L’Era Cristiana

L’era più usata al mondo conta gli anni a partire dall’incarnazione di Gesù Cristo. Questo sistema di computo degli anni è noto come Era Cristiana.

L’origine dell’Era Cristiana è legata indissolubilmente alla questione del calcolo della data della Pasqua e quindi al calendario giuliano. Il primo a introdurre il computo degli anni a partire dall’incarnazione di Cristo fu infatti un monaco, Dionigi il Piccolo, venuto dalla Scizia a Roma al principio del VI secolo e incaricato dal Papa della stesura delle tavole pasquali, cioè l’elenco ufficiale delle date in cui, anno per anno, doveva essere celebrata la Pasqua. E quasi esattamente due secoli dopo, questa volta in Inghilterra, un altro monaco e grande erudito, il venerabile Beda, fu il primo, sembra, a numerare gli anni prima di Cristo nello stesso modo in cui si cominciava a fare con quelli dopo Cristo.

Dionigi il Piccolo introduce l’Era Cristiana

Attorno al 523 d.C. il monaco Dionysius Exiguus o Dionigi il Piccolo – il celebre erudito del VI secolo, originario della Scythia, che tra l’altro condusse una abbazia a Roma – fu incaricato dal cancelliere papale Bonifazio di calcolare le date della Pasqua per gli anni a venire utilizzando le regole stabilite dal Concilio di Nicea (325 d.C.), le cosiddette regole alessandrine.

Ai suoi tempi, accanto a non pochi altri metodi di computo tradizionali locali, era diffusamente in uso l’Era di Diocleziano, cioè il calcolo degli anni dall’inizio del principato di Diocleziano (29 agosto 284 d.C.), il quale era stato però anche l’ultimo princeps ad avere ordinato persecuzioni contro i Cristiani. Quando nel 525 d.C. (la data, come vedremo, è nell’opera stessa) Dionigi completò la sua fatica, il Liber de Paschate, nella prefazione svelò di aver dato seguito ad un proposito del tutto singolare, quello di abbandonare l’era del tiranno Diocleziano e contare gli anni a partire dall’incarnazione di Gesù Cristo (e non dalla nascita, come spesso si afferma):

Nonaginta quinque igitur annorum hunc cyclum, studio quo valuimus expedire contendimus, ultimum eiusdem beati Cyrilli, id est quintum cyclum, quia sex adhuc ex eo anni supererant, in nostro hoc opere praeferentes; ac deinceps quinque alios iuxta normam eiusdem pontificis, imo potius saepe dicti Nicaeni concilii, nos ordinasse, profiteremur. Quia vero sanctus Cyrillus primum cyclum ab anno Diocletiani centesimo quinquagesimo tertio coepit et ultimum in ducentesimo quadragesimo septimo terminavit, nos a ducentesimo quadragesimo octavo anno eiusdem tyranni, potius quam principis, inchoantes, noluimus circulis nostris memoriam impii et persecutoris innectere, sed magis elegimus ab incarnatione Domini nostri Iesu Christi annorum tempora praenotare, quatenus exordium spei nostrae notius nobis existeret, et causa reparationis humanae, id est, passio Redemptoris nostri, evidentius eluceret.

San Cirillo aveva redatto la precedente tavola pasquale per un periodo di 95 anni, pari a cinque cicli diciannovennali di Metone, fino all’anno 247 dell’Era di Diocleziano. La tabella di Dionigi riporta l’intero quinto e ultimo ciclo metonico di Cirillo, che termina appunto con l’anno CCXLVII di Diocleziano, e la prosegue (anch’egli per cinque interi cicli metonici) partendo con l’anno successivo, il 248 di Diocleziano. Tuttavia, fedele al proposito dichiarato, egli non lo indicò come anno CCXLVIII, bensí come anno domini nostri Iesu Christi DXXXII.

Così facendo, Dionigi introduceva la nuova Era Cristiana. Essa si riferiva ad un periodo nel quale gli anni civili avevano costantemente seguito il calendario giuliano e per la quale, pertanto, si accettava, senza esitazione perché implicitamente, lo stile del 1 gennaio. Questo, del resto, era lo stile dell’Era di Diocleziano rispetto alla quale l’Era Cristiana era sincronizzata.

L’innovazione di Dionigi si rivolgeva in primo luogo alla vita della Chiesa. Tuttavia, in tempi nei quali la Chiesa era autorità sovranazionale ovunque rispettata, il passo dalla vita ecclesiastica a quella civile non era lungo. Essa ebbe subito una certa notorietà in Italia e fu presto conosciuta in Inghilterra e in Spagna, senza tuttavia imporsi, inizialmente, sui metodi di computo tradizionali. La data della Pasqua desunta dalla tavola pasquale di Dionigi valeva ovviamente in tutte le nazioni nelle quali vigeva il calendario giuliano, cioè tutte le nazioni cristiane, a prescindere dall’era usata localmente. Perciò l’unico incentivo a passare alla nuova Era rimaneva quello ideologico, che si scontrava con l’abitudine.

Una spinta decisiva verso la propria affermazione, l’Era Cristiana la ebbe, circa due secoli dopo Dionigi, ad opera del venerabile Beda. Nella prima metà dell’VIII secolo, il celebre erudito inglese (nato probabilmente nel 673 d.C. e morto nel 735 d.C.) riprese il metodo di computo degli anni a partire dall’incarnazione di Gesù Cristo, centro della storia, per la sua fondamentale opera storica Historia ecclesiastica gentis Anglorum.

Di lì a breve fu, sembra, Carlo Magno il primo governante ad usare ufficialmente l’Era Cristiana anche nella sfera civile. La sua diffusione avvenne lentamente ma costantemente nel corso di parecchi secoli. Se nella stessa cancelleria papale l’Era Cristiana entrò solo nel X secolo, 400 anni dopo Dionigi, altri 400 anni occorsero alla cristianissima Spagna per adottarla: nel 1383 il regno di Castiglia e Leon e addirittura nel 1422 il regno del Portogallo decretarono la sostituzione della tradizionale Era Cesariana della Spagna, che durava dal completamento della conquista della penisola iberica ad opera di Augusto ed iniziava il 1° gennaio del 38 a.C.

Beda il Venerabile e l’uso cronologico dell’Era Cristiana

L’interesse di Dionigi erano le tavole pasquali, perciò egli non si pose il problema di come contare gli anni prima dell’incarnazione di Cristo. Tuttavia egli operò una scelta per i tempi non ovvia: pose il suo riferimento  storico, l’incarnazione di Gesù, nell’anno precedente il primo anno dall’incarnazione, quello che noi indichiamo 1 a.C. Tale scelta, oggi scontata, non lo era in un’epoca nella quale ad essa si alternava quella del conteggio inclusivo degli estremi. Il conteggio inclusivo nell’antichità era anzi obbligato quando si esprimevano intervalli di giorni o anni (si pensi al metodo di esprimere le date in uso a Roma); soltanto gli storici più attenti ne rifuggivano, e soltanto quando dovevano sommare intervalli contigui, per evitare l’evidente errore che ne derivava. È appena il caso di notare che questi usi originano dall’ignoranza del concetto di zero.

È possibile che sulla scelta di Dionigi abbia influito la vicinanza della data di nascita di Gesù alla fine d’anno. Il Natale, infatti, fu prevalentemente sebbene non unanimemente celebrato dalla Cristianità il 6 gennaio giuliano, finché fu spostato dal Concilio di Nicea (325 d.C.) fissandolo per tutti al 25 dicembre. Le ultime resistenze furono superate per decisione di Costantino, il quale nel 330 d.C. rese obbligatoria quella data, che nel calendario giuliano era il giorno tradizionale del solstizio d’inverno e che nella Roma imperiale era venuta ad ospitare la festa del dies natalis solis invicti, il giorno nel quale il Sole, dopo aver lungamente ceduto alla notte, torna a vincere sulle tenebre. Una data cosí vicina al termine dell’anno richiamava esplicitamente quello che per noi è l’istante di separazione tra l’anno 1 a.C. e l’anno 1 d.C., una sorta di ‘punto zero’.

La questione di come contare gli anni ‘prima di Cristo’ si pose a colui che per primo, sembra, utilizzò l’Era Cristiana come riferimento storico: e fu un altro monaco, Beda detto il Venerabile. Il passaggio non scontato comportava la necessità di datare tanto eventi successivi alla venuta di Cristo nel mondo, quanto eventi precedenti. Per illustrare come Beda presumibilmente procedette, riportiamo di seguito un estratto di taluni sincronismi più rappresentativi scelti tra quelli che egli pose nella ricapitolazione al termine della sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum (5,24); tra parentesi quadre aggiungiamo la data assunta dalla cronologia moderna.

Anno igitur ante incarnationem dominicam sexagesimo Gaius Iulius Caesar primus Romanorum Brittanias bello pulsavit et vicit; nec tamen ibi regnum potuit obtinere. [60 a.C.]

Anno ab incarnatione Domini XLVI Claudius secundus Romanorum Brittanias adiens, plurimam insulae partem in deditionem recepit, et Orcadas quoque insulas Romano adiecit imperio. [46 d.C.]

[…]

Anno ab incarnatione Domini CLXXXVIIII Severus imperator factus XVII annis regnavit; qui Brittaniam vallo a mari usque ad mare praecinxit. [193 d.C.]

Anno CCCLXXXI Maximus in Brittania creatus imperator, in Galliam transiit, et Gratianum interfecit. [383 d.C.]

Anno CCCCVIIII Roma a Gothis fracta, ex quo tempore Romani in Brittania regnare cessarunt. [410 d.C.]

[…]

Anno CCCCXLVIIII Marcianus cum Valentiniano imperium suscipiens VII annis tenuit; quorum tempore Angli a Brettonibus accersiti Brittaniam adierunt. [450 d.C.]

Anno DXXXVIII eclypsis solis facta est XIIII Kalendas Martias ab hora prima usque ad tertiam. [15 febbraio 538 d.C.]

Anno DXL eclypsis solis facta XII Kalendas Iulias, et apparuerunt stellae pene hora dimidia ab hora diei tertia. [20 giugno 540 d.C.]

[…]

Anno DCV Gregorius obiit. [604 d.C.]

Non si sa se Beda ricalcolò l’anno dell’incarnazione già calcolato da Dionigi; comunque su di esso tentò la datazione di un gran numero di eventi, storici e astronomici. Pur commettendo ripetute imprecisioni, nondimeno il suo lavoro rimane il primo tentativo sistematico di stabilire una cronologia storica basata sul computo degli anni dall’incarnazione di Gesù Cristo. Un tentativo che per di più ebbe in sorte di orientare non solo la storiografia ma tutta la cronologia civile. Perché Beda dovendo datare gli eventi anteriori a Cristo, semplicemente introdusse la serie, che noi chiamiamo ‘avanti Cristo’, giustapposta a quella ‘dopo Cristo’, omettendo l’anno zero tra le serie, in coerenza con le conoscenze del tempo. Da allora, il calcolo di intervalli temporali a cavallo del mancante anno zero deve tener conto dell’eccezione che vi è implicita.

Il supposto errore di Dionigi e il problema cronologico fondamentale

Purtroppo non è chiaro come Dionigi, che non affronta direttamente la questione, sia giunto ad eguagliare l’anno 532 dall’incarnazione di Cristo all’anno 248 di Diocleziano ed in particolare se fosse in possesso di informazioni tradite sulla nascita e la morte di Gesù non giunte fino a noi. Certamente poteva consultare tavole cronologiche e liste imperiali e consolari; quasi sicuramente si avvalse di una copia del Chronicon di Eusebio di Cesarea, o (forse) meglio della sua versione latina elaborata da San Girolamo.

Il Chronicon di Eusebio, un dotto divulgatore e vescovo cristiano (circa 265-340 d.C.), era in due libri: il primo raccoglieva estratti delle principali opere storiche sull’origine delle nazioni mediterranee nonché le liste di re e magistrati eponimi; il secondo consisteva di tavole cronologiche sinottiche in cui erano sincronizzati i vari sistemi di computo degli anni (cioè le varie ere) usati dalla nazioni ed erano collocati gli eventi storici rilevanti. Il metodo tabulare fu allora una rivoluzione per gli studi storici, tanto che San Girolamo decise di tradurre il solo secondo libro in latino, arricchendone le annotazioni con notizie tratte dalla storia nazionale di Roma e proseguendolo fino al 378 d.C. A testimonianza della diffusione dell’opera eusebiana, altre alla redazione di San Girolamo possediamo una traduzione armena di entrambi i libri, mutilo il primo del finale e il secondo di inzio e fine.

Eusebio pose il Natale nel quarto anno della centonovantaquattresima Olimpiade (nel seguito useremo la notazione a.Ol. 194.4) e lo eguagliò all’anno 2015 di Abramo e all’anno 42 di Augusto. Tali equazioni devono tenere conto del fatto che, poiché le Olimpiadi erano celebrate in estate, l’anno olimpico iniziava convenzionalmente a metà di un anno giuliano e finiva a metà di quello successivo. Ordinariamente gli antichi risolvevano l’ambiguità facendo corrispondere il primo anno di un quadriennio olimpico all’anno giuliano nel quale l’Olimpiade era celebrata. Pertanto, a.Ol. 194.4, che per la cronologia moderna è sovrapposto al secondo semestre dell’1 a.C. e al primo semestre dell’1 d.C., era eguagliato, ai soli fini del computo degli anni, con l’anno giuliano che in esso terminava, cioè con quello che per noi è l’anno 1 a.C.

Ovviamente, Eusebio non ragionava direttamente in termini di Era Cristiana, mentre conosceva e usava i fasti consolari, che noi possiamo sincronizzare con l’Era Cristiana. In realtà l’elenco dei consoli non è sopravvissuto in ciò che possediamo della redazione armena del Chronicon. Tuttavia, gli anni di cui parliamo sono tutti posteriori alla riforma giuliana, un periodo per il quale la lista consolare modernamente ricostruita deve essere ritenuta completa e stabile nonché identica a quella utilizzata da Eusebio.

D’altra parte il sincronismo usato da Dionigi è curioso, perché il caso vuole che esso riporti ad un multiplo esatto di cicli di Metone (532 = 19 * 28); e non un qualsiasi multiplo, bensì in particolare il numero di anni dopo il quale nel calendario giuliano le stesse epatte si ripetono negli stessi giorni della settimana. Senza mancar di notare che per Dionigi l’anno dell’incarnazione, cioè l’anno 1 a.C., fu il primo di un ciclo metonico ed ebbe epatta nulla.

Il fatto è che talune indicazioni cronologiche, quali soprattutto quelle che riguardano Erode il Grande in Flavio Giuseppe, contraddicono il sincronismo di Dionigi, tanto da essere solitamente ritenuto errato. Le date di Erode, come moltissime altre datazioni antiche, soffrono di due problemi basilari, il fatto cioè di essere espresse nell’Era Olimpica e di essere tra loro in contraddizione, senza potersi stabilire se per errori dell’autore o dei copisti. Dobbiamo accettare il fatto di non essere al momento in grado di determinare con certezza quando Erode visse e morì e quindi di non poterne derivare le date di Gesù. Questo problema è probabilmente collegato con la differenza generale di tre anni tra la cronologia romana nelle fonti latine e in quelle greche.