Gregorio di Tours, santo, nacque a Clermont-Ferrand, in Alvernia, il 30 novembre del 538 d.C. L’anno di nascita è stato determinato in base ai riferimenti presenti nelle sue opere ed è oggi generalmente accettato, ma qualche dubbioso lo pone al 540 d.C. Di nome faceva Giorgio Fiorentino, il nome di Gregorio lo assunse quando fu nominato vescovo di Tours, nel 573 d.C., in memoria di un bisavolo che fu vescovo di Langres.
La santità era di casa nella famiglia di Gregorio, che era d’altra parte anche una delle più illustri della nobiltà romana in Gallia: aveva dato i natali a senatori, poteva annoverare un martire e ben cinque tra zii e cugini di Gregorio furono vescovi di città galliche e diverranno santi. Suo padre, di salute cagionevole, morì giovane, quando Gregorio aveva appena otto anni, lasciando vedova la moglie Armentaria con tre figli, Giorgio, appunto, e poi Pietro e una figlia di cui si ignora il nome. Armentaria andò allora a stabilirsi a Cavaillon, in Borgogna, presso una sua proprietà.
Il piccolo Gregorio fu educato da uno dei suoi zii, Nicezio, futuro vescovo di Lione e santo, e tornò poi a Clermont-Ferrand, dove frequentò la scuola di un altro zio vescovo e futuro santo, Gallo. Egli, vescovo di Clermont appunto, aveva lì fondato una scuola che era diretta da Avito, altro esponente di famiglia romana senatoriale, imparentato con l’imperatore d’occidente Avito, che diverrà il vescovo di Vienne.
All’età di venticinque anni, Gregorio fu ordinato diacono. Qualche tempo dopo, essendosi gravemente ammalato, andò in pellegrinaggio a Tours, dove era vescovo suo cugino Eufronio, alla tomba di san Martino e ottenne la guarigione. Dopo essersi rimesso, tornò prima in Borgogna, poi si recò a Lione, dove assolse le funzioni di diacono presso suo zio Nicezio, infine giunse a Reims, che era allora la capitale religiosa della Gallia e capitale amministrativa di uno dei territori che erano toccati a Sigeberto, figlio di Clotario I, re dei Franchi.
All’inizio del V secolo d.C. numerosi popoli germanici, Vandali, Alani, Svevi, cominciarono ad esercitare una continua pressione sul confine renano. I Franchi, che erano stanziati lungo il basso e il medio Reno, nel 406 d.C. lo varcarono per andare a stabilirsi in Gallia; divenuti foederati dei Romani, ottennero il permesso di rimanervi. Sempre all’inizio del V secolo d.C. si stabilirono nelle Gallie anche Visigoti e Burgundi: questi ultimi erano stanziati tra la Borgogna e la Svizzera orientale, i Visigoti nella Francia meridionale e sudorientale, mentre i Franchi occupavano la Francia settentrionale. Roma, in presenza dell’attacco contemporaneo di centinaia di migliaia di guerrieri appartenenti a decine di popoli e a centinaia di tribù diverse, non poteva far molto altro che accettare il fatto compiuto, e l’imperatore dava regolarmente il suo beneplacito ai capi barbari.
Presso i barbari germanici, i re erano scelti non necessariamente all’interno della stessa famiglia, bensì col criterio del coraggio e della forza. Ogni tribù aveva poi il suo re, o meglio il suo capo militare, e solo quando uno di questi si imponeva era riconosciuto come capo anche da altre tribù. Verso la metà del V secolo d.C., mentre l’Impero Romano si andava progressivamente dissolvendo, re di Cambrai era Meroveo (morto nel 457 d.C.). Egli avrebbe dato luogo e nome a una dinastia, quella dei Merovingi, di origine salica, che avrebbe regnato sui Franchi fino al 751 d.C., quando la corona sarebbe passata sulla testa di Pipino il breve, discendente di una famiglia di maggiordomi, o primi funzionari di palazzo, il quale divenne il primo sovrano carolingio. Appartenenti al clan dei Merovingi erano infatti a capo di diverse tribù dei Franchi, finchè uno di loro, Clodoveo, non riuscì nel 486 d.C. a unificare sotto il suo dominio i diversi regni franchi in Gallia e poi a trionfare anche sui Visigoti (507 d.C.) e annettere l’Aquitania.
Clodoveo è per questo motivo ricordato come il padre della nazione franca per questo e per altre due iniziative rivoluzionarie. Per prima cosa, con la sua conversione dall’arianesimo al cristianesimo cattolico, caldeggiata dalla sua cattolica moglie Clotilde, egli diede anche una nuova religione al suo popolo. Inoltre, poco prima della sua morte, avvenuta nel 511 d.C., Clodoveo fece approvare, e suggellare dal clero di Orleans, nuove disposizioni per la successione: i suoi figli avrebbero ereditato il trono. In questo modo egli fondava una casa regnante, una dinastia: il cambiamento del costume germanico si rifletteva nel definitivo stanziamento in Gallia di quel popolo di origine nomade.
Tuttavia, in questo modo l’unità del regno veniva compromessa, poichè alla morte di Clodoveo ogni figlio ebbe una parte del regno: furono fondati i quattro regni di Austrasia (Francia nordorientale), Neustria (Francia nordoccidentale), Borgogna (pressappoco l’odierna Borgogna nella Francia orientale) e Aquitania (Francia sudoccidentale), che divennero i possedimenti dei quattri figli, Teodorico, Clodomiro, Childeberto e Clotario. Inoltre, questo metodo di successione metteva i figli l’uno contro l’altro nel tentativo di possedere tutto il regno. Infatti, dopo una interminabile serie di assassini e di guerre, e dopo aver sottomesso anche i Burgundi (534 d.C.) e annesso la Borgogna orientale, nel 558 d.C. il regno dei Franchi era nuovamente unito, questa volta nelle mani di Clotario.
In seguito alla morte di Clotario, avvenuta nel dicembre del 561 d.C., i suoi quattro figli Cariberto, Gontrano, Sigeberto e Chilperico si spartirono nuovamente il regno, iniziando un’altra serie di faide familiari per il potere. Una ulteriore spartizione tra i tre fratelli superstiti ebbe luogo alla morte di Cariberto, nel 567 d.C., a valle della quale a Sigeberto, che già regnava sul territorio di Reims, toccò, oltre al resto, anche il territorio di Tours.
A Reims nel 573 d.C. ricevette la notizia della morte di suo cugino Eufronio e che egli, che aveva fama di uomo colto e buono, era stato designato a succedergli quale vescovo di Tours. Gregorio ricevette la consacrazione episcopale a Reims dalle mani del vescovo Egidio, indi raggiunse la sua città residenziale, una delle sedi episcopali più importanti di tutta la Francia sin dai tempi di san Martino, città ricca e famosa.
Gregorio aveva infatti mostrato fin da giovane notevole predilezione per i libri ed attitudine per lo studio. Aveva per i tempi un solida cultura, fondata sulle letture di autori cristiani quali san Girolamo, Lattanzio, Marziano Capella, sant’Ilario di Poitiers, e sulle opere di scrittori latini, soprattutto storici, quali Gellio, Sallustio, Plinio, Sidonio Apollinare, il De viris illustribus dello stesso san Girolamo, il Chronicon di Eusebio di Cesarea. Conosceva molto bene Virgilio, tanto che era solito citare l’Eneide a memoria. Certo, le sue conoscenze e il suo senso critico erano gravemente inficiati dai tempi in cui viveva. Era uno dei momenti più incerti e difficili della transizione dalla Gallia romana alla Francia: i tentativi di unificazione della Gallia, prima da parte di Clodoveo, poi da parte di suo figlio Clotario, seguiti dalle spartizioni tra i successori creavano vuoti di potere e davano spazio agli abusi; le comunicazioni tra i possedimenti dei vari regnanti erano difficili e insicure; il benessere era solo un ricordo della felice epoca romana; la diffusione della cultura non era al primo posto nelle esigenze del popolo.
Gregorio era inoltre uomo di fede profonda e innocente, ma ingenua. Anche nelle letture sacre, che pure predilesse, non fu critico: la Bibbia che utilizzava non era probabilmente la Vulgata di san Girolamo, o non solo, bensì una delle tante traduzioni latine che circolavano da tempo immemorabile in occidente, edizioni tutt’altro che affidabili dal punto di vista esegetico o anche solo della lingua, un latino spesso intriso di volgarismi; anche il canone non era quello ufficiale, tanto che spesso scritti apocrifi, non ispirati anche se edificanti, vi erano accolti e certamente furono usati da Gregorio.
Gli stessi limiti si riscontrano nella Historia Francorum, la sua grande opera storica sulle vicende dei Franchi dalla loro origine fino all’epoca di Gregorio. Si tratta peraltro di una fonte di informazione insostituibile, sia dal punto di vista della storia ecclesiastica in Francia attraverso i suoi santi, sia dal punto di vista della storia laica. Quest’opera, che è caratterizzata infatti da una fede ingenua, ha però il merito di essere la principale fonte di informazione che ci rimane sui Franchi, e si affianca in questo alle opere di Giordane, lo storico dei Goti, di Beda, lo storico degli Angli, e di Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi.
Tra i meriti di Gregorio va sottolineato quello della diffusione dei santi francesi attraverso il racconto della loro vita e dei loro miracoli, tra i quali il grande e popolarissimo santo della sua sede episcopale, san Martino di Tours, uno dei cristianizzatori della Gallia e vescovo della città prima di lui, alla fine del IV secolo d.C.
Gregorio morì a Tours nel 594 d.C. La sua memoria cade il 17 novembre.