Aulus Persius Flaccus

Il penultimo grande poeta satirico di Roma, Aulo Persio Flacco nacque a Volaterrae (oggi Volterra) il 4 dicembre del 34 d.C. da ricca famiglia equestre. Queste e altre notizie le attingiamo dalla biografia che nei manoscritti precede il libro delle Satirae e che risalirebbe al primo commentatore ed editore critico di Persio, il grammatico Marco Valerio Probo (seconda metà del I secolo d.C.):

I Aulus Persius Flaccus natus est pridie Nonas Decembris Fabio Persico L. Vitellio coss., decessit VIII Kalendas Decembris P. Mario Afinio Gallo coss. Natus in Etruria Volaterris, eques Romanus, sanguine et affinitate primi ordinis viris coniunctus. Decessit ad octavum miliarium via Appia in praediis suis. Pater eum Flaccus pupillum reliquit moriens annorum fere sex. Fulvia Sisennia mater eius nupsit postea Fusio equiti Romano et eum quoque extulit intra paucos annos.

II Studuit Flaccus usque ad annum XII aetatis suae Volaterris, inde Romae apud grammaticum Remmium Palaemonem et apud rhetorem Verginium Flavum. Cum esset annorum XVI, amicitia coepit uti Annaei Cornuti ita ut nusquam ab eo discederet; a quo inductus aliquatenus in philosophiam est. Amicos habuit a prima adulescentia Caesium Bassum poetam et Calpurnium Staturam, qui vivo eo iuvenis decessit. Coluit ut patrem Servilium Nonianum. Cognovit per Cornutum etiam Annaeum Lucanum aequaevum auditorem Cornuti. Lucanus mirabatur adeo scripta Flacci, ut vix se retineret recitante eo de more quin illa esse vera poemata, sua ludos diceret. Sero cognovit et Senecam, sed non ut caperentur eius ingenio. Usus est apud Cornutum duorum convictu doctissimorum et sanctissimorum virorum acriter tunc philosophantium, Claudi Agathurni medici Lacedaemonii et Petroni Aristocratis Magnetis, quos unice miratus est et aemulatus, cum aequales essent Cornuti, minor esset ipse. Idem decem fere annis summe dilectus a Paeto Thrasea est ita ut peregrinaretur quoque cum eo aliquando, cognatam eius Arriam uxorem habente. Fuit morum lenissimorum, verecundiae virginalis, formae pulchrae, pietatis erga matrem et sororem et amitam exemplo sufficientis. Fuit frugi, pudicus.

III Reliquit circa HS viciens matri et sorori scriptis tantum ad matrem codicillis. Cornuto rogavit ut daret sestertia, ut quidam dicunt, C, ut alii, L et argenti facti pondo viginti et libros circa septingentos Chrysippi sive bibliothecam suam omnem. Verum a Cornuto sublatis libris pecunia sororibus, quas heredes frater fecerat, relicta est. Scriptitavit et raro et tarde. Hunc ipsum librum imperfectum reliquit. Versus aliqui dempti sunt ultimo libro, ut quasi finitus esset. Leviter correxit Cornutus et Caesio Basso petenti, ut ipse ederet, tradidit edendum. Scripserat in pueritia Flaccus etiam praetextam et hodoeporicon librum unum et paucos in socrum Thraseae versus, quae se ante virum occiderat. Omnia ea auctor fuit Cornutus matri eius ut aboleret. Editum librum continuo mirari homines et diripere coeperunt. Decessit autem vitio stomachi anno aetatis XXX.

IV Sed mox ut a schola magistrisque devertit, lecto Lucili libro decimo vehementer saturas componere studuit. Cuius libri principium imitatus est sibi primo, mox omnibus detrectaturus cum tanta recentium poetarum et oratorum insectatione, ut etiam Neronem principem illius temporis inculpaverit. Cuius versus in Neronem cum ita se haberet ‘auriculas asini Mida rex habet,’ in eum modum a Cornuto ipso tantum nomine mutato est emendatus ‘auriculas asini quis non habet?’ ne hoc in se Nero dictum arbitraretur.

Nonostante la ricchezza, condusse dunque una vita frugale e pudica. Rimase orfano del padre ancora bambino, quando non aveva sei anni; la madre Fulvia Sisenna si risposò presto, ma sopravvisse anche al secondo marito. Dopo gli studi a Volterra, a dodici anni andò a Roma dove fu allievo del celebre grammatico Quinto Remmio Palemone, che fu maestro anche di Quintiliano, e proseguì gli studi presso il retore Virginio Flavo. Dopo l’incontro, quand’era appena sedicenne, con il famoso filosofo stoico Lucio Anneo Cornuto, liberto di Seneca, Persio si diede anima e corpo allo stoicismo, la dottrina che impronterà la sua breve vita del moralismo puro, austero e intransigente che pure caratterizza la sua opera. Il poeta stesso ricorda in Satirae V quest’incontro che indirizzò la sua vita. Amico fin dalla giovinezza del poeta Cesio Basso, nel circolo di Cornuto Persio strinse amicizia anche con l’appena più giovane Lucano, che fu suo grande estimatore; fu come un figlio per Marco Servilio Noniano, console nell’anno 35; fu prediletto da Trasea Peto, l’irriducibile capo dell’opposizione senatoria suicida per la libertà, con il quale era imparentato attraverso la moglie di lui, Arria. La sua morte avvenne improvvisamente il 24 novembre del 62 d.C. per una malattia di stomaco, forse una grave congestione. Lasciò eredi la madre e la sorella di tutte le sue sostanze, detratta una somma come legato per Cornuto assieme alla sua biblioteca – ricca dei settecento volumi nei quali il filosofo Crisippo di Soli nel III secolo a.C. aveva esposto sistematicamente la dottrina stoica, tanto da esserne considerato il secondo fondatore – ma Cornuto accettò solo i libri restituendo il denaro alla famiglia. Di tutta la sua produzione, relativamente ricca se si considera che morì giovane e che soleva scrivere di rado e con lentezza, Persio non pubblicò nulla in vita. Fu Cesio Basso a curare la pubblicazione postuma del solo libro delle satire dopo averle sottoposte alla revisione di Cornuto, il quale apportò lievi modifiche – ad esempio per togliere i pericolosi riferimenti a Nerone -, e dopo aver eliminato i versi finali, affinché l’opera, che era incompiuta, apparisse completa. Cornuto sconsigliò invece la pubblicazione delle prime prove poetiche, tra le quali pochi versi per la matrigna di Trasea, morta suicida, e delle opere giovanili, tra le quali in particolare sono ricordate una praetexta, dal titolo Vescio, e un libro di appunti di viaggio.

Alla satira Persio fu spinto dalla lettura del decimo libro dell’opera di Lucilio. Il libro delle Satirae di Persio comprende sei componimenti, in tutto circa 600 esametri. La prima satira è preceduta da un prologo di 14 (secondo alcuni codici 15) trimetri giambici scazonti o coliambi la cui funzione non è chiara: hanno certamente valore programmatico, poiché in essi l’autore spiega di scrivere per l’educazione morale dei suoi lettori e polemizza con la letteratura d’intrattenimento, tanto in voga al suo tempo, tuttavia gli stessi versi in alcuni codici seguono la sesta satira quasi fossero da considerarsi un epilogo. D’altra parte il tema della prima satira è proprio il rifiuto della letteratura disimpegnata, vista come inutile sfoggio di erudizione letteraria e di ambizione. La denuncia dei mali dell’epoca prosegue nella seconda satira, dove si attaccano coloro che ripongono la propria fiducia nella religione, poiché chiedendo agli dèi la liberazione dai mali li si abbassa al livello degli uomini. La terza satira afferma che è necessario mettere in pratica la dottrina stoica, conoscerla non è in alcun modo sufficiente né è scusabile chi la rifiuta; la formazione degli studenti deve essere severa perché dia frutti. La necessità della dottrina stoica è riaffermata nella quarta satira, dove si espone l’importanza del gnòthi seautòn per affrontare i propri compiti, altrimenti si rischia di fallire affrontando situazioni superiori alle proprie forze; la ricerca di pubblici uffici è vanità. La quinta satira, la più lunga, racchiude nell’elogio affettuoso del maestro Anneo Cornuto l’insegnamento stoico della liberazione dagli affanni e dalle passioni mondane e insegna come conseguire la libertà dello spirito. La libertà interiore è anche il tema della sesta satira, indirizzata all’amico Basso del quale loda le poesie, e con il quale si identifica nell’aver raggiunto quell’equilibrio intimo che, secondo la dottrina stoica, è proprio dell’anima e non si consegue con l’appartenenza a un ceto sociale o con il raggiungimento di una carica politica.

Nelle satire di Persio emerge prepotente la tensione morale a tutta prova e la coscienza adamantina dell’autore. La sua critica dei mores è censura dei vizi ed esaltazione delle virtù, è rigorosa quanto radicale è il suo rifiuto del mondo e delle sue futili attrattive. Le Satirae si fanno notare per il linguaggio aggressivamente ironico, energicamente realistico che esalta la durezza della sua spiritualità. Sono molto diverse dai grandi modelli della tradizione satirica, Lucilio e Orazio, i cui sermones colpivano aspetti del mondo per riderne o sorriderne, ma con il signorile disincanto di chi partecipa dell’umanità altrui ed è deciso a rimanere dentro il mondo con entrambi i piedi. Molto apprezzate nell’antichità, è citato già da Marziale, appena un paio di decenni dopo, e così Quintiliano lapidariamente gli rende merito (Institutio oratoria X, 1, 94): multum et verae gloriae quamvis uno libro Persius meruit. L’amore della virtù e la denuncia della corruzione gli garantirono il successo anche tra gli autori cristiani: è citato da Tertulliano, Lattanzio, Agostino.