Quintus Septimius Florens Tertullianus

Ben pochi sono gli aspetti noti della vita del padre della letteratura cristiana in latino, Quinto Settimio Florente Tertulliano, il primo apologista e teologo in questa lingua. San Girolamo nel Chronicon lo dice figlio da un centurione dell’Africa proconsolare e pone il suo acme al principio del III secolo d.C. (ad annum 208 p.Chr.n.: Tertullianus Afer centurionis proconsularis filius omnium ecclesiarum sermone celebratur); in De viris illustribus LIII il santo ne specifica poi la patria cartaginese e aggiunge qualche altro dettaglio, quale la notizia dell’ordinazione sacerdotale che non risulta da alcun accenno autobiografico:

[LIII] Tertullianus presbyter, nunc demum primus post Victorem et Appollonium Latinorum ponitur, provinciae Africae, civitatis Carthaginiensis, patre centurione proconsulari. Hic acris et vehementis ingenii, sub Severo principe et Antonino Caracalla maxime floruit, multaque scripsit volumina, quae quia nota sunt pluribus, praetermittimus. Vidi ego quemdam Paulum Concordiae, quod oppidum Italiae est, senem, qui se beati Cypriani, iam grandis aetatis, notarium, cum ipse admodum esset adolescens, Romae vidisse diceret, referreque sibi solitum numquam Cyprianum absque Tertulliani lectione unum diem praeterisse, ac sibi crebro dicere, Da magistrum: Tertullianum videlicet significans. Hic cum usque ad mediam aetatem presbyter Ecclesiae permansisset, invidia postea et contumeliis clericorum Romanae Ecclesiae, ad Montani dogma delapsus, in multis libris Novae Prophetiae meminit, specialiter autem adversum Ecclesiam texuit volumina, de pudicitia, de persecutione, de ieiuniis, de monogamia, de ecstasi libros sex, et septimum, quem adversum Apollonium composuit. Ferturque vixisse usque ad decrepitam aetatem, et multa quae non exstant opuscula condidisse.

La fama della sua eloquenza garantì a Tertulliano celebrità non solo in vita ma anche in morte, se ancora tre secoli più tardi – tre secoli di copiosa attività nella letteratura latina cristiana – l’ignoto autore del Praedestinatus lo diceva scrittore incomparabile (XXVI: […] Contra quos scripsit Tertullianus presbyter Carthaginiensis. Qui cum omnia bene et prime et incomparabiliter scripserit, in hoc solum se reprehensibilem fecit, quod Montanum defendit […]). Tertulliano stesso attesta (De anima) di aver ricevuto un’educazione completa e accurata. Compì gli studi di retorica e di diritto, che contribuirono a formare il suo pensiero quadrato e rigoroso e lo stile affilatissimo e infuocato, sottile e ironico, seppure alquanto difficile e oscuro già ai Latini (Lattanzio Divinae institutiones V, 1: […] Septimius quoque Tertullianus fuit omni genere litterarum peritus: sed in eloquendo parum facilis, et minus comptus, et multum obscurus fuit.[…]; san Girolamo Epistulae LVIII, 10: Tertullianus creber est in sententiis, sed difficilis in loquendo […]). Quest’educazione egli completò e approfondì con un’ampia disposizione agli studi, testimoniata nei suoi scritti dalla messe di citazioni dei migliori: Omero e Menandro tra i greci, Ennio e Catone, Varrone e Lucrezio, Cicerone e Virgilio, Seneca e Tacito tra i latini. L’educazione ai classici si accompagnava alla tradizionale formazione pagana (De paenitentia I, 1), che sopravvisse finché non si produsse in lui la conversione al Cristianesimo. Nulla ci è stato tramandato di quest’evento centrale nella sua vita, non il momento né le circostanze né i motivi: solo possiamo dire che fu antecedente a quel 197 d.C. in cui iniziò la produzione apologetica e che fu forse l’eroica testimonianza dei martiri cristiani a stimolare il suo temperamento rigoroso – assai vigorose sono le esaltazioni del martirio presenti nei suoi scritti – e bisognoso di ricerca – egli afferma di aver cercato la soluzione alle questioni umane nelle speculazioni dei filosofi.

Seppure ipotesi priva di conferme, è suggestivo pensare che il suo percorso di conversione sia iniziato con la prima persecuzione di Cristiani in Africa: conosciamo gli atti del processo con cui, per la loro obstinatio, furono condannati a Cartagine dal proconsole Vigellio Saturnino i primi martiri africani il 17 luglio del 180 d.C. e proprio a questo evento si riferisce un luogo dell’Ad Scapulam (III, 4), una lettera al proconsole Scapola che nel 212 d.C. rinnovò la persecuzione del suo predecessore (del quale si annota appunto che fu il primo in Africa ad aver infierito contro i Cristiani). In seguito, secondo la tradizione raccolta anche da san Girolamo, Tertulliano – che si era sposato forse già prima della conversione: scrisse due libri Ad uxorem raccomandandole di non risposarsi dopo la sua morte – fu ordinato presbyter Ecclesiae. Il temperamento rigoroso e intransigente lo portò però a lasciare la comunione con la chiesa per aderire alla setta dei Montanisti. La dottrina di Montano – che era stato forse un sacerdote della dea Cibele, ed era originario della Frigia, cioè di una regione che nei riti pagani aveva dato luogo a manifestazioni di un misticismo violento e parossistico -, incentrata su asserite rivelazioni profetiche ricevute in stato di estasi che avrebbero completato e purificato la dottrina apostolica, si proponeva l’eliminazione del peccato dall’uomo (!) imponendo dure mortificazioni corporali e rifiutando la possibilità di redenzione a chi commettesse peccati gravi (tra i quali la fuga nelle persecuzioni) pure in presenza di successivo pentimento, mentre enfatizzava oltre misura la virtù della castità e il martirio; per queste ragioni sosteneva la propria superiorità rispetto alla tradizione cattolica. Questi eccessi di ascetismo – poiché non si può parlare di novità dottrinali vere e proprie – erano certamente vicini al carattere inflessibile di Tertulliano, intollerante della debolezza umana, quella altrui come la propria, e lo portarono prima ad adottare gli usi montanisti – probabilmente attorno a quel 202 d.C. nel quale Papa Zefferino li condannò ufficialmente – e qualche anno dopo, forse intorno al 207, al definitivo distacco dalla chiesa cattolica.

Tertulliano iniziò la sua produzione letteraria con gli scritti apologetici Ad nationes e Apologeticum, entrambi composti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro nel 197 d.C. L’Ad nationes è una violenta denuncia delle atrocità commesse dai pagani, fomentati dall’ignoranza e dal pregiudizio, nei confronti dei Cristiani e una ritorsione contro gli stessi pagani delle accuse che ai Cristiani essi muovevano. L’opera più conosciuta di Tertulliano è l’Apologeticum, nel quale sviluppò gli stessi temi dell’Ad nationes ma in forma di difesa collettiva della causa cristiana e dell’innocenza dei suoi aderenti di fronte ai governatori delle province, i Romani imperii antistites, cui infatti è indirizzata l’opera. Accanto alla denunzia delle ingiustizie subite dai Cristiani sia a opera delle autorità che dei cittadini, Tertulliano si preoccupa di spiegare i fondamenti della dottrina e i costumi cristiani non solo a scopo di difesa e per confutare le accuse mosse dai pagani, ma soprattutto per l’esigenza tutta cristiana di evidenziare che il Cristianesimo aderisce perfettamente alla natura umana; proprio qui (Apologeticum XVII) compare per la prima volta l’affermazione che l’anima è naturalmente cristiana e rende essa stessa testimonianza a Dio (questione poi sviluppata appunto nel De testimonio animae):

XVII. [1] Quod colimus, deus unus est, qui totam molem istam cum omni instrumento elementorum, corporum, spirituum verbo quo iussit, ratione qua disposuit, virtute qua potuit, de nihilo expressit in ornamentum maiestatis suae, unde et Graeci nomen mundo ??sµ?? accommodaverunt. [2] Invisibilis est, etsi videatur; incomprehensibilis, etsi per gratiam repraesentetur; inaestimabilis, etsi humanis sensibus aestimetur. Ideo verus et tantus est. Ceterum quod videri communiter, quod comprehendi, quod aestimari potest, minus est et oculis quibus occupatur, et manibus quibus contaminatur, et sensibus quibus invenitur: quod vero inmensum est, soli sibi notum est. [3] Hoc quod est, deum aestimari facit, dum aestimari non capit. Ita eum vis magnitudinis et notum hominibus obicit et ignotum. Et haec est summa delicti nolentium recognoscere quem ignorare non possunt. [4] Vultis ex operibus ipsius tot ac talibus, quibus continemur, quibus sustinemur, quibus oblectamur, etiam quibus exterremur, vultis ex animae ipsius testimonio conprobemus? [5] Quae licet carcere corporis pressa, licet institutionibus pravis circumscripta, licet libidinibus et concupiscentiis evigorata, licet falsis deis exancillata, cum tamen resipiscit, ut ex crapula, ut ex somno, ut ex aliqua valetudine, et sanitatem suam patitur, deum nominat, hoc solo, quia proprie verus hic unus. Deus bonus et magnus, et Quod deus dederit omnium vox est. [6] Iudicem quoque contestatur illum Deus videt, et Deo commendo, et Deus mihi reddet. O testimonium animae naturaliter Christianae! Denique pronuntians haec non ad Capitolium, sed ad caelum respicit. Novit enim sedem dei vivi; ab illo, et inde descendit.

Dato il fine quasi giuridico, seppure non legato ad una causa specifica, dell’opera, le argomentazioni sono elaborate con stringente rigore logico, come in una orazione giudiziaria, e con incisività figlia della passione, un fuoco che culmina nella veemente rivendicazione di forza e di superiorità morali dei Cristiani con cui si conclude:

L. [1] Ergo, inquitis, cur querimini quod vos insequamur, si pati vultis, cum diligere debeatis per quos patimini quod vultis? Plane volumus pati, verum eo more, quo et bellum miles. Nemo quidem libens patitur, cum et trepidare et periclitari sit necesse. [2] Tamen et proeliatur omnibus viribus, et vincens in proelio gaudet qui de proelio querebatur, quia et gloriam consequitur et praedam. Proelium est nobis quod provocamur ad tribunalia, ut illic sub discrimine capitis pro veritate certemus. Victoria est autem pro quo certaveris obtinere. Ea victoria habet et gloriam placendi deo et praedam vivendi in aeternum. [3] Sed obducimur. Certe cum obtinuimus. Ergo vicimus, cum occidimur, denique evadimus, cum obducimur. Licet nunc sarmenticios et semaxios appelletis, quia ad stipitem dimidii axis revincti sarmentorum ambitu exurimur. Hic est habitus victoriae nostrae, haec palmata vestis, tali curru triumphamus. [4] Merito itaque victis non placemus; propterea enim desperati et perditi existimamur. Sed haec desperatio et perditio penes vos in causa gloriae et famae vexillum virtutis extollunt. [5] Mucius dexteram suam libens in ara reliquit: o sublimitas animi! Empedocles totum sese Catanensium Aetnaeis incendiis donavit: o vigor mentis! Aliqua Carthaginis conditrix rogo se secundum matrimonium dedit: o praeconium castitatis! [6] Regulus, ne unus pro multis hostibus viveret, toto corpore cruces patitur: o virum fortem et in captivitate victorem! Anaxarchus, cum in exitum tisanae pilo contunderetur: Tunde, tunde, aiebat, Anaxarchi follem, Anaxarchum enim non tundis: o philosophi magnanimitatem, qui de tali exitu suo etiam iocabatur! [7] Omitto eos qui cum gladio proprio vel alio genere mortis mitiore de laude pepigerunt. Ecce enim et tormentorum certamina coronantur a vobis. [8] Attica meretrix carnifice iam fatigato postremo linguam suam comesam in faciem tyranni saevientis exspuit, ut exspueret et vocem, ne coniuratos confiteri posset, si etiam victa voluisset. [9] Zeno Eleates consultus a Dionysio, quidnam philosophia praestaret, cum respondisset contemptum mortis, inpassibilis flagellis tyranni obiectus sententiam suam ad mortem usque signabat. Certe Laconum flagella sub oculis etiam hortantium propinquorum acerbata tantum honorem tolerantiae domui conferunt quantum sanguinis fuderint. [10] O gloriam licitam, quia humanam, cui nec praesumptio perdita nec persuasio desperata reputatur in contemptu mortis et atrocitatis omnimodae, cui tantum pro patria, pro imperio, pro amicitia pati permissum est quantum pro deo non licet! [11] Et tamen illis omnibus et statuas defunditis, et imagines inscribitis, et titulos inciditis in aeternitatem. Quantum de monumentis potestis scilicet, praestatis et ipsi quodammodo mortuis resurrectionem. Hanc qui veram a deo sperat, si pro deo patiatur, insanus est. [12] Sed hoc agite, boni praesides, meliores multo apud populum si illis Christianos immolaveritis, cruciate, torquete, damnate, atterite nos: probatio est enim innocentiae nostrae iniquitas vestra. Ideo nos haec pati deus patitur. Nam et proxime ad lenonem damnando Christianam potius quam ad leonem confessi estis labem pudicitiae apud nos atrociorem omni poena et omni morte reputari. [13] Nec quicquam tamen proficit exquisitior quaeque crudelitas vestra; inlecebra est magis sectae. Plures efficimur quotiens metimur a vobis; semen est sanguis Christianorum. [14] Multi apud vos ad tolerantiam doloris et mortis hortantur ut Cicero in Tusculanis, ut Seneca in Fortuitis, ut Diogenes, ut Pyrrhon, ut Callinicus. Nec tamen tantos inveniunt verba discipulos quantos Christiani factis docendo. [15] Illa ipsa obstinatio, quam exprobratis, magistra est. Quis enim non contemplatione eius concutitur ad requirendum quid intus in re sit? quis non, ubi requisivit, accedit? ubi accessit, pati exoptat, ut totam dei gratiam redimat, ut omnem veniam ab eo compensatione sanguinis sui expediat? [16] Omnia enim huic operi delicta donantur. Inde est, quod ibidem sententiis vestris gratias agimus. Ut est aemulatio divinae rei et humanae, cum damnamur a vobis, a deo absolvimur.

Gli scritti apologetici includono altre due opere, i già citati De testimonio animae e Ad Scapulam. Il De testimonio animae riprende la tesi dell’anima naturaliter Christiana: l’anima stessa spinge alla fede cristiana perché ci proclama l’esistenza di un Dio unico e buono che è giudice giusto. Tertulliano afferma chiaramente il principio della libertà di coscienza in campo religioso e aggiunge che il Cristianesimo non solo non è una religione ostile all’impero ma perfettamente leale; conclude lanciando un anatema: la persecuzione è un’arma a doppio taglio, non si può restare impuniti quando si combatte contro Dio. Il terribile destino riservato a molti persecutori è rappresentato anche al destinatario dell’Ad Scapulam, che è una delle poche opere che è possibile datare con sufficiente approssimazione, poiché come terminus post quem contiene un riferimento a una eclissi di sole visibile nel cielo di Utica il 14 agosto 212 d.C.

Tertulliano fu un teologo che non si propose di scrivere organicamente di teologia; perciò egli scrisse, senza obbedire a un piano precostituito ma in base all’esigenza di esporre le sue idee, numerosissimi libelli (dei quali alcuni, annota san Girolamo, erano già perduti ai suoi tempi), l’argomento dei quali è, si può dire, d’occasione. Molti scritti sono di natura polemica e in confutazione di eresie: De praescriptione haereticorum (datato al 200 d.C. circa), Adversus Hermogenem (poco dopo il 200 d.C.), Adversus Marcionem (composto tra il 207 e il 212 d.C.), Adversus Iudaeos, Adversus Valentinianos, Scorpiace (o ‘antidoto contro la puntura dello scorpione’, cioè contro le voci che si levarono in un tempo di persecuzione, forse nel 203- 204, per sostenere che il martirio di tanti Cristiani era non necessario e che conveniva trovare compromessi che consentissero di sacrificare agli dèi pagani), De carne Christi, De resurrectione mortuorum, Adversus Praxean, De anima. Un altro gruppo comprende gli scritti di argomento vario: morale, parenetico, disciplinare e liturgico (De baptismo, De oratione, De poenitentia, Ad martyras, De patientia, Ad uxorem, De exhortatione castitatis, De monogamia, De ieiunio adversus psychicos (in difesa del digiuno, e dei periodi di digiuno che i Montanisti proponevano di introdurre nel corso dell’anno, contro gli psychici, i Cristiani che non erano d’accordo), De pudicitia, De cultu foeminarum, De virginibus velandis, De spectaculis, De fuga in persecutione, De corona militis, De idololatria). Operetta a se stante è il De pallio, nel quale Tertulliano si difende dai suoi concittadini, quei Cartaginesi che gli rinfacciavano la conversione simboleggiata dal mutamento di abito. È dibattuta la questione se la conversione sia quella al Cristianesimo o, più probabilmente, quella dal Cattolicesimo al Montanismo.

In base agli scarni riferimenti temporali delle opere, si tende a porre la morte di Tertulliano prima del 230 d.C. San Girolamo riprende una tradizione secondo la quale Tertulliano morì in tarda età, cosicché si fa spesso l’assunzione che sia nato attorno alla metà del II secolo. La sua primazia tra gli scrittori cristiani latini non è solo cronologica: scrivendo per primo egli dovette forgiare il linguaggio adatto alla dottrina che esponeva e non a caso fu lui a introdurre il termine trinitas (Adversus Praxean II) e a parlare di substantia e di persona per poter esprimere correttamente il dogma trinitario e il mistero di Cristo Figlio di Dio e vero Uomo. Non a caso, nonostante la sua adesione a una setta condannata ufficialmente e l’inclusione delle sue opere nel decreto gelasiano come apocrife, nonostante le oscurità della lingua, Tertulliano è sempre stato e ancor oggi rimane un punto di riferimento della teologia cattolica, ammirato per la potenza del pensiero e l’efficacia dell’eloquenza.