Tiberius Catius Silius Italicus

I particolari della vita di Tiberio Cazio Silio Italico ci sono noti attraverso un ricordo presente nell’epistolario di Plinio il giovane.

Nacque nel 25 d.C., probabilmente in Campania, dove possedeva una villa nei pressi di Napoli. Presso Napoli era anche il sepolcro di Virgilio, che Silio venerava come una divinità: Plinio riferisce che era solito celebrare l’anniversario della nascita di Virgilio più religiosamente del proprio compleanno e che spesso vi si recava presso la tomba che venerava come un tempio.

Fu ricco, rispettato, ossequiato: la sua vita era nel comporre i suoi versi e nel discorrere dottamente con amici disinteressati. L’unica ombra sulla sua fama fu il sospetto che avesse fatto il delatore per Nerone, senza per di più esservi costretto. Seppe comunque riscattarsi in seguito, dice Plinio, con un comportamento saggio e simpatico e una vita privata degna di ogni lode. Fu anche proconsole in Asia, incarico dal quale tornò coperto di gloria.

Era amante delle cose belle, al punto che non sapeva trattenersi dal comprare tutto ciò che gli piacesse e che era circondato di ogni genere di opere d’arte. Tra questi figurava un ritratto di Virgilio, al quale naturalmente riservava una vera e propria venerazione.

Silio Italico morì nel 101 d.C.; secondo la testimonianza di Plinio, si lasciò morire di fame con incrollabile tenacia perché ammalato di un male incurabile.

A Virgilio egli si ispirò per la sua opera, i diciassette libri dei Punica. Plinio annota con arguzia e quel pizzico di superiorità che riservò a tutti che i versi di Silio erano più curati che ispirati: in effetti, alla forma impeccabile e alla levigatezza del labor limae fa da contraltare il peso del neoclassicismo di imitazione e del belletto di contorno, senza che un tratto originale o il sostegno della fantasia contribuiscano ad alleviarlo.

L’argomento è la seconda guerra punica, dall’assedio di Sagunto alla battaglia di Zama. Il modello dell’Eneide è richiamato anche dal legame della discendenza tra Didone infelice e tradita e l’odio di Annibale per Roma. Nel legame con l’Eneide e nel condurre la storia Silio manifesta dottissima ingegnosità ma anche la mancanza di ingenium lamentata da Plinio. Nei suoi frequenti ritratti e negli orpelli sovrabbondanti della narrazione non va mai oltre i limiti della brillante esercitazione.