tam ipsi quam ceteri omnes presbyteri et clerici sæculares et regulares utriusque sexus, necnon milites et omnes christifideles, cuius usus incipiet post decem illos dies ex mense Octobri anni MDLXXXII exemptos. Iis vero, qui adeo longinquas incolunt regiones, ut ante præscriptum a nobis tempus harum literarum notitiam habere non possint, liceat, eodem tamen Octobri mense insequentis anni MDLXXXIII vel alterius, cum primum scilicet ad eos hæ nostræ literæ pervenerint, modo a nobis paulo ante tradito, eiusmodi mutationem facere, ut copiosius in nostro calendario anni correctionis explicabitur.

XV. Pro data autem nobis a Domino auctoritate hortamur et rogamus carissimum in Christo filium nostrum Rodulphum Romanorum regem illustrem in imperatorem electum, ceterosque reges, principes ac respublicas, iisdemque mandamus ut quo studio illi a nobis contenderunt, ut hoc tam præclarum opus perficeremus, eodem, immo etiam maiore, ad conservandam in celebrandis festivitatibus inter christianas nationes concordiam, nostrum hoc calendarium et ipsi suscipiant, et a cunctis sibi subiectis populis religiose suscipiendum inviolateque observandum curent.

XVI. Verum, quia difficile foret præsentes literas ad universa christiani orbis loca deferri, illas ad basilicæ Principis Apostolorum et Cancellariæ Apostolicæ valvas, et in acie Campi Floræ publicari et affigi; et earumdem literarum exemplis, etiam impressis, et voluminibus calendarii et martyrologii insertis et præpositis, sive manu tabellionis publici subscriptis, necnon sigillo personæ in dignitate ecclesiastica constitutæ obsignatis, eamdem prorsus indubitatam fidem ubique gentium et locorum haberi præcipimus, quæ originalibus literis exhibitis omnino haberetur.

XVII. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrorum præceptorum, mandatorum, statutorum, voluntatis, probationis, prohibitionis, sublationis, abolitionis, hortationis et rogationis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare præsumpserit, indignationem omnipotentis Dei ac beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum.

Datum Tusculi, anno Incarnationis dominicæ MDLXXXI, sexto Kalendas Martii, pontificatus nostri anno X.