Anicius Manlius Severinus Boethius

Grande intermediario, assieme al di poco posteriore Cassiodoro, tra la cultura classica e la scolastica medievale, Anicio Manlio Severino Boezio, della antica e nobile gens Anicia, nacque a Roma intorno al 480 d.C., quando l’Impero Romano cedeva anche l’Italia ai barbari ma la romanità era ancora ben lungi dall’oscurarsi.

Poco sappiamo della sua vita. Sposò la figlia di Simmaco e fece una regolare carriera pubblica; fu consul sine collega nel 510 d.C. L’Italia allora era già nelle mani di Teodorico (454 – 526 d.C.), il re degli Ostrogoti che aveva vissuto tutta la propria giovinezza come ostaggio a Costantinopoli e che ottenne dall’imperatore d’oriente Zenone di riconquistare l’Italia in nome dell’Impero Romano scacciando l’usurpatore Odoacre. Dopo quattro anni di lotte, nel 493 d.C. Odoacre fu sconfitto e fatto uccidere da Teodorico a Ravenna, nonostante si fosse arreso.

L’Italia era ora il regno di Teodorico, il quale, pur mantenendosi indipendente dall’Impero d’oriente, nel suo governo si riallacciò, almeno in un primo tempo, alla tradizione romana. Tra l’altro, lasciò immutati gli istituti romani – ad esempio Boezio fu eletto console e il senato continuò nelle sue funzioni e con le sue prerogative – e romani erano gli alti funzionari dello stato e i suoi consiglieri; non fu ostile alla Chiesa di Roma, nonostante quale goto egli fosse ariano; ed infine il suo splendido mausoleo a Ravenna dimostra come, dopo un lungo periodo di disagi e di invasioni, di incertezze e di devastazioni, soprattutto di lotte impossibili contro un nemico inesauribile che avevano portato alla perdita di un impero grande quanto l’Europa occidentale, l’Italia sotto il goto-romano Teodorico fosse di nuovo in grado di esprimere arte di notevole livello.

Boezio, come il suocero Simmaco e come Cassiodoro, fu tra coloro che godettero della fiducia di Teodorico. Tuttavia, negli ultimi anni della sua vita, Teodorico divenne sospettoso e dispotico, allontanandosi dall’Impero d’oriente e osteggiando la Chiesa. E, come il suocero Simmaco e il Papa Giovanni, Boezio fu tra quelli che ne fecero le spese.

Dopo aver avuto vari incarichi che testimoniavano il favore del re, Boezio cadde improvvisamente in disgrazia. Accusato di tradimento per aver difeso il senatore Albino, che era sospettato di cospirare con l’imperatore d’oriente, accusato di magia, fu processato dal senato che lo condannò a morte senza ascoltarne la difesa. Imprigionato a Pavia, Boezio fu decapitato nel 524 d.C. nei pressi della città. Il suo corpo mutilato fu sepolto nella basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, dove tuttora riposa assieme a sant’Agostino e al re longobardo Liutprando.

Educato ottimamente, celeberrimo tra i contemporanei per la sua scienza, Boezio era profondo conoscitore della lingua e del pensiero greco: platonismo, aristotelismo, stoicismo, e soprattutto neoplatonismo. Trattò del problema della logica in numerose opere: Introductio ad syllogismos categoricos, De syllogismo hypothetico, De divisione, De differentiis topicis. Tradusse e commentò Aristotele nel De interpretatione e nelle Categoriae, tradusse e commentò il neoplatonico Porfirio nell’Isagoge, scrisse commenti di Cicerone. Sempre partendo dalla scienza greca scrisse la Institutio arithmetica, in due libri, e la Institutio musica, in cinque libri.

Grazie a questa produzione, agli interssi e agli argomenti inconsueti per un romano e al suo talento, Cassiodoro disse di lui che per opera sua i grandi filosofi e matematici greci avevano imparato a parlare nella lingua di Roma. Per la stessa ragione è stato definito “l’ultimo dei Romani” e contemporaneamente il “primo degli scolastici”: non certo a caso le sue opere riecheggiano quella che diventerà la suddivisione tradizionale delle arti nella scolastica medievale: il trivio (grammatica, dialettica e retorica) e il quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia). In effetti, Boezio, molto più di Cassiodoro, è il vero mediatore tra la romanità e il Medio Evo e la sua attività di raccolta e trasmissione della cultura classica ebbe larghissima e duratura influenza in tutto il periodo medievale.

Nonostante non sia certo che fu battezzato, sin dal Medio Evo Boezio è stato considerato cristiano. La definitiva attribuzione a Boezio di alcuni trattati di argomento teologico, tra cui il De sancta Trinitate, dedicata al suocero Simmaco sulla Trinità, il Contra Eutychen et Nestorium, dedicata al diacono romano Giovanni sulla natura divina e umana di Cristo, ha fugato il dubbio anche presso gli studiosi moderni.

Ma la fama di Boezio è legata soprattutto ad un’opera originale e geniale, il De consolatione philosophiae, cinque libri in prosa con inserzioni in versi polimetri scritti nella prigione di Pavia in attesa dell’esecuzione. Sul modello dei dialoghi di Platone, l’autore immagina che una donna bellissima, la Filosofia, dopo aver fugato le Muse, più allettanti che confortanti, venga a consolarlo per l’ingiusta condanna promettendogli di rivelargli il fine ultimo delle cose umane.

La Filosofia affronta via via tutti i temi che avevano sfidato l’ingegno dei filosofi antichi e dello stesso Boezio, la fortuna, che è sorte incostante, il bene e la felicità, il male e la provvidenza, il libero arbitrio dell’uomo e la prescienza divina. Il mistero salvifico di Cristo non entra direttamente nelle parole della Filosofia, i dogmi della Chiesa e l’autorità della Scrittura e delle sue interpretazioni non sono invocati, ma la filosofia e la razionalità sono i mezzi con cui l’uomo è portato al cospetto del sommo bene, che è Dio, e alla liberazione dal male.