L’Era ab Urbe condita

Comunemente per Era ab Urbe condita si intende il computo degli anni a partire dal 21 aprile 753 a.C. stabilito da Marco Terenzio Varrone. Essa è anche nota come Era Varroniana perché nell’antichità numerose erano le tradizioni e le opinioni sull’anno di fondazione di Roma e, conseguentemente, diverse erano le Ere ab Urbe condita. Tra esse, le più importanti alternative alla Varroniana sono l’Era dei fasti Consolari, che partiva dal 752 a.C., e l’Era Catoniana, che poneva l’anno di fondazione nel 751 a.C.

Riguardo la fondazione di Roma, numerose sono le tradizioni attestate dalle fonti letterarie e numerosissime le varianti. Con riferimento agli aspetti di interesse cronologico, l’elemento più interessante è la ricorrenza in tutte le versioni tradite di un evento astronomico idealmente databile, una eclisse. Tuttavia, nemmeno su questo punto l’accordo è unanime, mentre si individuano due correnti principali:

  1. quella che associa la nascita di Roma a una eclisse;
  2. quella che associa la nascita e la morte di Romolo a due distinte eclissi.

Nessuna di queste indicazioni conduce a soluzioni univoche e nemmeno accettabili.

L’era varroniana

La più importante e la più comune delle versioni dell’Era di Roma, quella stabilita da Varrone, la conosciamo solo attraverso testimonianze indirette, dalle quali si deduce un atteggiamento dell’antico studioso che allo studioso moderno appare contraddittorio, oscillante tra il rigore scientifico e l’apertura all’astrologia.

I curiosi calcoli di Varrone e la fondazione di Roma

Cicerone De re publica 1,25:

[1,25] Atque eius modi quiddam etiam bello illo maximo, quod Athenienses et Lacedaemonii summa inter se contentione gesserunt, Pericles ille, et auctoritate et eloquentia et consilio princeps civitatis suae, cum obscurato sole tenebrae factae essent repente Atheniensiumque animos summus timor occupavisset, docuisse civis suos dicitur, id quod ipse ab Anaxagora, cuius auditor fuerat, acceperat, certo illud tempore fieri et necessario, cum tota se luna sub orbem solis subiecisset; itaque, etsi non omni intermenstruo, tamen id fieri non posse nisi certo intermenstruo tempore. Quod cum disputando rationibusque docuisset, populum liberavit metu; erat enim tum haec nova et ignota ratio, solem lunae oppositu solere deficere, quod Thaletem Milesium primum vidisse dicunt. Id autem postea ne nostrum quidem Ennium fugit; qui ut scribit, anno trecentesimo quinquagesimo fere post Romam conditam

Nonis Iunis soli luna obstitit et nox.

Atque hac in re tanta inest ratio atque sollertia, ut ex hoc die, quem apud Ennium et in maximis annalibus consignatum videmus, superiores solis defectiones reputatae sint usque ad illam, quae Nonis Quinctilibus fuit regnante Romulo; quibus quidem Romulum tenebris etiamsi natura ad humanum exitum abripuit, virtus tamen in caelum dicitur sustulisse.

Censorino De die natali 21,1-8:

[21,1] Et si origo mundi in hominum notitiam venisset, inde exordium sumeremus; nunc vero id intervallum temporis tractabo, quod historicon Varro appellat. Hic enim tria discrimina temporum esse tradit: primum ab hominum principio ad cataclysmum priorem, quod propter ignorantiam vocatur adelon, secundum a cataclysmo priore ad olympiadem primam, quod, quia multa in eo fabulosa referuntur, mythicon nominatur, tertium a prima olympiade ad nos, quod dicitur historicon, quia res in eo gestae veris historiis continetur. [2] Primum tempus, sive habuit initium, seu semper fuit, certe quot annorum sit, non potest conprehendi. Secundum non plane quidem scitur, sed tamen ad mille circiter et sescentos annos esse creditur: a priore scilicet cataclysmo, quem dicunt et Ogygii, ad Inachi regnum annos circiter CCCC computarunt, hinc ad excidium Troiae annos DCCC, hinc ad olympiadem primam paulo plus CCCC; quos solos, quamvis mythici temporis postremos, tamen quia a memoria scriptorum proximos, quidam certius definire voluerunt. [3] Et quidem Sosibius scripsit esse CCCXCV, Eratosthenes autem septem et quadringentos, Timaeus CCCCXVII, Aretes DXIIII, et praeterea multi diverse, quorum etiam ipsa dissensio incertum esse declarat. [4] De tertio autem tempore [scil. a prima olympiade ad nos] fuit quidem aliqua inter auctores dissensio in sex septemve tantum modo annis versata; [5] sed hoc quodcumque caliginis Varro discussit, et pro cetera sua sagacitate nunc diversarum civitatium conferens tempora, nunc defectus eorumque intervalla retro dinumerans eruit verum lucemque ostendit, per quam numerus certus non annorum modo, sed et dierum perspici possit. [6] Secundum quam rationem nisi fallor hic annus, cuius velut index et titulus quidam est V. C. Pii et Pontiani consulatus, ab olympiade prima millensimus est et quartus decimus, ex diebus dumtaxat aestivis, quibus agon Olympicus celebratur; a Roma autem condita nongentesimus nonagensimus primus, et quidem ex Parilibus, unde urbis anni numerantur; [7] eorum vero annorum, quibus Iulianis nomen est, ducentesimus octogensimus tertius, sed ex die kal. Ianuariarum, unde Iulius Caesar anni a se constituti fecit principium; [8] at eorum, qui vocantur anni Augustorum, ducentesimus sexagensimus quintus, perinde ex kal. Ianuariis, quamvis ex ante diem XVI kal. Febr. imperator Caesar, Divi filius, sententia L. Munati Planci a senatu ceterisque civibus Augustus appellatus est se VII et M. Vipsanio Agrippa III cons.

Arnobio Adversus nationes 5,8,7:

[5,8,7] Varro ille Romanus multiformibus eminens disciplinis et in vetustatis indagatione rimator in librorum quattuor primo quos de gente conscriptos Romani populi dereliquit curiosis computationibus edocet, ab diluvii tempore, cuius supra fecimus mentionem, ad usque Hirti consulatum et Pansae annorum esse milia nondum duo…

Da Censorino sappiamo che Varrone riuscì a conciliare i calendari di diverse nazioni (quelli greci, forse, e certamente quello egizio) e si spinse fino a contare non solo gli anni, ma addirittura i giorni, al fine di ricostruire la cronologia del periodo da lui detto storico, cioè fino alla prima Olimpiade, oltre a riportare stime temporali in termini di anni sugli avvenimenti precedenti, quelli del periodo che egli chiama mitico e che fa terminare con il cataclisma o diluvio che si diceva avvenuto quando Ogige era re di Tebe. Forse questi risultati Varrone li descrisse in un De gente populi Romani citato dall’apologista cristiano Arnobio (meglio che in un De initiis urbis Romae noto da Quintiliano Institutio oratoria 1,6,12, dalla breve menzione del quale trasparirebbe un prevalente intento storico descrittivo). In verità il titolo non si addice ad un’opera strettamente cronologica, ma Arnobio accenna con malcelato scetticismo alle curiosae computationes con le quali il Reatino vi stimò in non più di duemila anni l’intervallo tra il diluvio e il consolato di Irzio e Pansa: i calcoli che ad Arnobio parvero curiosi potrebbero nascondere tra l’altro il computo dei giorni cennato da Censorino.

Le affermazioni di Censorino divengono suggestive se si ammette che per il suo calcolo all’indietro, grazie al quale numerus certus non annorum modo, sed et dierum perspici possit, Varrone si sia avvalso del nuovissimo calendario introdotto poco prima da Giulio Cesare (il consolato di Irzio e Pansa è del 43 a.C.) realizzando il primissimo tentativo di ciò che è oggi noto come prolessi del calendario giuliano. Si tratta di un approccio tutt’altro che impensabile, anzi, razionale e probabilmente naturale per uno studioso che aveva a disposizione moltissime informazioni cronologiche dagli atti pubblici e dagli elenchi ufficiali, direttamente espresse o almeno misurabili in intervalli di giorni, e che ora aveva con il nuovo calendario uno strumento stabile nel tempo ed inoltre ancorato al ciclo solare delle stagioni. In fondo, non si trattava di una novità, poiché lo stesso facevano da secoli e avrebbero fatto per secoli ancora gli Egizi, e in particolare gli astronomi alessandrini, i quali impiegavano un calendario, quello vago di 365 giorni, che aveva dato origine a quello giuliano ed era con esso direttamente confrontabile.

Che Varrone avesse solide nozioni di astronomia è certo, anzi a lui assai probabilmente si riferiscono la ratio atque sollertia con la quale secondo Cicerone (De re publica cit. ove tratta della scoperta del calcolo delle eclissi) furono ricercate le eclissi di sole a partire da quella detta di Ennio, perché di questi nota da un verso (degli Annales?) che l’Arpinate cita nel medesimo passo, avvenuta anno trecentesimo quinquagesimo fere post Romam conditam, cioè attorno al 400 a.C., fino a quella che la tradizione voleva fosse avvenuta al momento del transito in cielo di Romolo. Data l’ottima coincidenza temporale, non si può reprimere l’istinto di congetturare che Varrone, non avendo per il periodo anteriore all’invasione gallica (390 a.C.) dati altrettanto precisi (ad esempio sulla durata delle magistrature) di quelli disponibili successivamente, si sia servito degli eventi astronomici, dei quali doveva evidentemente avere traccia negli atti ufficiali quali gli annales maximi riferiti da Cicerone, per risalire fino all’epoca della fondazione di Roma sugli elementi più solidi che poteva reperire.

Il De re publica ciceroniano risale agli anni 55-51 a.C. dunque ben prima del calendario giuliano. Tuttavia, è naturale che Varrone abbia lavorato alle questioni cronologiche in un periodo di parecchi anni, nei quali raccolse quella gran quantità di dati ed eseguì una gran mole di calcoli, trattando di certo nel frattempo anche degli altri argomenti d’interesse alla sua sete di sapere enciclopedico. Del resto, il calcolo delle eclissi non poteva essere fatto se non con il calendario egizio, verso il quale gli alessandrini, che avevano sviluppato i metodi, mettevano a disposizione tavole cronologiche e di effemeridi. E, come si è osservato, riportarsi dal calendario vago a quello giuliano è operazione molto semplice, poiché è sufficiente numerum dierum perspicere.

Purtroppo, pur ammettendo la non scontata correttezza delle deduzioni che abbiamo condotto, di tutti i calcoli di Varrone a noi non è giunta se non la breve notizia riportata oltre due secoli e mezzo più tardi da Censorino. Che è comunque sufficientemente precisa per poter ricostruire con certezza almeno l’equivalenza tra gli anni olimpici e gli anni dalla fondazione di Roma stabilita dal Reatino, che possiamo esprimere e rapportare all’Era Cristiana come segue:

  1. consolato di V. C. Pio e Ponziano = anno 991 a.U.c. ex Parilibus
  2. consolato di V. C. Pio e Ponziano = anno 1.014° delle olimpiadi ex diebus aestivis
  3. consolato di V. C. Pio e Ponziano = 238 d.C. (secondo Dionigi il Piccolo)

Pertanto, tenendo conto delle precisazioni che Censorino opportunamente aggiunge per chiarire quando l’anno precedente sia terminato (peraltro, poco oltre il passo citato, egli fa capire che al momento di scrivere si trovava effettivamente nella seconda metà di quell’anno, quindi dopo il 21 aprile e anche dopo il termine dell’anno olimpico), Varrone pose l’anno di fondazione di Roma nel 753 a.C. e l’anno in cui si svolse la prima Olimpiade nel 776 a.C.

È da notare che Censorino, nel riportare quei dati desunti secundum rationem varroniana, fa riferimento implicito ma inequivoco agli anni solari giuliani, come quello nel quale egli si trovava, e come del resto era necessario per rapportarsi anche agli anni olimpici, che erano solari e stagionali: con ciò di nuovo evidenzia che quella di Varrone dovette essere una vera prolessi del calendario giuliano.

Riguardo il rapporto con gli anni olimpici, è facile desumere che secondo Varrone a.Ol. 1.1 = 776/775, essendo stata celebrata la prima Olimpiade nel 776 a.C. Per la fondazione di Roma, assumendo che i calcoli portarono Varrone alla data primaverile tradizionale, si ha invece 753 a.C. → a.Ol. 6.3 = 754/753. Ciò è coerente con quanto indicato da Solino (citato infra), che cioè Cicerone ed Attico, grandi amici ed estimatori di Varrone, ponevano la fondazione dell’Urbe proprio in quell’anno.

L’astrologo Taruzio e la nascita di Romolo

Cicerone De divinatione 2,47:

[2,47] Videsne, me non ea dicere, quae Carneades, sed ea, quae princeps Stoicorum Panaetius dixerit? Ego autem etiam haec requiro, omnesne, qui Cannensi pugna ceciderint, uno astro fuerint; exitus quidem omnium unus et idem fit. Quid? Qui ingenio atque animo singulares, num astro quoque uno? Quod enim tempus quo non innumerabiles nascuntur? At certe similis nemo Homeri. Et, si ad rem pertinet quo modo caelo adfecto compositisque sideribus quodque animal oriatur, valeat id necesse est non in hominibus solum, verum in bestiis etiam; quo quid potest dici absurdius? L. quidem Tarutius Firmanus, familiaris noster, in primis Chaldaicis rationibus eruditus, urbis etiam nostrae natalem diem repetebat ab iis Parilibus, quibus eam a Romulo conditam accepimus, Romamque, in iugo cum esset Luna, natam esse dicebat, nec eius fata canere dubitabat. O vim maxumam erroris! Etiamne urbis natalis dies ad vim stellarum et lunae pertinebat? Fac in puero referre ex qua adfectione caeli primum spiritum duxerit; num hoc in latere aut in caemento, ex quibus urbs effecta est, potuit valere? Sed quid plura? Cotidie refelluntur. Quam multa ego Pompeio, quam multa Crasso, quam multa huic ipsi Caesari a Chaldaeis dicta memini, neminem eorum nisi senectute, nisi domi, nisi cum claritate esse moriturum! Ut mihi permirum videatur quemquam exstare qui etiam nunc credat iis quorum praedicta cotidie videat re et eventis refelli.

Plutarco Romulus 12:

[12,1] ὅτι μὲν οὖν ἡ κτίσις ἡμέρᾳ γένοιτο τῇ πρὸ ἕνδεκα καλανδῶν Μαΐων, ὁμολογεῖται, καὶ τὴν ἡμέραν ταύτην ἑορτάζουσι Ῥωμαῖοι, γενέθλιον τῆς πατρίδος ὀνομάζοντες. ἐν ἀρχῇ δ᾽ὥς φασιν οὐδὲν ἔμψυχον ἔθυον, ἀλλὰ καθαρὰν καὶ ἀναίμακτον ᾤοντο δεῖν τῇ πατρίδι τὴν ἐπώνυμον τῆς γενέσεως ἑορτὴν φυλάττειν. οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ πρὸ τῆς κτίσεως βοτηρική τις ἦν αὐτοῖς ἑορτὴ κατὰ ταύτην τὴν ἡμέραν, καὶ Παρίλια προσηγόρευον αὐτήν. [2] νῦν μὲν οὖν οὐδὲν αἱ Ῥωμαϊκαὶ νουμηνίαι πρὸς τὰς Ἑλληνικὰς ὁμολογούμενον ἔχουσιν: ἐκείνην δὲ τὴν ἡμέραν, ᾗ τὴν πόλιν ὁ Ῥωμύλος ἔκτιζεν, ἀτρεκῆ τριακάδα τυχεῖν λέγουσι, καὶ σύνοδον ἐκλειπτικὴν ἐν αὐτῇ γενέσθαι σελήνης πρὸς ἥλιον, ἣν εἰδέναι καὶ Ἀντίμαχον οἴονται τὸν Τήιον ἐποποιόν, ἔτει τρίτῳ τῆς ἕκτης ὀλυμπιάδος συμπεσοῦσαν. [3] ἐν δὲ τοῖς κατὰ Βάρρωνα τὸν φιλόσοφον χρόνοις, ἄνδρα Ῥωμαίων ἐν ἱστορίᾳ βυβλιακώτατον, ἦν Ταρούτιος ἑταῖρος αὐτοῦ, φιλόσοφος μὲν ἄλλως καὶ μαθηματικός, ἁπτόμενος δὲ τῆς περὶ τὸν πίνακα μεθόδου θεωρίας ἕνεκα καὶ δοκῶν ἐν αὐτῇ περιττὸς εἶναι. [4] τούτῳ προὔβαλεν ὁ Βάρρων ἀναγαγεῖν τὴν Ῥωμύλου γένεσιν εἰς ἡμέραν καὶ ὥραν, ἐκ τῶν λεγομένων ἀποτελεσμάτων περὶ τὸν ἄνδρα ποιησάμενον τὸν συλλογισμόν, ὥσπερ αἱ τῶν γεωμετρικῶν ὑφηγοῦνται προβλημάτων ἀναλύσεις: τῆς γὰρ αὐτῆς θεωρίας εἶναι, χρόνον τε λαβόντας ἀνθρώπου γενέσεως βίον προειπεῖν, καὶ βίῳ δοθέντι θηρεῦσαι χρόνον. [5] ἐποίησεν οὖν τὸ προσταχθὲν ὁ Ταρούτιος, καὶ τά τε πάθη καὶ τὰ ἔργα τοῦ ἀνδρὸς ἐπιδών, καὶ χρόνον ζωῆς καὶ τρόπον τελευτῆς καὶ πάντα τὰ τοιαῦτα συνθείς, εὖ μάλα τεθαρρηκότως καὶ ἀνδρείως ἀπεφήνατο, τὴν μὲν ἐν τῇ μητρὶ τοῦ Ῥωμύλου γεγονέναι σύλληψιν ἔτει πρώτῳ τῆς δευτέρας ὀλυμπιάδος ἐν μηνὶ κατ᾽ Αἰγυπτίους Χοιὰκ τρίτῃ καὶ εἰκάδι τρίτης ὥρας, καθ᾽ ἣν ὁ ἥλιος ἐξέλιπε παντελῶς, τὴν δ᾽ ἐμφανῆ γέννησιν ἐν μηνὶ Θωὺθ ἡμέρᾳ πρώτῃ μετ᾽ εἰκάδα περὶ ἡλίου ἀνατολάς: [6] κτισθῆναι δὲ τὴν Ῥώμην ὑπ᾽ αὐτοῦ τῇ ἐνάτῃ Φαρμουθὶ μηνὸς ἱσταμένου μεταξὺ δευτέρας ὥρας καὶ τρίτης. ἐπεὶ καὶ πόλεως τύχην ὥσπερ ἀνθρώπου κύριον ἔχειν οἴονται χρόνον, ἐκ τῆς πρώτης γενέσεως πρὸς τὰς τῶν ἀστέρων ἐποχὰς θεωρούμενον. ἀλλὰ ταῦτα μὲν ἴσως καὶ τὰ τοιαῦτα τῷ ξένῳ καὶ περιττῷ προσάξεται μᾶλλον ἢ διὰ τὸ μυθῶδες ἐνοχλήσει τοὺς ἐντυγχάνοντας αὐτοῖς.

Solino De mirabilibus mundi 1,17-18:

[1,17] Nam, ut adfirmat Varro auctor diligentissimus, Romam condidit Romulus, Marte genitus et Rea Silvia, vel ut nonnulli Marte et Ilia: dictaque primum est Roma quadrata, quod ad aequilibrium foret posita. [18] Ea incipit a silva quae est in area Apollinis, et ad supercilium scalarum Caci habet terminum, ubi tugurium fuit Faustuli. Ibi Romulus mansitavit, qui auspicato murorum fundamenta iecit duodeviginti natus annos, XI K.Mai., hora post secundam ante tertiam plenam, sicut L. Tarruntius prodidit mathematicorum nobilissimus, Iove in Piscibus, Saturno Venere Marte Mercurio in Scorpione, Sole in Tauro, Luna in Libra constitutis.

Anche Plutarco, integrato da Cicerone e da Solino, ci ha lasciato notizie di assoluto interesse sull’opera varroniana, soffermandosi però sul lato meno scientifico dell’erudito di Rieti e trascurando del tutto le altre più solide risultanze dell’investigazione del Reatino quali soltanto traspaiono, come abbiamo visto, dai cenni di Censorino e di Arnobio.

Non senza evidente scetticismo, Plutarco riporta che Varrone chiese a un suo amico, Lucio Taruzio, filosofo, matematico e astrologo, di formulare una sorta di “oroscopo inverso” di Romolo: cioè di derivare la configurazione del cielo appropriata alle vicende della vita e della morte del fondatore dell’Urbe che la tradizione raccontava e da essa determinare la data della nascita. Infatti, annota lo storico, Taruzio si era volto ad applicare la sua scienza alla deduzione meccanicistica degli eventi della vita di un uomo una volta nota la sua data di nascita e, come avrebbe detto Varrone, la medesima scienza doveva permettere di risalire al tempo della nascita una volta noti gli eventi della sua vita.

Il nome di Taruzio è noto anche da Plinio Maggiore, secondo il quale (ex auctoribus libri XVIII de rerum natura) egli Graece de astris scripsit. Ma è d’interesse soprattutto la citazione di Cicerone, il quale, scrivendo il De divinatione al principio del 44 a.C., accenna al familiaris noster Lucio Taruzio, originario di Firmum e in primis Chaldaicis rationibus eruditus, che andava cercando la data della fondazione di Roma a partire dall’unico accenno cronologico, le Parilie, che la tradizione gli consegnava. L’Arpinate ironizza sulla sicurezza con la quale Taruzio diceva Roma nata quando la Luna era in Bilancia. Più entusiasta e completo di lui è Solino, che del Firmano, da lui nominato Tarrunzio e definito mathematicorum nobilissimus, consegna alla nostra indagine l’intero oroscopo dell’Urbe.

Riassumendo le fonti, le conclusioni di Taruzio sono riportate di seguito:

  1. Romolo fu concepito nel ventre materno nel primo anno della seconda olimpiade (= 772/771) il giorno Choiac 23 del calendario egizio, nella terza ora, quando il Sole era completamente oscurato da una eclisse.
  2. Romolo nacque il giorno Thoth 21 all’alba (evidentemente in a.Ol. 2.2 = 771/770).
  3. Romolo fondò Roma il giorno Pharmouthi 9 (senza precisare l’anno), tra la seconda e la terza ora, quando la configurazione celeste era la seguente: Giove nei Pesci; Saturno, Venere, Marte e Mercurio nello Scorpione; il Sole nel Toro; la Luna nella Bilancia.

Seguendo Plutarco, in linea di principio Taruzio avrebbe prima fissato la posizione degli astri alla nascita dagli eventi della vita di Romolo per poi derivarne la data, anzi le date di concepimento e di nascita che sono giunte fino a noi. Tuttavia, l’oroscopo di Romolo non ci è dato dalla tradizione, mentre ci è dato quello di Roma. Non è chiaro se Taruzio li abbia derivati entrambi per via astrologica (e quindi il primo non ci è giunto), o soltanto il secondo (contro la lettera di Plutarco), o infine se quello di Roma non sia un oroscopo ma il calcolo astronomico della posizione degli astri una volta nota la data di fondazione.

Stabilire il procedimento astrologico e ricostruire i calcoli astronomici di Taruzio è un filo che la storia della scienza non può oggi dipanare facilmente. Al primo punto, oltre che la sconoscenza dell’astrologia antica, nuoce l’insita arbitrarietà; riguardo il secondo punto, le date espresse nel calendario egizio ci riconducono con certezza all’antica sapienza astronomica alessandrina, che noi però conosciamo prevalentemente attraverso l’opera del ben più tardo Claudio Tolomeo, fiorito intorno alla metà del II secolo d.C. Né del resto le fonti chiariscono quanto Taruzio fosse davvero addentrato in quelle discipline. Possiamo soltanto osservare che il calendario egizio utilizzato era certamente quello vago, poiché quello riformato di Augusto sarebbe stato varato solo intorno al 30 d.C., forse dopo la morte dello stesso Varrone (avvenuta nel 27 a.C.) e, comunque, presso gli astronomi alessandrini non avrebbe mai attecchito.

Peraltro, alla cronachistica versione del più tardo Plutarco sembra preferibile il racconto più diretto del contemporaneo Cicerone, il quale lascia intendere che quella dell’oroscopo (di Roma, non di Romolo) era non una richiesta dell’amico Reatino ma un’idea fissa dell’amico Firmano, e che questi dovette cercare i dati astrologici che meglio si conciliavano con la tradizione. Del resto, anche prescindendo dalla discrezionalità dei metodi astrologici, il problema puramente astronomico di determinare una data richiedeva l’aggiunta di opportune quanto arbitrarie condizioni al contorno. In questo senso, appare naturale che, per cercare la soluzione matematica, Taruzio sia partito dall’anno accettato da Varrone per la fondazione di Roma, cioè a.Ol. 6.3 = 754/753. In quell’anno fissò una data di fondazione con ragioni a noi ancora sconosciute, per la quale calcolò la posizione degli astri. Considerando poi che le fonti sono concordi nell’assegnare la fondazione al 18° anno della vita di Romolo (cioè quando aveva 17 anni), da a.Ol. 6.3 sottrasse quattro olimpiadi e un anno e pose la nascita di Romolo in a.Ol. 2.2 = 771/770, e quindi il concepimento in a.Ol. 2.1 = 772/771.

Che Taruzio dipendesse o meno da Varrone, gli sforzi per ricostruire i suoi calcoli, che approfondiamo in altra sede, non hanno per il momento avuto successo e non è stato possibile determinare un ragionamento sostenibile che conduca ai giorni della nascita di Romolo e della fondazione di Roma che la tradizione letteraria ci ha trasmesso. Di quei calcoli finora inafferrabili rimane la suggestione, che accresce la nostalgia per il naufragio dell’opera varroniana e per gli interrogativi che il possesso di essa sarebbe oggi in grado di fugare e per quelli che sarebbe in grado di suscitare.

L’era dei Fasti Consulares

Dionigi di Alicarnasso Antiquitates Romanae 1,71,5:

τῷ δ᾽ ἑξῆς ἔτει τῆς Νεμέτορος ἀρχῆς [scil. anno Numitoris regni secundo], δευτέρῳ δὲ καὶ τριακοστῷ καὶ τετρακοσιοστῷ μετὰ τὴν Ἰλίου ἅλωσιν, ἀποικίαν στείλαντες Ἀλβανοὶ Ῥωμύλου καὶ Ῥώμου τὴν ἡγεμονίαν αὐτῆς ἐχόντων κτίζουσι Ῥώμην ἔτους ἐνεστῶτος πρώτου τῆς ἑβδόμης ὀλυμπιάδος, ἣν ἐνίκα στάδιον Δαϊκλῆς Μεσσήνιος, ἄρχοντος Ἀθήνησι Χάροπος ἔτος τῆς δεκαετίας πρῶτον.

Dionigi di Alicarnasso Antiquitates Romanae 1,74&1,75,1-3:

[1,74,1] τὸν δὲ τελευταῖον γενόμενον τῆς Ῥώμης οἰκισμὸν ἢ κτίσιν ἢ ὅτι δήποτε χρὴ καλεῖν Τίμαιος μὲν ὁ Σικελιώτης οὐκ οἶδ᾽ὅτῳ κανόνι χρησάμενος ἅμα Καρχηδόνι κτιζομένῃ γενέσθαι φησὶν ὀγδόῳ καὶ τριακοστῷ πρότερον ἔτει τῆς πρώτης ὀλυμπιάδος. Λεύκιος δὲ Κίγκιος ἀνὴρ τῶν ἐκ τοῦ βουλευτικοῦ συνεδρίου περὶ τὸ τέταρτον ἔτος τῆς δωδεκάτης ὀλυμπιάδος. Κόϊντος δὲ Φάβιος κατὰ τὸ πρῶτον ἔτος τῆς ὀγδόης ὀλυμπιάδος. [2] Κάτων δὲ Πόρκιος Ἑλληνικὸν μὲν οὐχ ὁρίζει χρόνον, ἐπιμελὴς δὲ γενόμενος, εἰ καί τις ἄλλος, περὶ τὴν συναγωγὴν τῆς ἀρχαιολογουμένης ἱστορίας ἔτεσιν ἀποφαίνει δυσὶ καὶ τριάκοντα καὶ τετρακοσίοις ὑστεροῦσαν τῶν Ἰλιακῶν. ὁ δὲ χρόνος οὗτος ἀναμετρηθεὶς ταῖς Ἐρατοσθένους χρονογραφίαις κατὰ τὸ πρῶτον ἔτος πίπτει τῆς ἑβδόμης ὀλυμπιάδος. ὅτι δέ εἰσιν οἱ κανόνες ὑγιεῖς, οἷς Ἐρατοσθένης κέχρηται, καὶ πῶς ἄν τις ἀπευθύνοι τοὺς Ῥωμαίων χρόνους πρὸς τοὺς Ἑλληνικούς, ἐν ἑτέρῳ δεδήλωταί μοι λόγῳ. [3] οὐ γὰρ ἠξίουν ὡς Πολύβιος ὁ Μεγαλοπολίτης τοσοῦτο μόνον εἰπεῖν, ὅτι κατὰ τὸ δεύτερον ἔτος τῆς ἑβδόμης ὀλυμπιάδος τὴν Ῥώμην ἐκτίσθαι πείθομαι, οὐδ᾽ἐπὶ τοῦ παρὰ τοῖς ἀρχιερεῦσι κειμένου πίνακος ἑνὸς καὶ μόνου τὴν πίστιν ἀβασάνιστον καταλιπεῖν, ἀλλὰ τοὺς ἐπιλογισμούς, οἷς αὐτὸς προσεθέμην, εἰς μέσον ὑπευθύνους τοῖς βουληθεῖσιν ἐσομένους ἐξενεγκεῖν. [4] ἡ μὲν οὖν ἀκρίβεια ἐν ἐκείνῳ δηλοῦται τῷ λόγῳ, λεχθήσεται δὲ καὶ διὰ τῆσδε τῆς πραγματείας αὐτὰ τἀναγκαιότατα. ἔχει δὲ οὕτως: ἡ Κελτῶν ἔφοδος, καθ᾽ἣν ἡ Ῥωμαίων πόλις ἑάλω, συμφωνεῖται σχεδὸν ὑπὸ πάντων ἄρχοντος Ἀθήνησι Πυργίωνος γενέσθαι κατὰ τὸ πρῶτον ἔτος τῆς ὀγδόης καὶ ἐνενηκοστῆς ὀλυμπιάδος. ὁ δὲ πρὸ τῆς καταλήψεως χρόνος ἀναγόμενος εἰς Λεύκιον Ἰούνιον Βροῦτον καὶ Λεύκιον Ταρκύνιον Κολλατῖνον τοὺς πρώτους ὑπατεύσαντας ἐν Ῥώμῃ μετὰ τὴν κατάλυσιν τῶν βασιλέων ἔτη περιείληφεν εἴκοσι πρὸς τοῖς ἑκατόν. [5] δηλοῦται δὲ ἐξ ἄλλων τε πολλῶν καὶ τῶν καλουμένων τιμητικῶν ὑπομνημάτων, ἃ διαδέχεται παῖς παρὰ πατρὸς καὶ περὶ πολλοῦ ποιεῖται τοῖς μεθ᾽ἑαυτὸν ἐσομένοις ὥσπερ ἱερὰ πατρῷα παραδιδόναι: πολλοὶ δ᾽ εἰσὶν ἀπὸ τῶν τιμητικῶν οἴκων ἄνδρες ἐπιφανεῖς οἱ διαφυλάττοντες αὐτά: ἐν οἷς εὑρίσκω δευτέρῳ πρότερον ἔτει τῆς ἁλώσεως τίμησιν ὑπὸ τοῦ Ῥωμαίων δήμου γενομένην, ᾗ παραγέγραπται καθάπερ καὶ ταῖς ἄλλαις χρόνος οὗτος: ῾ὑπατεύοντος Λευκίου Οὐαλερίου Ποτίτου καὶ Τίτου Μαλλίου Καπιτωλίνου μετὰ τὴν ἐκβολὴν τῶν βασιλέων ἑνὸς δέοντι εἰκοστῷ καὶ ἑκατοστῷ ἔτει.᾿ [6] ὥστε τὴν Κελτικὴν ἔφοδον, ἣν τῷ δευτέρῳ μετὰ τὴν τίμησιν ἔτει γενομένην εὑρίσκομεν, ἐκπεπληρωμένων τῶν εἴκοσι καὶ ἑκατὸν ἐτῶν γενέσθαι. εἰ δὲ τοῦτο τὸ διάστημα τοῦ χρόνου τριάκοντα ὀλυμπιάδων εὑρίσκεται γενόμενον, ἀνάγκη τοὺς πρώτους ἀποδειχθέντας ὑπάτους ὁμολογεῖν ἄρχοντος Ἀθήνησιν Ἰσαγόρου παρειληφέναι τὴν ἀρχὴν κατὰ τὸ πρῶτον ἔτος τῆς ὀγδόης καὶ ἑξηκοστῆς ὀλυμπιάδος.

[1,75,1] καὶ μὴν ἀπό γε τῆς ἐκβολῆς τῶν βασιλέων ἐπὶ τὸν πρῶτον ἄρξαντα τῆς πόλεως Ῥωμύλον ἀναβιβασθεὶς ὁ χρόνος ἔτη τέτταρα πρὸς τοῖς τετταράκοντα καὶ διακοσίοις ἀποτελεῖ. γνωρίζεται δὲ τοῦτο ταῖς διαδοχαῖς τῶν βασιλέων καὶ τοῖς ἔτεσιν, οἷς ἕκαστοι κατέσχον τὴν ἀρχήν. Ῥωμύλος μὲν γὰρ ὁ κτίσας τὴν πόλιν ἑπτὰ καὶ τριάκοντα ἔτη λέγεται κατασχεῖν τὴν δυναστείαν: μετὰ δὲ τὸν Ῥωμύλου θάνατον ἀβασίλευτος ἡ πόλις γενέσθαι χρόνον ἐνιαύσιον. [2] ἔπειτα Νόμας Πομπίλιος αἱρεθεὶς ὑπὸ τοῦ δήμου τρία καὶ τετταράκοντα ἔτη βασιλεῦσαι. Τύλλος δὲ Ὁστίλιος μετὰ Νόμαν δύο καὶ τριάκοντα. ὁ δ᾽ἐπὶ τούτῳ βασιλεύσας Ἄγκος Μάρκιος τέτταρα πρὸς τοῖς εἴκοσι. μετὰ δὲ Μάρκιον Λεύκιος Ταρκύνιος ὁ κληθεὶς Πρίσκος ὀκτὼ καὶ τριάκοντα. τοῦτον δὲ διαδεξάμενος Σερούϊος Τύλλιος τετταράκοντα καὶ τέτταρα. ὁ Σερούϊον δὲ ἀνελὼν Λεύκιος Ταρκύνιος ὁ τυραννικὸς καὶ διὰ τὴν τοῦ δικαίου ὑπεροψίαν κληθεὶς Σούπερβος ἕως εἰκοστοῦ καὶ πέμπτου προαγαγεῖν τὴν ἀρχήν. [3] τεττάρων δὲ καὶ τετταράκοντα καὶ διακοσίων ἀναπληρουμένων ἐτῶν, ἃ κατέσχον οἱ βασιλεῖς, ὀλυμπιάδων δὲ μιᾶς καὶ ἑξήκοντα πᾶσα ἀνάγκη τὸν πρῶτον ἄρξαντα τῆς πόλεως Ῥωμύλον ἔτει πρώτῳ τῆς ἑβδόμης ὀλυμπιάδος παρειληφέναι τὴν βασιλείαν ἄρχοντος Ἀθήνησι τῆς δεκαετίας Χάροπας ἔτος πρῶτον. τοῦτο γὰρ ὁλογισμὸς τῶν ἐτῶν ἀπαιτεῖ. ὅτι δὲ τοσαῦτα ἕκαστος τῶν βασιλέων ἦρξεν ἔτη δι᾽ἐκείνου δηλοῦταί μοι τοῦ λόγου.

Gaio Giulio Solino De mirabilibus mundi 1,27-32:

[1,27] Cincio Romam duodecima olympiade placet conditam: Pictori octava: Nepoti et Lutatio, opiniones Eratosthenis et Apollodori comprobantibus, olympiadis septimae anno secundo: Pomponio Attico et M. Tullio olympiadis sextae anno tertio. Conlatis igitur nostris et Graecorum temporibus invenimus incipiente olympiade septima Romam conditam, anno post Illium captum quadringentesimo tricesimo tertio. [28] Quippe certamen Olympicum, quod Hercules in honorem atavi materni Pelopis ediderat, intermissum Iphitus Eleus instauravit post excidium Troiae anno quadringentesimo octavo. Ergo ab isto numeratur olympias prima. Ita sex mediis olympiadibus interiectis, quibus singulis anni quaterni inputantur, cum septima coeptante Roma condita sit, inter exortum urbis et Troiam captam iure esse annos quadringentos triginta tres constat. [29] Huic argumento illud accedit, quod cum C. Pompeius Gallus et Q. Veranius urbis conditae anno octingentesimo primo fuerint consules, consulatu eorum olympias septima et ducentesima actis publicis annotata est. Quater ergo multiplicatis sex et ducentis olympiadibus erunt anni octingenti viginti quattuor, quibus de septima olympiade adnectendus primus annus est, ut in solidum colligantur anni octingenti viginti quinque. Ex qua summa detractis quattuor et viginti annis olympiadum retro sex, manifeste anni octingenti et unus reliqui fient. [30] Quapropter cum octingentesimo primo anno urbis conditae ducentesima septima olympias computetur, par est Romam septimae olympiadis anno primo credi conditam. [31] In qua regnatum est annis ducentis quadraginta uno. Decemviri creati anno trecentesimo secundo. Primum Punicum bellum anno quadringentesimo octogesimo nono, secundum quingentesimo tricesimo quinto, tertium sexcentesimo quarto, sociale sexcentesimo sexagesimo secundo. [32] Ad A. Hirtium et C. Pansam consules anni septingenti decem: quorum consulatu Caesar Augustus est consul creatus, octavum decimum annum agens: qui principatum ita ingressus est, ut vigilantia illius non modo securum, verum etiam tutum imperium esset.

Lo storico di Roma Dionigi di Alicarnasso indica per la fondazione di Roma l’anno primo della settima olimpiade, cioè il 752/751 a.C. Poiché secondo Dionigi questa datazione fu sostenuta da Marco Porcio Catone detto il Censore (molto probabilmente nella sua opera sulla storia di Roma dalla nascita ai suoi tempi, le Origines, delle quali purtroppo possediamo quasi solo il titolo), è nota anche come era catoniana.

Dionigi supporta il proprio convincimento esponendo brevemente le fonti alla base dei suoi calcoli. Egli partì dalla prima data della storia di Roma sulla quale ai suoi tempi fosse attestato il quasi unanime consenso degli storici, l’invasione gallica in a.Ol. 98.1 = 388/387. Da essa arretrò di 120 anni esatti, cioà 30 olimpiadi, per giungere all’anno del primo consolato fissato in a.Ol 68.1 = 508/507, asserendo di poterlo provare in molti modi, dei quali riporta questo: di aver reperito una registrazione censoria, conservata gelosamente dalla famiglia, relativa ad un censimento risalente δευτέρῳ πρότερον ἔτει τῆς ἁλώσεως e datata ὑπατεύοντος Λευκίου Οὐαλερίου Ποτίτου καὶ Τίτου Μαλλίου Καπιτωλίνου μετὰ τὴν ἐκβολὴν τῶν βασιλέων ἑνὸς δέοντι εἰκοστῷ καὶ ἑκατοστῷ ἔτει. Avendo infine assunto la durata del periodo regio in 244 anni, pari a 61 olimpiadi, egli giunse ad a.Ol. 7.1 = 752/751.

In linea di principio, dovremmo concludere che Dionigi pose la fondazione di Roma nell’anno che per noi è il 751 a.C. nel quale cadde formalmente il 21 aprile. Tuttavia, Dionigi aggiunge un particolare, che l’anno in questione fu il primo dell’arcontato decennale di Caropo ad Atene. Poiché può essere mostrato che Dionigi supporta la datazione tradizionale degli arconti ateniesi, secondo la quale il primo anno del decennio di Caropo fu a.Ol. 6.4 (tra l’altro in accordo con i 432 anni dalla tradizionale presa di Troia), in apparenza egli cade in una contraddizione che stupisce in un autore greco e contrasta con la sua celebre accuratezza. La soluzione sta nel particolarissimo costrutto dal lui usato, κτίζουσι Ῥώμην ἔτους ἐνεστῶτος πρώτου τῆς ἑβδόμης ὀλυμπιάδος, che va probabilmente inteso come espressione di incipienza, analogamente a quanto fa Solino due volte nella propria formulazione. L’anno è dunque il 752 a.C. e poiché la fondazione avvenne non lontano dalla metà di esso, Dionigi sembra voler enfatizzare la sincronizzazione tra a.U.c. 1 e a.Ol. 7.1. nonostante il 21 aprile sia formalmente parte di a.Ol. 6.4.

Anche Solino, subito dopo aver riportato l’oroscopo di Romolo formulato da Lucio Taruzio, fa sua l’ipotesi catoniana che riporta la fondazione di Roma ad a.Ol. 7.1 equiparato al 752 a.C., come emerge chiaramente dall’esposizione che egli fa, analogamente a Dionigi, delle proprie ragioni. Solino parte da una notizia di assoluto valore cronologico: che negli atti pubblici dello stato era annotato che sotto il consolato di G. Pompeo Gallo e Q. Veranio nell’anno 801 di Roma ebbe luogo la 207a Olimpiade. Questo consolato corrisponde al 49 d.C. secondo Dionigi il Piccolo e ciò implica che la nascita dell’Urbe avvenne nell’anno 801 – 49 = 752 a.C. Ciò è confermato dalla sua datazione, immediatamente successiva, del consolato di A. Irzio e G. Pansa (per noi il 43 a.C.) al 710 di Roma. La definitiva sanzione arriva dalle seguenti considerazioni: se la 207a Olimpiade fu celebrata nel 49 d.C. allora a.Ol. 7.1 = 752/751; il ripetuto riferimento al momento tra la fine della sesta olimpiade e l’inizio della settima (incipiente olympiade septimaseptima coeptante) chiarisce che l’anno di fondazione è il 752 a.C. e che a.Ol. 7.1 è sincronizzato con a.U.c. 1.

La datazione del 752 a.C. fu impiegata anche dall’estensore dei Fasti Consulares, che sul finire del I secolo a.C. nell’ambito della politica di ricostruzione dell’identità romana perseguita da Augusto compilò la lista poi incisa nel marmo, i cui resti ritrovati nel Foro Romano sono stati portati in Campidoglio e sono perciò noti come Fasti Capitolini.

Altre tradizioni antiche sulla fondazione di Roma

Quinto Ennio in Varrone

Discutendo della priorità temporale del genere di vita rustica rispetto alla vita urbana, Varrone (De re rustica 3,1) cita due versi di Ennio:

[…] Etenim vetustissimum oppidum cum sit traditum Graecum Boeotiae Thebae, quod rex Ogyges aedificarit, in agro Romano Roma, quam Romulus rex; nam in hoc nunc denique est ut dici possit, non cum Ennius scripsit:

septingenti sunt paulo plus aut minus anni,
augusto augurio postquam inclita condita Roma est.

Thebae, quae ante cataclysmon Ogygi conditae dicuntur, eae tamen circiter duo milia annorum et centum sunt. […]

La citazione suggerisce che Ennio abbia posto la fondazione di Roma circa 700 anni prima di quando egli li stesse scrivendo. Non sappiamo quando egli scrivesse questi versi, che probabilmente appartengono agli Annales, ma poiché la sua vita si svolse tra il 239 e il 169 a.C., egli doveva porre la fondazione di Roma tra il 940 e l’870 a.C. Il termine inferiore può essere portato almeno al 920 a.C. quando si tenga conto che ci si può restringere alla sua vita adulta.

Storici romani e greci in Dionigi di Alicarnasso

In Antiquitates Romanae 1,74,1-2 si trovano citate le ulteriori opinioni di altri storici:

  1. Timeo Siculo: 38 anni prima della prima Olimpiade, quindi nell’814 a.C., contemporanea alla fondazione di Cartagine.
  2. Lucio Cincio (Alimento), senatore, in a.Ol. 12.4 = 729/728.
  3. Quinti Fabio (Pittore) in a.Ol. 8.1 = 748/747.
  4. Polibio di Magalopoli in a.Ol. 7.2 = 751/750.

Di particolare interesse ciò che Dionigi, in polemico confronto con il proprio metodo di ricerca e analisi di tutte le fonti disponibili, afferma riguardo Polibio, che cioè questi si sarebbe basato su “l’unica tavola che si conserva presso i sommi sacerdoti”. Si trattava di una affermazione generica oppure con ciò intendeva dire che la tradizione pontificale (Annales maximi e Libri Linthei) riportava la fondazione di Roma ad a.Ol. 7.2?

Marco (o Gaio?) Velleio Patercolo

Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo (1,8,4): Sexta olympiade post duo et viginti annos quam prima constituta fuerat, Romulus, Martis filius, ultus iniurias avi, Romam urbem Parilibus in Palatio condidit. A quo tempore ad vos consules [scil. M. Vinicium atque collegam] anni sunt septingenti octoginta unus; id actum post Troiam captam annis quadringentis triginta septem.

Marco Vinicio ricoprì il consolato nel 30 e nel 45 d.C. La dedica di Patercolo si riferisce certamente al primo consolato. Perciò la fondazione di Roma è posta da Patercolo nel 781 – 30 = 751 a.C. Tuttavia, questo calcolo non coincide né con l’indicazione a.Ol. 6.2 = 755/754 né con l’intervallo di 437 anni dopo la presa di Troia (avvenuta nel 1184 a.C. secondo Eratostene).

Riguardo l’Era Olimpica, poche righe più sopra (1,8,1: Is [scil. Iphitus Elius] eos ludos [scil. Olympios] mercatumque instituit ante annos, quam tu, M. Vinici, consulatum inires, DCCCXXIII), Patercolo fornisce una posizione ancora diversa e comunque incompatibile con le altre notizie assegnandone l’inizio al 793 a.C., peraltro in un contesto nel quale (1,8,2) egli discute brevemente le tradizioni riguardo la nascita dei giochi in Olimpia (vedi anche Solino infra), certamente preesistenti e molto più antichi della data ufficialmente adottata da Eratostene e dai cronografisti dopo di lui (776 a.C.).