Gaius Petronius Arbiter

Secondo l’opinione pressocché unanime della critica sembra che il Petronius Arbiter cui i manoscritti attribuiscono la paternità del Satyricon sia da identificarsi con il Gaio Petronio elegantiae arbiter del quale Tacito ci ha lasciato una descrizione in Annales XVI 18-19:

18. De C. Petronio pauca supra repetenda sunt. Nam illi dies per somnum, nox officiis et oblectamentis vitae transigebatur; utque alios industria, ita hunc ignavia ad famam protulerat, habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur. Proconsul tamen Bithyniae et mox consul vigentem se ac parem negotiis ostendit. Dein revolutus ad vitia seu vitiorum imitatione inter paucos familiarium Neroni adsumptus est, elegantiae arbiter, dum nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset. Unde invidia Tigellini quasi adversus aemulum et scientia voluptatum potiorem. Ergo crudelitatem principis, cui ceterae libidines cedebant, adgreditur, amicitiam Scaevini Petronio obiectans, corrupto ad indicium servo ademptaque defensione et maiore parte familiae in vincla rapta.
19. Forte illis diebus Campaniam petiverat Caesar, et Cumas usque progressus Petronius illic attinebatur; nec tulit ultra timoris aut spei moras. Neque tamen praeceps vitam expulit, sed incisas venas, ut libitum, obligatas aperire rursum et adloqui amicos, non per seria aut quibus gloriam constantiae peteret. Audiebatque referentis nihil de immortalitate animae et sapientium placitis, sed levia carmina et facilis versus. Servorum alios largitione, quosdam verberibus adfecit. Iniit epulas, somno indulsit, ut quamquam coacta mors fortuitae similis esset. Ne codicillis quidem, quod plerique pereuntium, Neronem aut Tigellinum aut quem alium potentium adulatus est, sed flagitia principis sub nominibus exoletorum feminarumque et novitatem cuiusque stupri perscripsit atque obsignata misit Neroni. Fregitque anulum ne mox usui esset ad facienda pericula.

Anche se non esistono che prove indiziarie dell’identificazione, bisogna riconoscere che il ritratto tacitiano si accorda alla perfezione con l’autore del Satyricon: entrambi sono figli del piacere, che è esaltato in ogni sua forma come fine dell’esistenza; l’edonismo di entrambi è senza preoccupazioni e senza complicazioni; e per entrambi, infine, più che il piacere è l’arte del piacere a distillare il succo della vita.

Dell’opera di Petronio, il Satyricon, possediamo solo frammenti, seppure di notevole estensione; sembra certo che il fatto che l’opera non sia stata conservata integralmente sia almeno in parte da addebitarsi in un certo senso alla popolarità del romanzo, che portò a farne degli estratti delle parti più gustose nei secoli del basso impero. La prima caratteristica che questi brani ci hanno conservato è la contemporanea presenza di parti in prosa e parti in versi. Sembra che ciò che ci è rimasto siano estratti dei libri XV e XVI, ma non è certo. Se così fosse, il romanzo doveva avere uno sviluppo assai esteso.

La parte del narratore è affidata ad uno dei protagonisti, Encolpio, che con l’amico Ascilto passa da un’avventura all’altra, o, meglio, di turpitudine in turpitudine. Entrambi studenti, Encolpio e Ascilto sono infatti privi di morale e proni ad ogni vizio. Basti dire che loro compagno d’avventure è il sedicenne Gitone, delicato amichetto di Encolpio il quale è continuamente insidiato da Ascilto; Ascilto ricorre infatti ad ogni sorta di tiro mancino pur di rubarlo ad Encolpio, avvantaggiato da applaudite doti virili che invece Encolpio, perseguitato dall’ira di Priapo come Ulisse lo fu da Nettuno, ha perduto…

Questo terzetto di personaggi rappresenta il filo conduttore nella sequenza di scene imbastita da Petronio. Nella loro vita d’espedienti, i tre attraversano situazioni e incontrano personaggi accuratamente prescelti dalla realtà sociale del tempo in modo che siano nella loro totalità baroccamente osceni e abbietti. Esempi ne sono l’orgia organizzata da Quartilla, una devota del dio Priapo che, dopo aver smascherato Encolpio e Ascilto, autori del furto di un pallio nel santuario del dio, li costringe a parteciparvi; e il poeta Eumolpo, in realtà un disgustoso pederasta che per di più ammannisce considerazioni sul rapporto tra la decadenza delle arti e quella dei costumi.

I brani del Satyricon che possediamo sono centrati sul celeberrimo episodio della cena di Trimalchione. Si tratta del pubblico banchetto, al quale cioè chiunque poteva autoinvitarsi, offerto da un volgare pezzente rifatto ricco sfondato al quale l’idea della morte che si avvicina serve per stimolare la sua frenesia godereccia: accanto al suo triclinio ha un servo con un orologio perché gli ricordi il tempo che scorre e quando fa servire un vino Falerno Opimiano di cent’anni osserva che un vino è più longevo d’un uomo e bisogna dunque far baldoria. Alla cena partecipano anche Encolpio, Ascilto e Gitone, attorniati da una vera folla di personaggi minori e occasionali che incarnano diversi tipi e diversi livelli di miseria umana.

Il Satyricon, e segnatamente il personaggio di Trimalchione, è certamente parodia letteraria e caricatura sociale, ma non è, ad onta del nome, satira. Quando Trimalchione dà ai suoi servi il permesso di partecipare alla cena – quei servi dei quali con le parole di Encolpio si prende in giro la goffaggine e l’arrivismo – perché et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit, parla con le parole di Seneca (Servi sunt. Immo homines. Servi sunt. Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae) in una parodia accentuata dagli errori grammaticali (il maschile lactem accusativo del neutro lac e il maschile fatus per il neutro fatum). L’arrivismo dei servi e Trimalchione stesso sono una potente caricatura di uno dei fenomeni sociali più vistosi e per noi più sconcertanti di quell’epoca, l’ascesa al potere economico e politico dei liberti.

Ma dal contenuto morale di questa parodia, di questa caricatura, Petronio si mantiene sempre rigidamente distaccato. Egli non mostra mai la minima partecipazione o almeno l’impegno di chi intende condannare le abiezioni che descrive ed anzi si mostra divertito dagli eccessi imbarazzanti. Il suo impegno è solo nel realismo, nell’aderenza ai tipi che rappresenta; la sua partecipazione è tanto più viva quanto più dissoluta ed eccessiva è la corruzione i cui aspetti sciorina al lettore. Il realismo amorale è al tempo stesso il verice più alto della sua arte rappresentativa, tanto che persino uno scrittore cristiano del V secolo d.C., Sidonio Apollinare, gli assegnerà il quarto posto nella sua classifica degli autori latini, nientmeno che dopo Cicerone, Livio e Virgilio.