Arnobius

Nato a Sicca Veneria, in Numidia al confine con l’Africa proconsolare, nella prima metà o attorno alla metà del III secolo dell’era volgare, Arnobio fu ivi celebrato professore di retorica. Secondo san Girolamo (De viris illustribus LXXX) ebbe fra i suoi discepoli anche Lattanzio, sebbene il santo nel Chronicon ne ponga l’acme al 326 d.C. presumibilmente dopo la morte del suo discepolo (poiché da Girolamo stesso Lattanzio è detto vecchissimo nel 316). Era pagano e sin da giovane era stato accanito oppositore del Cristianesimo, ma attorno al 295 d.C. improvvisamente si convertì alla nuova fede grazie ad un sogno. Di questo evento centrale della sua vita non possediamo però notizie concrete. Brevissimo l’appunto di san Girolamo nel De viris illustribus (LXXIX):

[LXXIX] Arnobius sub Diocletiano principe Siccae apud Africam florentissime rhetoricam docuit, scripsitque adversum gentes, quae vulgo exstant, volumina.

Sempre scarna benché più ampia la nota che il santo appose ad annum 326 p.Chr.n. del Chronicon:

Arnobius rhetor in Africa clarus habetur; qui cum Siccae ad declamandum iuvenes erudiret et adhuc ethnicus ad credulitatem somniis conpelleretur neque ab episcopo impetraret fidem quam semper impugnaverat, elucubravit adversum pristinam religionem luculentissimos libros et tandem velut quibusdam obsidibus pietatis foedus impetravit.

Secondo san Girolamo, il repentino cambiamento e l’approdo su opposte posizioni del vecchio pagano suscitò la diffidenza del vescovo di Sicca, per vincere la quale Arnobio scrisse e pubblicò l’apologia dal titolo Adversus nationes, in sette libri. Soltanto i primi due, che sembrano essere immediatamente posteriori al momento della conversione, sono apologetici in senso stretto. In essi Arnobio conduce una appassionata confutazione delle accuse pagane secondo la quale i cristiani sarebbero stati la causa delle disgrazie dell’impero. Epidemie, calamità atmosferiche, attacchi di barbari non sono dovuti alla collera degli dèi, egli sostiene, ma alla natura, mentre il sentimento che si confà alla divinità non è certo la collera, bensì l’amore. Gli ultimi cinque libri, che potrebbero essere stati aggiunti qualche anno più tardi e non far parte, quindi, della prova di autenticità richiesta dal vescovo di Sicca, sviluppano un tremendo attacco alle idee e ai miti pagani. Con la sferza della satira, Arnobio mette alla berlina senza pietà e con molta ironia riti religiosi, usanze tradizionali, credenze superstiziose. Ma anche la razionalità è ripudiata: l’uomo si illude della propria potenza, crede di poter dominare la natura, ma la ragione non può nulla senza la fede.

Gli eccessi di ridicolo nella requisitoria contro il paganesimo come di pessimismo nella visione umana sembrano retaggio dell’impronta epicurea che Arnobio doveva possedere: e Lucrezio influenza certamente il suo linguaggio. Tuttavia, nell’Adversus nationes Arnobio mette in luce una natura sensibile e autenticamente religiosa, uno spirito tormentato e antirazionalista alla ricerca di un approdo sicuro per le sue idee. Le inesistenti citazioni della sacra scrittura e gli erronei riferimenti alla dottrina cristiana tradiscono la confusione dogmatica del recente convertito e forse una adesione sostanzialmente filosofica più zelante che meditata alla nuova fede. Forse per questo l’opera non sembra abbia avuto grande diffusione nell’antichità, giacché tra gli autori cristiani del IV secolo soltanto san Girolamo dimostra di conoscerla (e ne dà un non lusinghiero giudizio in Epistulae LVIII, 10: Arnobius inaequalis et nimius et absque operis sui partitione confusus). Con il Decreto Gelasiano del VI secolo l’opera fu addirittura posto tra i libri apocrifi. Tuttavia, Arnobio non venne censurato e ripudiato, senza dubbio perchè egli, accanto ad una vasta cultura profana, mostra di possedere una spiritualità sinceramente insoddisfatta del classicismo e di trovare in Cristo il riscatto dalla morte e la giusta collocazione all’uso della ragione.

Per noi, l’Adversus nationes è soprattutto un documento prezioso per la conoscenza dei miti e dei riti pagani, che Arnobio descrive con cura nel suo sforzo di critica e di satira. E la sua prosa è una delle prime in cui si possa ritrovare una alternativa basata sugli accenti tonici alla classica musicalità dell’eloquio basata sulla quantità sillabica, che prevarrà poi nel Medio Evo e nelle lingue romanze.