Fabius Planciades Fulgentius

Poche e incerte le notizie che riguardano Fabio Planciade Fulgenzio, allegorista e mitografo della tarda latinità. Africano (lo si desume ad esempio dal fatto che nel De aetatibus mundi et hominis fa più di un riferimento alla lingua e all’alfabeto libici come propri), forse originario della Cartagine capitale del regno dei Vandali (un’altra opera è dedicata a un altrimenti ignoto Catus presbyter Carthaginis), la sua vita si svolse probabilmente a cavallo del 500 (infatti, Fulgenzio mostra di conoscere lo scrittore cristiano Paolo Orosio, che visse dalla fine del IV alla metà del V secolo d.C.; inoltre, accenni a un re barbaro recentemente giunto sul trono fanno pensare che visse sotto gli ultimi re dei Vandali prima della riconquista dell’Africa settentrionale operata da Giustiniano nel 533-535 d.C).

La coincidenza del periodo storico e il fatto che fosse cristiano hanno suscitato l’ipotesi che il nostro Fulgenzio si possa identificare con l’omonimo santo vescovo di Ruspe che secondo la tradizione visse dal 462 circa al 1 gennaio 527 e che fu autore di scritti teologici e contro l’eresia ariana professata dai Vandali. L’identificazione, benché ritenuta probabile da molti, è tutt’altro che certa e il problema è da considerarsi non risolto. Se accettata, aggiungerebbe alla biografia alcuni particolari della vita del santo che non sembrano impropri e inadatti allo scrittore.

San Fulgenzio nacque – come si è detto, attorno al 462 d.C. – a Thelepte (oggi Nedinet el Kedima vicino a Tunisi) da famiglia illustre, senatoriale (senatore era stato il nonno) e discendente dai Gordiani (che diedero a Roma tre imperatori, non infami benché di breve durata, verso la metà del III secolo d.C.). A quel tempo, tutta l’Africa romana dalla Tripolitania allo stretto di Gibilterra era saldamente nelle mani di Genserico, che vi aveva fondato il regno dei Vandali già da una trentina d’anni (e regnerà fino 25 gennaio 477): un regno di dominatori ariani e incolti e di sudditi cristiani e discendenti di una gloriosa civiltà; ma lo stesso accadeva un po’ in tutta Europa in quei decenni, dato che i primi evangelizzatori dei barbari nel IV secolo erano stati ariani mentre l’eresia era stata poco alla volta sconfitta nell’impero romano.

I Vandali praticavano una politica di moderata oppressione della popolazione autoctona con una rigida separazione tra l’elemento vandalo e quello romano; a quest’ultimo toccava in particolare la maggior parte delle tasse. Ma, come in altri regni romano-barbarici, gli esponenti delle famiglie romane più ricche e in vista, se non potevano esercitare cariche di governo, potevano però ottenere cariche amministrative o onorifiche. In gioventù Fulgenzio, oltre a condurre i beni di famiglia, si diede anche alla vita pubblica ricoprendo la carica di procuratore, che annoverava tra i suoi compiti anche la riscossione delle imposte. La madre era cristiana, il che fa supporre che anche lui fosse battezzato. Tuttavia non è noto come decise di rinunciare alla carriera pubblica e a darsi alla vita monastica; gli agiografi rifersicono che avrebbe maturato la vocazione in seguito alla lettura dell’esposizione sul salmo 36 di sant’Agostino, africano come lui. Se Geneserico aveva lasciato libertà di culto ai cattolici del suo regno (ma volle che l’arianesimo fosse la religione di stato e impose una gravosa tassazione al clero cattolico), con il re Trasamundo (che regna dal 496 al 523) la vita sotto i dominatori ariani si fa dura e inizia la persecuzione. Forse per questo, attorno al 499 Fulgenzio decide di raggiungere l’Egitto per passare ai monaci della Tebaide; ma giunto a Siracusa, le notizie sulle discordie nella chiesa egiziana, che annovera numerosi monofisiti, gli fanno cambiare idea, e nel 500 d.C. è a Roma. Del suo passaggio per la Città Eterna, ancora splendida prima delle rovine della guerra greco-gotica, lascia un ricordo sbalordito: lo colpiscono la bellezza classica e soprattutto i preparativi per la visita del re d’Italia Teodorico.

Torna poi in Africa, dove il re Trasamundo ha proibito di dare successori ai vescovi a mano a mano che muoiono. Ma in segreto le ordinazioni non cessano, e Fulgenzio, che è subito consacrato sacerdote, verso il 502 è già vescovo e posto a capo della chiesa di Ruspe in Tunisia. Ma una persecuzione, anche quando non è virulenta, non dorme e un personaggio di rilievo intellettuale come Fulgenzio non può essere ignorato: esiliato in Sardegna (anch’essa parte del regno vandalo), dove peraltro i cattolici sono più liberi, vi fonda il monastero di Cagliari, nel quale si dedica alla formazione del clero e al bene del popolo. La sua fama varca il mare e lo riporta a Cartagine, perché il re Trasamundo vuole ascoltarne la predicazione. Nuovo rigurgito di intolleranza per l’ostilità dei dignitari di governo ariani e nuovo viaggio di Fulgenzio in Sardegna, dalla quale tornerà in Africa alla sua Ruspe solo alla morte del re. E a Ruspe morirà, secondo la tradizione, il 1 gennaio 527.

Di san Fulgenzio si dice che amò talmente la vita monastica da non saper vivere senza i monaci; per questo fondò numerose comunità in Sardegna e in Africa. La formazione dei consacrati e del popolo cristiano lo appassionava più di ogni altra cosa: per questo certamente fu scrittore fecondo, di dottrina trinitaria, di cristologia, sulla grazia; animò la polemica contro l’arianesimo; fu cultore così appassionato di Agostino da essere chiamato Augustinus breviatus; una sua epistola a Trasamundo è citata nel decreto sull’attività missionaria della Chiesa del Concilio Vaticano II.

Il nostro Fulgenzio è cristiano, si è detto, ma le sue opere fanno sfoggio di cultura classica, pagana. Nei Mythologiarum libri III tenta di spiegare con il metodo allegorico il significato nascosto dei miti tradizionali più celebri; all’argomento di per sè pagano non appone alcun intento religioso, spingendosi invece in spiegazioni razionalistiche, peraltro spesso basate su etimologie fantastiche. L’interesse per l’etimologia è al centro anche di un’altra opera, un commento di vocaboli rari e oscuri intitolato Expositio sermonum antiquorum. Anche qui, però, gli etimi sono derivati senza un tentativo di fondamento scientifico. L’interesse maggiore dell’opera risiede forse nelle abbondanti citazioni di autori latini e anche greci. Tra di esse, ci sono per la verità anche spropositi, confusioni, falsi, come il ben noto accenno a un presunto liber facetiarum di Tacito, che rendono sospette le citazioni a noi sconosciute. Tuttavia Fulgenzio dimostra di conoscere bene alcuni autori, come Petronio, e anche al di là di quanto a noi è rimasto. Nell’Expositio Vergilianae continentiae Fulgenzio rinuncia allo studio filologico e sviluppa una interpretazione allegorica dell’Eneide, che avrà poi fortuna nel Medio Evo e in Dante, al quale fu forse presente anche la finzione artistica cui Fulgenzio ricorre nell’opera, immaginando che l’ombra di Virgilio gli appaia per spiegargli il significato nascosto del poema.

Nel De aetatibus mundi et hominis (che ha una tradizione manoscritta separata dalle tre opere precedenti) Fulgenzio sviluppa una storia del mondo dalla sua creazione al 363 d.C. (i libri I-IX trattano di storia biblica, il libro X di Alessandro Magno, il libro XI di Roma repubblicana, i libri XII e XIII della vita di Cristo e degli Apostoli, il libro XIV della Roma imperiale fino all’accesso di Valentiniano I al trono). Il trattato, probabilmente incompiuto o forse incompleto nei codici, termina improvvisamente dopo quattordici libri, mentre nella prefazione si dice che l’opera avrebbe dovuto constare di 23 libri, tanti quanti le lettere dell’alfabeto latino. Infatti, l’opera è scritta con la tecnica del lipogramma, secondo la quale nella composizione di ogni libro si omette l’uso della lettera dell’alfabeto corrispondente (la A nel primo libro, la B nel secondo, e così via). Il titolo si spiega con l’intento di dimostrare la tesi che le ere della storia del mondo rappresenterebbero la vita umana nelle sue varie fasi; ma l’intenzione è rapidamente abbandonata dopo i primi libri.

Si può ritenere che un interesse così marcato per la classicità mal si addica a un monaco cristiano; ma è obiezione debole all’identificazione con san Fulgenzio di Ruspe, se non altro perché si può ritenere anche il contrario: non è certo impossibile che un monaco colto e di casato illustre, amante degli studi e dell’insegnamento, in tempi di decadenza e di persecuzione culturale, oltre che religiosa, si dedichi all’eredità culturale che gli è propria (e che non è dei dominatori eretici), oltre che alla religione. Lo stesso fecero molti altri in quegli anni e dopo di lui. Di certo, se l’identificazione con san Fulgenzio viene rifiutata, rimane aperto il problema dell’ascrivere singole opere allo scrittore o al santo, poiché è evidente che nei secoli è potuta avvenire confusione sulla effettiva paternità. Un breve trattato Super Thebaiden, una interpretazione allegorica della Thebais di Stazio attribuita nei codici a un sanctus Fulgentius episcopus, concorre a rinfocolare i dubbi, benché sia oggi ritenuto medievale.