Lucius Accius

Lucio Accio, erudito e poeta tragico, nacque a Pesaro nel 170 a.C. da genitori liberti (così san Girolamo nelle annotazioni all’anno 139 a.C. del Chronicon: L. Accius tragoediarum scriptor clarus habetur. Natus Mancino et Serrano consulibus parentibus libertinis et seni iam Pacuvio Tarenti sua scripta recitavit; a quo et fundus Accianus iuxta Pisaurum dicitur quia illuc inter colonos fuerat ex urbe deductus. L’anno di nascita è confermato anche da Cicerone in Brutus 229). Venuto a Roma, si mise sotto la protezione di Decimo Giunio Bruto Galleco, di cui fu amico (Cicerone, Brutus 107). Si legò così all’aristocrazia conservatrice, ostile ai fermenti di rinnovamento sociale e letterario che germinavano dal confronto economico e culturale con le province di recente conquista in Grecia e Asia Minore, e ne divenne il cantore. Gli stessi fermenti trovavano invece fertile terreno presso gli aristocratici sensibili alla questione sociale e aperti all’influenza di culture mature a raffinate, e soprattutto nel circolo degli Scipioni, che divenne eponimo di questa tendenza filoellenica. La personalità più eminente del circolo scipionico contemporanea ad Accio fu il poeta satirico Gaio Lucilio, il quale portò spesso la polemica derivante dall’antagonismo culturale sul terreno della satira.

Accio, come Ennio prima di lui, fu filologo e studioso di problemi grammaticali, poeta e soprattutto tragediografo. Quest’attività era congeniale alla sua sensibilità poetica incline ai toni cupi e solenni e forse costituiva una scelta di campo in omaggio ai suoi patroni e in opposizione agli interessi che animavano il circolo degli Scipioni. Di fatto la vena del teatro d’imitazione o d’ispirazione greca si inaridì dopo di lui senza dar luogo a una stabile e valida produzione teatrale di argomento e di ambientazione romana – non possiamo contare molte praetextae nĂ© commedie togatae, e d’altra parte la bassa lega delle commedie tabernariae non ne ha favorito certo la conservazione. Accio fu probabilmente il più grande e certo l’ultimo grande tragico latino tanto che ancora per l’inaugurazione del teatro di Pompeo nel 55 a.C. assieme all’Equos Troianus di Nevio fu rappresentata la sua Clytaemnestra. La nuova sintesi di cultura greca e latina avviata dagli scipionici dimostrò invece una grande vitalità: proprio in quegli anni con Lucilio favoriva il sorgere dell’astro della satura letteraria, creazione che Quintiliano (Institutio oratoria X, 1, 93) poteva definire con orgoglio tutta latina, sul fertile humus della satura drammatica – un processo del quale già Orazio attribuiva il merito a Lucilio (Saturae I, 4 e 10), ma che forse era stato iniziato già da Ennio sempre all’ombra degli Scipioni -; e diede origine a quella nuova sensibilità poetica dalla quale scaturiranno in seguito la poesia lirica e introspettiva dei poetae novi e quella più intima dell’elegia.

Delle cothurnatae di Accio rimangono ben 47 titoli, indice di una produzione assai vasta in questo genere e di una popolarità indiscussa, e circa 700 versi, modesto residuo che permette di formulare un giudizio poco più che generale della sua opera. I titoli spaziano in tutte le maggiori saghe mitologiche greche (Paratore): si nota una preferenza per i temi tratti dal ciclo troiano (Achilles, Antenoridae, Hecuba, Troades, Astyanax, Armorum iudicium, Philocteta, Nyctegresia, Eurysaces, Neoptolemus, Deiphobus, Telephus), ma molto rappresentati sono anche il ciclo spartano o dei Pelopidi (Aegisthus, Agamemnonidae, Clytaemnestra, Pelopidae, Atreus, Oenomaus) e il ciclo tebano (Antigona, Phoenissae, Epigoni, Alcumeo, Alphesiboea). I versi mostrano un accentuato gusto per la magniloquenza, attraverso l’uso frequente di figure retoriche, soprattutto di allitterazioni, e di neologismi, parole ricercate come i pesanti astratti terminanti in -tudo (e.g. sanctitudo) e composti eruditi come aericrepantes; per la gravitas, mediante la rappresentazione dell’immanenza del divino e la profusione di massime morali; e per l’esaltazione di Roma. Tutte queste caratteristiche sono genuine della tradizione romana, ma il gonfiore enfatico e ridondante, il barocchismo cupo e truce e la retorica sublime e grave di Accio erano forse eccessivi e non tardarono a divenire bersaglio dei frizzi di Lucilio. I suoi numerosi ammiratori, peraltro, e tra essi Cicerone, sembrano trovare nelle citazioni acciane materiale adatto a ogni circostanza, e questo può essere giustificato solo parzialmente dall’abbondanza della sua produzione. Anche per questo in epoca moderna è stata avanzata l’ipotesi, facilmente convincente in uno scrittore Romano ma ovviamente non riscontrabile nel caso specifico, che la scelta degli argomenti delle tragedie avesse un legame con i fatti e i travagli politici e sociali della Roma del tempo: il fenomeno della polarizzazione della ricchezza nelle mani equestri e senatorie e le tensioni sulle leggi agrarie stavano certamente a cuore all’aristocrazia conservatrice quanto, per opposte ragioni, agli esponenti popolari. D’altronde, nel solco di una tendenza all’autonomia ormai consolidata nella letteratura latina, la rielaborazione dei modelli greci appare in Accio improntata a una piena e condapevole indipendenza, la tradizionale tecnica della contaminazione – cioè della ricucitura di pezzi tratti da originali diversi sul canovaccio di una trama principale – sostituita e superata da arricchimenti di gusto romane e da divagazioni di gusto acciano innestati sulla trama originale.

Si conoscono anche i titoli di due praetextae: il Brutus, incentrata sul personaggio di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica romana, era un omaggio alla vittoria ottenuta dal di lui successore Decimo Giunio Bruto nel suo consolato del 138 a.C. sui Galleci di Spagna, che gli fruttò il soprannome di Galleco. Una celebrazione esplicita dell’impresa spagnola è forse il Gallaecus vel Decimus, se non è da identificarsi con il Brutus. Il Decius vel Aeneadae è da riferirsi forse al sacrificio di Publio Decio Mure, il console che offrì la propria vita agli dèi in cambio della vittoria romana nella battaglia di Sentino, l’episodio del 295 a.C. che sancì l’affermazione della superiorità di Roma sulle altre popolazioni italiche; il sottotitolo Aeneadae vuole probabilmente attribuire una patina leggendaria all’eroismo della stirpe romana richiamandone la mitica discendenza da Enea.

Conosciamo poi i titoli di altre opere poetiche di varia ispirazione: un poemetto sull’agricoltura, la Praxidica, citato da Plinio il vecchio (Naturalis historia XVIII, 200); un poema georgico in senari giambici, i Parerga, citato da Nonio, forse ispirato agli Èrga di Esiodo; tre libri di Annales in esametri, forse sul tipo degli Annales enniani o forse precursore dei Fasti di Ovidio; e i Sotadica, in metri sotadei – dal nome del poeta alessandrino del III secolo a.C. Sotade di Maronea, il maggior rappresentante dei poeti satirici greci che ispirò anche Ennio. Di questioni grammaticali e di critica letteraria sappiamo che trattava nei Didascalica, un’opera in un misto di poesia e di prosa in almeno nove libri, e nei Pragmatica, due libri in versi settenari trocaici. Seguendo una impostazione analogista egli intendeva normalizzare la grafia del latino ad esempio raddoppiando le vocali lunghe (con l’eccezione della vocale i che, se lunga, preferiva raddoppiata con il dittongo ei) e sopprimendo le lettere doppie x e z; un progetto in verità di non facile applicazione che gli fruttò un’altra polemica con Lucilio. Tra le questioni letterarie, sostenne l’anteriorità di Esiodo rispetto ad Omero. Di tutte queste opere, tuttavia, non resta nulla o quasi.

Non si conosce la data della morte di Accio, che si pone convenzionalmente nel decennio 90-80 a.C. Le fonti ce lo descrivono come un uomo esageratamente attaccato al proprio prestigio: famoso è l’aneddoto secondo il quale si sarebbe fatto erigere, lui piccolo di statura, una statua sproporzionata nel tempio delle Camene. Fu continuatore della tendenza erudita di Ennio, così radicata presso i Romani, anticipando Varrone e la fioritura culturale dell’età di Cesare. Anche per questo, oltre che per la sua prolificità nella produzione tragica, fu a capo del collegium poetarum histrionumque. Tuttavia le sue innovazioni linguistiche, nel continuo sforzo di forgiare un latino adeguato alle esigenze letterarie, furono criticate al pari di quelle grammaticali. Testimoni le frequenti citazioni e il rispetto generale, è innegabile che Accio occupò anche presso i posteri una posizione di assoluta eminenza nel panorama letterario di Roma. Se Orazio, nella sua generale disistima per i poeti arcaici e per la loro mancanza di labor limae, include esplicitamente Accio tra gli scrittori dallo stile rude (Epistulae II, 1, vv. 50 ss.), all’ammirazione e alle citazioni di Cicerone dobbiamo la maggior parte dei frammenti che possediamo.