Martianus Minneus Felix Capella

Dai riferimenti autobiografici presenti nella sua opera, sembra che Marziano Minneo Felice Capella, erudito dell’ultima corrente pagana, fosse un avvocato africano. Egli afferma, infatti, di essere alumnus della felice urbs Elissae, cioè Cartagine.

Fu probabilmente contemporaneo di Macrobio o di poco posteriore, poiché nei primi decenni del V secolo d.C., certamente dopo il sacco di Roma ad opera di Alarico del 410 d.C. e (probabilmente poco) prima dell’invasione dell’Africa da parte dei Vandali nel 439 d.C., cioè nello stesso periodo nel quale Macrobio infondeva la propria erudzione nelle opere che dedicava al figlio, anche Capella, già in età avanzata, scriveva per il figlio una sorta di enciclopedia dal titolo fantasioso, il De nuptiis Mercurii et Philologiae.

L’opera è da inquadrarsi sotto diversi punti di vista nel gusto del tempo. Il titolo evidenzia il largo utilizzo dell’allegoria, tecnica già sfruttata da Macrobio e, in ambito cristiano, dal poeta Prudenzio e che sarà di moda fino al De consolatione Philosophiae di Boezio per sconfinare con intatta fortuna nel Medio Evo. Egualmente in linea con i tempi ed anticipatore di molte opere medievali è l’intento enciclopedico: l’argomento, una introduzione alle arti liberali, aveva interessato tutti i notevoli esponenti di quel fortunato filone della letteratura latina, distribuiti in tutto l’arco della sua storia, che fu l’erudizione enciclopedica; tuttavia, è significativo che delle nove arti del canone classico, quello dei Disciplinarum libri di Varrone, Capella tenga in considerazione solo le sette che poi costituiranno i canoni medievali del trivio e del quadrivio (nell’ordine grammatica, dialettica, retorica, geometria, aritmetica, musica, astronomia, con l’esclusione rispetto a Varrone dell’architettura e della medicina) e che ritroveremo già nelle opere di Boezio e nelle Institutiones di Cassiodoro.

Il De nuptiis Mercuri et Philologiae è un misto di prosa assai ricercata, ma spesso mista a volgarismi, e versi polimetri (esametri, distici elegiaci, tetrametri trocaici, senari, ecc.), ed anche questa è una tecnica di grande successo nella letteratura latina che sarà sfruttata ancora da Boezio nel già citato De consolatione Philosophiae. I nove libri sono suddivisi in una introduzione, contenuta nei libri I e II, e nell’enciclopedia vera e propria, che occupa i restanti sette libri, uno per ognuna delle arti liberali nell’ordine sopra specificato. Nell’introduzione si racconta come Mercurio, il dio protettore degli studi, avendo deciso di prendere moglie, ottiene in sposa dal concilio degli dèi presieduto da Giove la Filologia, figlia di Apollo e della Sagacia, dopo che è stata purificata dalle letture profane e divinizzata per le nozze. La arti personificate sono offerte da Apollo alla Filologia sposa come ancelle e ciascuna di esse espone la propria dottrina: questo è il legame tra l’introduzione e la seconda parte.

Le fonti sono eccellenti: Servio, il commentatore di Virgilio, per la grammatica, Aquila Romano per la retorica, Plinio il vecchio e Solino per la geometria, Aristide Quintiliano per la musica, il tutto condito da abbondante Varrone un po’ per tutto e, nello stile, largamente influenzato da Apuleio. Tuttavia, la scienza di Capella è assai confusa e accade addirittura che le citazioni siano fatte a sproposito svisandone il significato. Anche le nozioni migliori sono desolantemente mescolate a curiosità insignificanti e accompagnate da frivolezze. In questo contesto, il misto di volgarismi e preziosismi lessicali sembra vieppiù forzato. Ciò nonostante, l’opera godette di grande favore nelle scuole medievali, soprattutto in Gallia a partire da Gregorio di Tours e in Irlanda.